PRIMA GLI SPICCIOLI, POI LE CAMBIALI. ORA IL PERSONALE DEL COMPARTO MERITA DI ESSERE CONSIDERATO ALLA PARI DEGLI ALTRI - di Gianluca Taccalozzi

giovedì 13 febbraio 2014

 

La recente pesantissima crisi sta (finalmente !!!) “costringendo” (senza la crisi non l’avrebbe mai fatto) la politica a mettere mano al pubblico impiego per eliminare sprechi, rendite, autoreferenzialità, clientelismo, corruzione, mancanza di trasparenza, ecc..

Sino ad oggi, lo si è fatto solo dal punto di vista meramente finanziario (tagli lineari, blocco contrattuale, congelamento stipendiale, ecc.) e con interventi scoordinati, superficiali, non risolutivi, parziali (sono rimasti fuori gli “amici degli amici”), iniqui (perché hanno colpito in maniera irragionevolmente diversa personale nelle stesse condizioni di impiego e di posizione organizzativa) e di dubbia legittimità (anche se la Corte Costituzionale ha rilevato le illegittimità solo per i Magistrati e sacrificato agli interessi di Stato le altre categorie di lavoratori pubblici).

Dal prossimo mese di gennaio 2015, però, bisognerà far ripartire le dinamiche salariali dei pubblici impiegati, ma le risorse non ci sono e quelle reperibili da processi di razionalizzazione della spesa sono già state impegnate per altri scopi. Servono soluzioni strutturali e finanziariamente sostenibili a medio lungo termine.

Le criticità sono evidenti a tutti e sono quelle già state chirurgicamente colpite dal congelamento stipendiale: l’utilizzo debordante e distorto della contrattazione integrativa (premi di risultato) per il pubblico impiego privatizzato e gli incrementi stipendiali automatici e gli automatismi di carriera (promozioni vuote) per il resto del personale pubblico (comparto sicurezza e difesa in primis).

Nel frattempo, Ragioneria Generale dello Stato, Funzione Pubblica e Corte dei Conti hanno affinato le armi per controbattere ogni tentativo elusivo: Cedolino Unico, nuovo piano di rilevazione del Conto Annuale, obbligo di pubblicazione sui siti istituzionali dei dati relativi alle retribuzioni ed ai premi, controllo sostanziale e non più solo formale degli accordi di contrattazione integrativa da parte della Corte dei Conti, ecc., ecc..

Emerge un messaggio chiaro e preciso nei confronti della politica, delle pubbliche amministrazioni e dei sindacati del pubblico impiego: i conti pubblici, le prospettive economiche, la globalizzazione e l’esigenza di equità sociale non consentono di affrontare il prossimo futuro con le logiche del recente passato e di tirare a campare in attesa di tempi migliori, facendo finta che nulla sia cambiato.  

Il comparto sicurezza e difesa ha bisogno di interventi seri ed organici che consentano di superare le croniche criticità che la recente crisi ha solo fatto emergere più chiaramente in tutta la loro gravità. Tutto nasce dal fatto che le regole che disciplinano il comparto sicurezza e difesa non sono figlie di scelte ponderate ma di ricorsi, compromessi politici e retaggi storici post-ventennio fascista. Si è cercato di tenere insieme i cavoli con le capre costringendo tutte le amministrazioni ad adottare strutture organizzative ed ordinamenti di carriera e di retribuzione che hanno poi finito per essere inadatti a tutti.

La più evidente e rilevante delle criticità è senza dubbio l’assenza di un reale potere contrattuale di primo e, soprattutto, di secondo livello, in capo al personale che:

  • rende i Ministri del settore deboli nei confronti degli altri “colleghi” affiancati da rappresentanze sindacali fortissime;
  • non consente a politica/istituzioni di avere un quadro chiaro e omnicomprensivo della situazione delle amministrazioni del comparto e, quindi, di prendere decisioni più attinenti alla realtà, atteso che hanno a disposizione solo le informazioni inoltrate e filtrate dai vertici;
  • rende i vertici incapaci di rappresentare all’autorità ministeriale le esigenze e le aspettative del personale. D’altronde è ben comprensibile e, per molti versi, anche condivisibile (non è suo ruolo) che una persona, generalmente a fine carriera, eccepisca a chi lo ha nominato o lo deve confermare le ragioni del personale dipendente. Risultato: i vertici dicono sempre di “sì” ad ogni richiesta governativa per poi trovare il modo di rispettare gli impegni presi facendo forza sullo scarso potere rappresentativo e di tutela del personale; 
  • non consente alle varie amministrazioni del comparto di adottare soluzioni idonee alle proprie specifiche esigenze;
  • impedisce quella condivisione tra amministrazione e personale, necessaria affinché ogni processo di organizzazione/riorganizzazione abbia concreto successo (c.d. benessere organizzativo);
  • ha impedito, impedisce (ed impedirà !!!) al personale di attenuare gli effetti della crisi drenando risorse dal blocco del turn-over e dai processi di razionalizzazione, come accaduto per il resto del pubblico impiego privatizzato (da ultimo quello della scuola);
  • impedito al personale del comparto di emanciparsi dalla condizione di “servitore” e diventare “lavoratore”, costringendoli ad accontentarsi prima degli “spiccioli”, lanciati dai Governi di turno (sotto forma di riordini, riallineamenti, calderoni della straordinario, ecc.), e, poi, solo delle cambiali (specificità), mentre il personale contrattualizzato si è coltivato da solo il proprio campo raccogliendo frutti molto più sostanziosi (contrattazione integrativa).

Quanto recentemente accaduto nel processo della revisione della spesa della Difesa ne è il più limpido esempio.

Per uscire strutturalmente e definitivamente dalla crisi, vincere le sfide del prossimo futuro e mantenere/aumentare il grado di efficienza delle Forze Armate e delle Forze di Polizia e mantenere/aumentare gli attuali livelli retributivi, c’è bisogno di affrontare e risolvere tutte queste criticità. Servono subito nuovi modelli di difesa e di sicurezza, e non c’è bisogno di rivoluzioni, adatti ai tempi ed al nuovo contesto socio-economico nazionale ed internazionale, ma questa strada presuppone: coraggio, responsabilità, consapevolezza e visione.

Ma i principali attori (politica, amministrazioni e sindacati/rappresentanze) del comparto sicurezza e difesa sembrano, invece, vivere fuori su Marte, ancora con l’effimera ed illusoria convinzione che la “specificità” possa rendere immuni dal cambiamento. Infatti, invece di pensare a risolvere i cronici problemi strutturali, si sta irresponsabilmente perdendo tempo a parlare dell’ennesimo riordino di carriere già incasinate: inutile se non dannoso (dal punto di vista della funzionalità), insostenibile (dal punto di vista finanziario se non attraverso un “pagherò senza scadenza” simile a quello già solennemente firmato art. 19 Legge 183/2010 ed altrettanto solennemente non mantenuto), vuoto (perché si promettono gradi senza essere certi che siano pagati, anzi!) ed assolutamente non idoneo a mettere al riparo le retribuzioni da ulteriori probabili contrazioni.

Senza contare, in assenza di proposte “serie” dall’interno del comparto, le riforme sono e saranno comunque attuate/imposte dalla crisi: congelamento stipendiale, abolizione del divieto della reformatio in pejus, limitazione dell’indennità di trasferimento, abolizione dell’estensione della SIP ai Vice Comandanti, limitazione dell’indennità di straordinario festivo, blocco del turn-over, tagli lineari, razionalizzazione delle strutture, ecc.) e via discorrendo, con il rischio che il personale (tutto, dai vertici all’ultimo degli addetti) veda il becco di un quattrino dei risparmi derivati dal turn-over e dai processi di razionalizzazione e si veda costretto ad operare in regimi autoritari e poco gratificanti.

 

Gianluca Taccalozzi

Delegato Co.Ce.R. Guardia di Finanza.


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