MENO STELLETTE, MENO MANETTE. CORSI E RICORSI STORICI CHE VEDONO SOLO CAMBIARE I MUSICANTI MENTRE LA MUSICA RIMANE SEMPRE LA STESSA

lunedì 16 giugno 2014

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una email giuntaci da un appartenente alla Guardia di finanza in relazione alle recenti vicende giudiziarie.

 

Sono tutti innocenti fino a sentenza definitiva.

Lo diciamo in premessa così esprimiamo la più ampia forma di garantismo e sgombriamo il campo da possibili equivoci.

La presunzione di innocenza però, non esclude la possibilità di critica.

Ma cosa succede nella Guardia di Finanza? E soprattutto chi è chi si pone questa domanda? Quasi certamente non gli appartenenti al Corpo, che vivono il Corpo, che vedono il Corpo, che si muovono nel Corpo.

Verrebbe da dire alla luce degli ultimi accadimenti: niente di nuovo sotto il cielo di Viale XXI Aprile, solo corsi e ricorsi storici che vedono solo cambiare i musicanti mentre la musica rimane sempre la stessa.

Una cosa è certa: molti, anzi moltissimi finanzieri, lavorano con onestà e serietà nonostante tutto, con quel mutismo e soprattutto con quella rassegnazione, tipicamente militari, che gli esterni alla Guardia di Finanza non riescono a spiegarsi. Perché tacere se tutti sanno come vanno le cose?

Non ci si riferisce solo agli scandali delle tangenti: l’ingordigia di denaro di chi già guadagna in un anno oltre 120.000 Euro non è comprensibile per chi deve adire il TAR per farsi riconoscere 80,00/85,00 Euro che la Legge gli riconosce come indennità e, la Guardia di Finanza (magari gli stessi dirigenti che sarebbero venuti meno al giuramento di fedeltà alla Repubblica e non ad altri tipi di giuramenti occulti), con atti organizzativi interni, negano quello che la Legge già statuisce.

Ci si dovrebbe interrogare su tutte quelle attività tipiche di una Amministrazione che ha la necessità e l’obbligo giuridico di ispirarsi a criteri di buona amministrazione e trasparenza della propria azione amministrativa: in particolare avanzamenti, trasferimenti, provvedimenti di impiego del personale che incidono, guarda caso, su due componenti fondamentali di un uomo: la carriera e la sfera affettiva e familiare. Tasti sensibili, soprattutto la famiglia, che difficilmente si è disposti a mettere in gioco.

Ecco il motivo per cui tutti tacciono, perché parlare significa avere ripercussioni sul piano della valutazione caratteristica, degli avanzamenti, degli incarichi ricoperti e sui trasferimenti di sede. Aspetti ancor più sentiti se si assumono posizioni di comando come nel caso degli ufficiali. Non è un attacco alla categoria ma è ovvio che se assumi posizioni di comando, sei costretto a decidere soprattutto secondo le indicazioni della gerarchia e, se non vuoi avere problemi, è meglio adeguarsi.

Per i corridoi delle caserme è sempre - e da sempre - la solita litania: lascia stare non ti mettere contro l’Amministrazione che poi si ricorderà di te e, vedrai,  te la farà pagare. E’ come se l’Amministrazione avesse una propria coscienza, un’anima con una memoria autonoma, svincolata dalle persone che la compongono. Gli uffici del Corpo, ad ogni livello, sono locali antropomorfi la cui stanza più recondita è dotata di memoria indelebile in cui è meglio non essere memorizzato, una sorta di black-list.

Basta un semplice ricorso gerarchico (non davanti agli organi di giustizia, ma gerarchico) per essere definito un “rompicoglioni”, finisci sulla black-list, nella memoria dell’Amministrazione, ed è finita. Cambiano i componenti dell’Ufficio, ma tu resti un neo inasportabile, sei finito nella memoria, “l’Amministrazione” si ricorderà di te, tanto più alto è il tuo grado tanto di più sarà indelebile la presenza nella memoria.

Allora bisognerebbe capire cosa macchinano questi Uffici, come operano ed in base a quali criteri; con una sola parola: trasparenza.

Ad esempio bisognerebbe interrogarsi come mai, in piena spending review gran parte degli Ufficiali della Guardia di Finanza vengano ancora trasferiti d’autorità per motivi di servizio, con il conseguente trattamento economico di trasferimento di cui alla legge 86/2001; senza tener conto che in occasione dell’apertura del piano degli impieghi, tutti gli ufficiali compilano una desiderata con l’indicazione delle tre sedi gradite. Nella maggior parte dei casi i desideri vengono accolti, sotto forma di trasferimento per motivi di servizio, e dietro corrispettivo del trattamento economico di cui alla citata legge 86/2001. Si verifica pure che una determinata sede venga richiesta a domanda da un ufficiale, che ci andrebbe a costo zero, ed invece viene assegnata ad un altro che, invece, l’ha indicata nelle desiderate ma viene trasferito d’autorità con il trattamento economico di cui alla legge 86/2001. Le circolari interne al Corpo parlano dei trasferimenti d’autorità come atti con cui l’Amministrazione “persegue l’evidente obiettivo di soddisfare proprie ed imprescindibili esigenze organiche e di servizio latu sensu intese. In questo modo il Corpo formalizza una propria volontà protesa, in via esclusiva, al soddisfacimento di un pubblico interesse e di conseguenza la posizione del dipendente ne risulta subordinata”. Alla luce di tali indicazioni, viste le modalità con cui vengono decisi attualmente i trasferimenti degli Ufficiali, si può parlare di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa ovvero di un soddisfacimento del pubblico interesse?

Alla stessa stregua bisogna operare delle considerazioni in ordine alle valutazioni caratteristiche. E qui, invece, tornano utili le recenti vicende di corruzione. Bisognerebbe prendere atto della valutazione caratteristica operata dai superiori dei militari coinvolti nelle vicende di cui si parla ed analizzare i documenti di valutazione.

Sicuramente risulteranno giudizi non apicali delle singole voci quali lealtà, rettitudine, riservatezza, comportamento nella vita privata.

Ed allora si possono operare due ipotesi: se nella documentazione caratteristica risultano registrate valutazioni non propriamente apicali, allora bisognerebbe chiedersi come mai i militari coinvolti abbiano potuto raggiungere posizioni di comando così importanti: oppure potrebbe verificarsi che nelle valutazioni non vi sia traccia alcuna delle carenze dimostrate. In questo caso, allora, bisognerebbe interrogarsi su coloro i quali hanno operato le valutazioni, se siano dotati effettivamente di quelle qualità che gli permettono di essere “superiori” a coloro che sono riusciti a buggerarli, in qualità di “inferiori2. Ma restando nel campo delle ipotesi possiamo anche chiederci se questi “superiori”, che non riescono ad identificare i corrotti che vedono quasi quotidianamente, siano in grado di riconoscere coloro con i quali, ad esempio, andando occasionalmente a cena, costituiscono i corruttori dei corrotti.

Effettivamente c’è una terza possibilità: la valutazione caratteristica non ha quel valore discriminante e valutativo per il quale è stata concepita dal legislatore; forse serve a ben poco, visti i risultati a cui ci ha abituato.

Vi è anche da dire che la struttura militare porge il fianco ad un atteggiamento di sudditanza psicologica. Basti pensare che nonostante l’impianto normativo, latu sensu, sia stato novellato da ultimo nell’anno 2010 (D.P.R n. 90 e D.Lgs. n. 66), il termine inferiore venga ancora attualmente utilizzato per indicare un militare in condizione di subordinazione gerarchica. Senza parlare poi delle terminologia normalmente utilizzata “dai superiori” per identificare subordinati spesso apostrofati con vezzeggiativi dispregiativi tipo “omino”, “marescialletto”, “finanzierotto”, “tenentino”, “capitanino” ecc. ecc., sintomo di un delirio di onnipotenza largamente diffuso e, bisogna ammetterlo, suggerito tra le righe dalle norma che regola la vita militare.

A proposito della subordinazione gerarchica vi è da osservare che essa vale fino alla nomina a Generale di Corpo d’Armata, eccezion fatta per il Comandante Generale (e ciò non vale solo per la Guardia di Finanza, ma anche per i Carabinieri e per la Polizia di Stato) che è posto a capo del Corpo su nomina politica. Chiaramente tale circostanza impone una serie di interrogativi: primo tra tutti, ad esempio, perché il Comandante Generale è scelto tra i Generali di Corpo d’Armata del Corpo e non è automaticamente il più anziano o quello indicato quale primo, tra pari grado, nell’annuario ufficiali (una sorta di graduatoria tra gli ufficiali in servizio)? Ma soprattutto cosa comporta, sia all’interno che all’esterno del Corpo, una nomina politica tra parigrado che, per anni, sono stati valutati più e più volte e collocati in una specifica posizione di una graduatoria che ha valore di gerarchia? Come può collaborare con il suo capo un generale che si vede scavalcato da un suo parigrado posto dopo di lui in graduatoria a parecchie lunghezze? E’ possibile che si determini una lotta di potere interno che, certamente, non giova alla stessa Guardia di Finanza. Ma, le ovattate sale del potere, la così detta “ala della gerarchia” al Comando Generale, non farà trasparire nulla. Nulla di nulla, perché in gerarchia, anche i caffè vengono consumati all’interno della stessa ala, così da non far trapelare niente. Tutti “N.H.” al servizio delle “Istituzioni”, tutti come quell’iconografia popolare: non vedo, non sento, non parlo.

E’ chiaro che in un siffatto quadro d’assieme, immaginare un cambiamento che venga dall’interno, così come auspicato dal Comandante Generale (Basta ladroni, toglieremo la divisa a chi ruba), non presagisce grandi sconvolgimenti ma, al limite, qualche armadietto per spogliatoio vuoto. O, al massimo, assistere ad un ulteriori cambio di musicanti ed attendere la solita musica: l’ennesimo scandalo (sempre da provare nelle deputate aule giudiziarie).

E’ necessario che la Guardia di Finanza perda la caratteristica autoreferenzialità che la contraddistingue da lungo tempo, si apra alla trasparenza a cui non può più sottrarsi. Nella Guardia di Finanza, ancora oggi, la Legge 241/90 (c.d. legge di accesso ai documenti amministrativi), spesso viene inspiegabilmente disattesa. La vetrofania esposta sulle porte di un istituto di credito negli anni 80/90 recitava: “La visibilità dall’esterno aumenta la sicurezza all’interno”. Questa è l’unica strada percorribile.

E’ necessario innovare e rinnovare la struttura della Rappresentanza Militare che deve avere gli stessi poteri delle organizzazioni sindacali.

Perché la presenza delle organizzazioni sindacali dovrebbe minare la coesione interna? Forse, la coesione interna deve essere intesa come la possibilità di fare indisturbati i propri comodi facendoli passare come “interesse dell’Amministrazione”?

No! Ciò non è più tollerabile. Non si possono accettare questi schiaffi morali da chi, oltre a stipendi d’oro e privilegi d’oro (alloggi di servizio, auto e militari a disposizione, straordinari sempre pagati mai soggetti a tagli per incapienza, ecc.), va a braccetto con la politica, la stessa politica che poi ha il potere di nominare chi comanderà su tutti gli altri. Ma la politica, di qualsiasi colore essa sia, cosa chiederà al capo che ha nominato? Oppure, cosa potrà offrire alla politica il papabile di turno per poi essere nominato? Un vecchio adagio popolare dice che a pensare male non si fa peccato. Allora bisogna evitare che riaffiorino sempre i soliti brutti pensieri di sospetto, inciucio, malefatta ed inganno.

La Guardia di finanza, anzi la maggior parte degli uomini e delle donne “Fiamme Gialle”, è onesta e vuole rimanere onesta, ma chiede con forza un cambiamento radicale della struttura, che passi anche attraverso il riconoscimento dei diritti sindacali, in modo che le uniformi (non divise ma uniformi, fin quando le parole hanno un senso) possano essere utilizzate con orgoglio da coloro i quali hanno scelto di servire lo Stato e le Istituzioni repubblicane con il loro quotidiano umile lavoro.

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