GRANDI: “OCCORRE PIU’ DEMOCRAZIA NELLA GDF”

giovedì 03 ottobre 2002

Pubblichiamo, in anteprima, l’intervista all’Onorevole Alfiero GRANDI che comparirà su prossimo numero della rivista Finanzieri e Cittadini.

 

 

INTERVISTA ALL’ONOREVOLE GRANDI

 

“NELLA SCORSA LEGISLATURA NON C'È STATO CORAGGIO,

IN QUESTA SI INCORAGGIA LA REPRESSIONE DI CHI DISSENTE”

 

di Giuseppe Fortuna e Sebastiano Gulisano

 

TESTO

 

Alfiero Grandi, 58 anni, deputato dei Democratici di sinistra eletto a Bologna, è membro della commissione Finanze della Camera, socio di Ficiesse e responsabile nazionale per i problemi del Lavoro dei Ds. E' stato segretario della Cgil Emilia Romagna, poi segretario nazionale della Funzione pubblica Cgil, segretario confederale e, nella passata legislatura, sottosegretario alle Finanze nel secondo governo D'Alema e nel governo Amato. Lo abbiamo incontrato il … scorso.

 

 

Onorevole Grandi, lei ha presentato un progetto di legge sulla formazione delle forze di Polizia collegato, nella relazione, ai fatti del G8.

 

E' una proposta nata prima delle vicende che hanno portato alle dimissioni di Scajola, da questioni più di fondo. Non dimentichiamo che a Genova, nella sala operativa, c'erano Fini e altri del centrodestra che potevano dare l'impressione ad alcuni settori delle forze dell'ordine che era giunta l'ora di "regolare i conti". Quindi c'è un problema politico forte, ma il progetto di legge vuole affrontare un altro aspetto del problema: la formazione e la professionalità di forze chiamate a compiti di ordine pubblico perché ci si è accorti che oltre a input politici sbagliati c'era una difficoltà delle forze dell'ordine che da molti anni, probabilmente, non riflettevano sull'evoluzione dei movimenti e sui problemi che si sarebbero posti all'interno di manifestazioni. Anche perché, per molti anni, è stato importante il ruolo dei sindacati che hanno garantito il sostanziale governo delle iniziative.

 

A Genova questo non si è verificato?

 

A Genova, le forze dell'ordine si sono trovate di fronte a movimenti che avevano caratteristiche diverse, molto spontanee, non organizzate, non strutturate. Alle forze dell'ordine si pone il problema dell'aggiornamento del retroterra culturale e delle informazioni necessarie per potere distinguere, in piazza, che cos'è un black bloc, che cos'è un manifestante non violento, che differenza c'è tra un disobbediente e un'iniziativa di origine sindacale; perché non dimentichiamo che a Genova c'erano settori sindacali, movimenti no global più tradizionali, un misto di esperienze diverse. Aggiornarsi può consentire a chi è chiamato a svolgere compiti di ordine pubblico di avere le informazioni e la formazione necessari a evitare episodi come quelli che sono avvenuti. Perché è ormai dimostrato che nei confronti di coloro che avevano un atteggiamento violento non c'è stata la capacità di sterilizzare gli interventi e si è ripiegato sulla soluzione di reprimere coloro che non dovevano essere oggetto di comportamenti di questo tipo.

 

A un anno da Genova, all'interno delle forze di Polizia c'è un minimo d'apertura in più e rispetto alla difesa d'ufficio generalizzata che c'era stata nell'immediatezza dei fatti.

 

E' vero, condivido questa cosa. Non ancora al livello necessario perché non c'è un orientamento politico in questa direzione e non sono state prese iniziative come quelle, ad esempio, che la proposta di legge segnala. Però anch'io sono convinto che la riflessione ha aiutato tutti a capire. Vorrei fare notare che, in Canada, durante il G8, ci sono state notizie che penso abbiano colpito tutti coloro che hanno letto i resoconti giornalistici: la Polizia canadese, in mountain bike, assolutamente disarmata, semplicemente in divisa, aveva come compito rallentare la testa del corteo in maniera che magari ci fosse una difesa un po' più consistente, qualche metro di distanza, ma con l'obiettivo di rallentare, col sorriso, con lo scherzo: gruppi di Polizia addestrati a disinnescare le tensioni. Io, francamente, manderei una delegazione della Polizia italiana in Canada a farsi raccontare come hanno gestito questa cosa. Forse, lì il problema era molto minore, ma poteva esplodere anche lì, non era scontato che non sarebbe esploso.

 

Come ha vissuto, da sottosegretario, la divisione tra un'amministrazione finanziaria civile e una militare, che si muovono secondo logiche culturali diverse?

 

L'esperienza l'ho vissuta con la consapevolezza che era possibile fare cose e con una sensazione d'incertezza, rischio di errori, ritardi anche abbastanza gravi. Non dimentico i problemi che ci siamo ritrovati a dover affrontare, in campi diversissimi tra loro. Per alcune cose siamo andati avanti, per altre no. E penso ai diritti del lavoro, in particolare per la Gdf, alle normative come quella sul falso in bilancio, che avremmo dovuto fare noi. Credo che abbiamo fatto tante cose buone e importanti. Ma su altre altrettanto importanti non siamo riusciti a dare un'impostazione riformatrice all'altezza dei bisogni e delle aspettative.

 

E per quel che riguarda la Guardia di Finanza?

 

Quando noi abbiamo cominciato l'esperienza di governo, avremmo dovuto decidere con maggiore precisione qual’era l'obiettivo che intendevamo perseguire riguardo le condizioni interne del Corpo. Probabilmente nella coalizione di governo non c'erano le condizioni per sostenere una riforma tipo quella della Polizia. Secondo me, c'erano tempi e modi per affrontare una via intermedia: consentire che all'interno della Gdf, corpo militare con caratteristiche diverse dai Carabinieri, si potesse affrontare una forma di partecipazione, di democrazia interna, molto più forte di quella che si pratica all'interno del corpo. Potevano essere prese misure intermedie non in grado di costituire un pacchetto di riforma, come qualcuno avrebbe desiderato, io stesso pensavo che questo dovesse essere il destino della Gdf, ma almeno una serie di misure che potessero modificarne profondamente il funzionamento, il superamento di una concezione gerarchica un po' retrò, con l'obiettivo di premere verso una democratizzazione del corpo. Ma non è stato possibile farlo.

 

Nel marzo del 2000 ci fu un'interrogazione di 40 parlamentari Ds, primo firmatario l'onorevole Ruffino …

 

Me lo ricordo bene.

 

La risposta che diede il governo riconobbe l'esigenza di una maggior partecipazione del personale, maggiore dialettica, maggiore dibattito interno, nell'interesse dell'organizzazione stessa. E si disse anche che non è compito delle gerarchie modificare la normativa, però è lecito aspettarsi dalla gerarchia militare l'intelligenza necessaria ad accompagnare fenomeni di crescita. Ci è sembrata un'indicazione forte alla gerarchia, che tende a reprimere chi la pensa in maniera diversa.

 

Io posso dirvi questo. E’ una rivelazione che faccio perché ormai è passato abbastanza tempo e posso farla. Io ero stato incaricato di dare quella risposta: mi sono rifiutato di farlo ritenendola ambigua e insufficiente; e ho detto al ministro che mi rifiutavo di leggerla in Parlamento e che o trovava un altro sottosegretario o avrei letto una risposta di natura e connotati ben diversi. Così alla Camera c’è andato il collega D'amico. Questa è la storia di quella risposta. Io pensavo che la gerarchia, nella vicenda Germi, avesse torto e che quella risposta non dicesse niente.

 

Infatti, poi, Germi ha vinto i ricorsi.

 

Io ritenevo che di fronte a un'operazione repressiva l'autorità politica dovesse prendere nettamente le distanze dicendo "questo non si può fare" e, di conseguenza, ripristinare condizioni di legalità democratiche e di libera partecipazione, ecc… Poiché quando mi è arrivata la risposta che ero incaricato di leggere ho capito che era una cosa contro natura l'ho respinta dicendo o me la cambiate, e le proposte di cambiamento sono uno due tre e quattro, oppure trovate un altro. Hanno trovato un altro.

 

Nell'attuale legislatura, c'è un'altra interpellanza sulla nostra associazione alla quale ha risposto, duramente, il sottosegretario Ambrosini.

 

Siamo passati da un atteggiamento che non aveva in coraggio di andare fino in fondo per fermare il Comando, in relazione ad atteggiamenti repressivi, a un atteggiamento che incoraggia le azioni repressive, ne prende atto e le rilancia. Siamo alla teorizzazione politica che fanno bene a reprimere.

 

L'ultimo atto del vecchio direttivo di Ficiesse e di Germi, che era il segretario generale, è stato quello di scrivere a tutti i parlamentari chiedendo di aderire all'associazione in segno di solidarietà. Qual è la valenza politica di tali adesioni?

 

Una valenza fondamentale: l'associazione, accusata a torto di essere a carattere sindacale, ha il diritto di vivere. Nessuna normativa costituzionale può impedirglielo. Il questo momento, il finanziere che aderisce all'associazione ed è vittima di repressione dev'essere aiutato dai parlamentari, devono essere una "protezione" a non essere escluso dalla vita dell'associazione. Anche perché, quando la vicenda tornerà davanti al Consiglio di Stato… Secondo me, i rapporti tra il Comando generale della Gdf e il Consiglio sono molto buoni.  Diciamo che c'è un'evidente simpatia per l'interrogativo che gli è stato posto.

 

La commissione Finanze, ha ascoltato il comandante generale della Gdf, generale Zignani, in relazione all'esodo di ufficiali; poi ci sono state le interrogazioni sul "caso Barilaro" e la sua lettera aperta sulla stessa vicenda.

 

Sì, se ne vanno capitani e maggiori, per la cui formazione la collettività spende molti soldi; un patrimonio che decide di andare fuori dall'organizzazione quando ancora ha davanti un periodo lungo…

 

Abbiamo avuto l'impressione, leggendo i resoconti, che il generale Zignani abbia cercato di ribaltare sul Parlamento la soluzione del problema dell’esodo delle professionalità migliori. Che invece doveva risolvere la gerarchia militare con le riforme del 2000/2001.

 

Una volta nella vita vorrei spezzare una lancia a favore del comandante. Penso che fosse sinceramente in imbarazzo: ha descritto la sua condizione di militare che ha saltabeccato da una zona all'altra, ha fatto cambi di casa innumerevoli volte e mi è parso disponibile a rivedere questa condizione, che lui stesso ha riconosciuto esagerata, ma che non sapeva bene come risolvere con il mandato - che lui ha dichiarato di sentire molto forte - a fare sì che la Gdf abbia condizioni che non inducano a fenomeni di corruzione. Non mi è sembrato che il generale Zignani volesse ribaltare su altri, ma chiedere un indirizzo politico per avere poi la possibilità di ribaltare la prassi. Secondo me la risposta c'è: consentire la permanenza per periodi molto prolungati sul territorio, in un corpo delicato come la Gdf in cui possono istaurarsi rapporti anche delicati, mi pare un problema che esiste, non in termini burocratici. Stabiliamo un termine ragionevole, prorogabile entro certi limiti, con la possibilità di cambiare sede entro limiti, però, più ragionevoli. Perché non si giustifica la condizione Barilaro, da Milano a Cosenza, a 1200 chilometri; così una famiglia viene messa in condizioni drammatiche. Perché un finanziere che lavora, e ha lavorato bene - se non ricordo male, parlava anche del Procuratore della Repubblica che s'è occupato della cosa - può benissimo passare da Milano a Brescia, a Bologna, a Genova. Io ho avuto la sensazione che Zignani chiedesse lumi, non che giocasse a scaribarile.

 

Nel periodo in cui è stato sottosegretario che rapporto ha avuto con la Gdf?

 

Ho sempre cercato di avere una certa attenzione al rapporto con il Corpo. Ovviamente a me è capitato di avere rapporti con la gerarchia intermedia e alta, ho sempre cercato di non sottrarmi. Quando capitavo in una città, a fare visita al Comando, ad ascoltare, a sentire, in qualche caso mi hanno fatto parlare anche coi rappresentanti del personale. Ho avuto l'impressione che, soprattutto negli ufficiali più giovani - quelli che magari ora sono diventati maggiori, o capitani, o sono tenenti di una certa esperienza - ci siano delle motivazioni ancora molto forti, una volontà di fare, un certo coraggio nella volontà di fare. Se non abbiamo un atteggiamento politico e, da parte del comando, adeguato, senza riproporre vecchi schemi, rischiamo di mortificare, di annullare… O rimangono e fanno carriera secondo le vecchie logiche, o se ne vanno. Poiché invece mi è parso di trovare molti che, a 35-40 anni, sono in grado di fare ottime carriere, economicamente riconosciute, fuori, ma per ragioni etiche restano, perché credono in quello che fanno, sebbene in condizioni non allettanti, penso che sarebbe una tragedia dal punto di vista dell'interesse collettivo dello Stato annichilire questa potenzialità. Ci sono potenzialità importanti, rischiamo di non utilizzarle, di buttarle via. Sarebbe un errore.

 

Lei ha mandato una lettera aperta al generale Zignani sul caso Barilaro. Ha ricevuto risposta?

 

Non ancora, ma la riceverò. Non ho dubbi.

 

 


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