LE DISTORSIONI DELLA GUARDIA DI FINANZA ED IL RUOLO DEL CONSIGLIO SUPERIORE DEL CORPO

mercoledì 25 giugno 2014

Riceviamo da Carlo Germi e pubblichiamo un documento relativo alle note inchieste giudiziarie che hanno recentemente coinvolto la Guardia di finanza; il documento è stato oggetto di una conferenza stampa indetta ieri mattina presso la sede della CGIL regionale  a Bologna. Il titolo è della redazione del sito.

 

Le Sezioni Emiliane dell' Associazione nazionale “Finanzieri, Cittadini e Solidarietà”, interpretando l'indignazione e la preoccupazione che serpeggia  tra i suoi componenti, soprattutto  militari della Guardia di Finanza in servizio ed in congedo, in relazione ai recenti episodi che hanno coinvolto i vertici del Corpo, intendono formulare delle riflessioni e delle proposte, tutte nell’interesse dei cittadini, circa i motivi che hanno condotto agli ennesimi episodi di malaffare in una organizzazione che quotidianamente dimostra, attraverso la competenza e l’abnegazione della  quasi totalità dei suoi componenti,  di essere indispensabile per il controllo e la repressione di tutte le forme di criminalità economico-finanziaria, nonché per il contrasto ad ogni forma di evasione e di elusione fiscale.

Occorre domandarsi la ragione dei periodici scandali che scuotono il Corpo della Guardia di Finanza,  partendo dal c.d. “scandalo dei petroli”, di antica memoria, che ha visto coinvolti il Comandante Generale dell’epoca ed il Capo di Stato Maggiore, alla P2, nei cui elenchi figuravano numerosi  “finanzieri” di ogni ordine e grado, con i testa il Comandante Generale di allora, alla c.d. “Tangentopoli”, allo scandalo veneziano del 2003, ai più recenti episodi, la P4 a Napoli, il Mose di Venezia e ultimo il caso “Mendella”, per parlare soltanto dei casi più eclatanti.

Innanzi tutto occorre sgombrare  il campo da un equivoco di fondo: molti imputano tali situazioni all’organizzazione militare del Corpo e vedono l' unica soluzione di tale fenomeno nella sua smilitarizzazione. Tuttavia il problema della corruzione interna e del suo contrasto nasce, non dal suo “essere militare”, ma da come, nel tempo, molti dei suoi “dirigenti” hanno distorto tale sistema organizzativo trasformando la “militarità”in “militarismo”, accentuandone tutti gli aspetti negativi e  trascurandone quelli positivi. Anche per tale motivo, da sempre la nostra Associazione ha tra i suoi principali obiettivi la smilitarizzazione del Corpo che, ormai nettamente specializzatosi quale Polizia Economica e Finanziaria, non ha più nessuna ragione di essere come organizzazione militare.

Le “distorsioni” del sistema sono da individuare principalmente negli eccessivi livelli di comando distribuiti nell’ambito territoriale, nei sistemi di avanzamenti di carriera, nei criteri posti alla base dei trasferimenti e delle assegnazioni dei comandi e degli incarichi al personale, soprattutto della categoria degli ufficiali dirigenti. Nel tempo, questi aspetti organizzativi, seppur disciplinati minuziosamente da disposizioni, circolari ed anche Decreti Ministeriali, che  hanno delineato criteri e passaggi  trasparenti e “democratici”, sono stati “gestiti” dal  c.d. “Consiglio Superiore della Guardia di Finanza”.  E’opportuno, a questo punto, capire come sia possibile che un organo quasi del tutto sconosciuto ai più, del quale mai si è parlato o si parla, possa aver acquisito un tale ruolo. Questo Organismo, di cui si incontra una disciplina sommaria solo nel  1997,, nasce spontaneamente e cresce di importanza nella vita del Corpo, man mano che aumenta il numero dei componenti del grado vertice, generali di divisione sino al 2001, generali di corpo d’ armata dal 2001 in poi. Viene finalmente formalizzato con l’articolo 4 del la legge  27 dicembre1997, n. 449 :

 

1.Il comandante generale si avvale del Consiglio superiore della Guardia di finanza per le questioni di rilevanza strategica concernenti l'organizzazione, il personale, le operazioni e la pianificazione a medio e lungo termine per l'acquisizione e l'impiego delle risorse.

2.Il Consiglio superiore svolge un ruolo meramente consultivo, è composto dai generali di divisione in servizio permanente effettivo, è presieduto dal comandante in seconda ed è convocato dal comandante generale anche su richiesta di almeno tre dei suoi componenti.

3.Il comandante generale ha facoltà di sottoporre all'esame del Consiglio superiore ogni altra questione che non rientri tra quelle indicate nel comma 1.

Il “Consiglio”,  dovendosi rapportare nel tempo con Comandanti Generali provenienti dall’Esercito Italiano che si sono succeduti numerosi e spesso per brevi periodi, ha, di fatto, quasi sempre,“governato”, soprattutto per gli aspetti interni, la vita del Corpo, continuando a farlo anche dopo che il sistema è stato modificato recentemente con la legge che ha permesso al Governo di scegliere il Comandante Generale anche tra i generali di corpo d’armata del Corpo stesso (ma questo è un altro discorso di cui ci occuperemo in seguito). Tale sistema di “governance”, a nostro avviso ha favorito il formarsi di “cordate” che nel tempo hanno determinato “vita, morte e miracoli” di molti appartenenti, con tutte le implicazioni e conseguenze immaginabili.

Un editoriale del 14 giugno del “Mattino”, riporta  in un capoverso alcune frasi attribuite al PM  che evidenzia modalità di condotta di alcuni accusati e, tra l’ altro,  scrive: “Riveste una posizione all’interno del Corpo che gli consente di muoversi in posizione di supremazia gerarchica nei confronti di altri ufficiali e sottufficiali, che hanno posto in essere le operazioni connesse alle attività di verifica e quindi dallo stesso concretamente manipolabili con la prospettiva di ritorsioni o promozioni di carriera”, ed aggiunge il giornalista: “un ragionamento che potrebbe essere ricondotto anche ad altre sfere, in una sorta di indagine di sistema”.

Questa descrizione ci sembra la più appropriata per delineare il modo con il quale nel tempo si sono verificate le distorsioni che hanno, al loro culmine, condotto agli scandali citati.

Il generale Capolupo che in una recente intervista ad un giornalista del Corriere della Sera afferma “all’interno del Corpo non esiste alcun gruppo di potere in grado di condizionare le nomine e la mia azione di comando. Abbiamo avviato processi di cambiamento organizzativo e soprattutto abbiamo modificato le procedure di avanzamento e di impiego del personale”, di fatto, riconosce l’esistenza di tali distorsioni, pur evidenziando il suo impegno a modificare la situazione esistente.

Il fatto di poter discrezionalmente incidere sulla “vita” di un dipendente e spesso anche della sua famiglia, può far comprendere come sia possibile condizionarne o, comunque indirizzarne l’operato. Le cronache degli ultimi decenni hanno quindi evidenziato la presenza di “reti” formate o per meglio dire dirette da alti ufficiali capaci di condizionare nomine, trasferimenti ed anche strategie di intervento.

Riteniamo quindi che sia giunto il momento di una radicale riforma della Guardia di Finanza. In una stagione di Riforme istituzionali non è possibile non rendersi conto come sia assurdo che una risorsa  quale quella rappresentata dal personale del Corpo professionalmente preparatissimo, dotato di poteri legislativi che gli consentono di agire a 360 gradi nell’ambito di ogni violazione ai sistemi economico, finanziario, fiscale, valutario, ed anche ai sistemi giuridici penali e civili, nonché deputato specificamente, dal 2001, alla tutela delle entrate statali, locali e comunitarie, debba risultare frenata da un sistema organizzativo arcaico ed inadeguato.  Per questo motivo non possono più essere tollerati comportamenti devianti ed anche solo inopportuni quali promozioni di personaggi giunti ai vertici dell’organizzazione seppur sottoposti ad inchieste penali o allontanamenti di soggetti professionalmente preparati ma non allineati a decisioni gerarchiche non condivise.

L’Associazione, in relazione all’esperienza di molti suoi aderenti, ritiene infine che molti degli episodi di corruzione accaduti, derivanti da una cattiva gestione dell’ organizzazione, si sarebbero potuti individuare e circoscrivere qualora fosse esistita nella Guardia di Finanza una forma vera di rappresentanza del personale, un sistema di tipo sindacale che avesse potuto costituire un contrappeso rispetto ad un potere gerarchico-funzionale, che, spesso incontrollato, diveniva autoreferente e generatore di forti distorsioni. Il sistema di rappresentanza introdotto nel lontano  1978 e mai riformato, ha da sempre dimostrato la sua inadeguatezza e i limiti di un sindacato “bianco”, costituendo, tuttavia, motivo di giustificazione alle richieste sempre più pressanti formulate sia dall’interno del Paese, da parte di alcuni partiti politici di minoranza, ma soprattutto più autorevolmente da parte di Organismi Comunitari, di riconoscere anche al personale militare i diritti elementari, quali quelli di sindacalizzazione o/e quello di libera associazione, sanciti da tutti i trattati Europei.

Alcune riflessioni prima delle proposte:

 La drastica riduzione dell’enorme debito pubblico accumulato in anni di miope ed irresponsabile politica economica rappresenta certamente una delle questioni con le quali questo Paese deve prioritariamente misurarsi. Per “fare cassa” però, non bastano super tasse, contributi di solidarietà e congelamenti dei salari pubblici, misure una tantum non strutturali, alle quali hanno contribuito, al pari degli altri lavoratori, anche i militari e che rappresentano solo rimedi temporali. Bisogna agire sulle cause e sulle patologie che hanno prodotto questa condizione dei conti dello Stato.

Liberalizzazioni, riforma del welfare, ma soprattutto riforma della pubblica amministrazione, sono elementi che vanno strettamente raccordati con tre fondamentali aspetti che, tra l'altro, impattano anche sull’organizzazione e sui compiti istituzionali della Guardia di Finanza, più che su ogni altra amministrazione pubblica: contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale, lotta alla corruzione ed ai crimini economici e finanziari. L'anomalia del nostro Paese si concentra soprattutto su queste tre questioni.

In un tale contesto sarebbe fondamentale che l’amministrazione cui l’ordinamento demanda in via prioritaria i compiti di polizia economica e finanziaria sia trasparente, al riparo da ogni ingerenza non istituzionale, efficace ed efficiente.

E’ su questo tema che dovrebbe essere incentrato il dibattito sul ruolo e sul futuro della Guardia di Finanza.

Nessuno,  dalla politica agli organi di informazione, passando per il mondo accademico, pone l’accento sui reali problemi che affliggono il Corpo e che prepotentemente, come sopra osservato, ciclicamente si presentano riempiendo le cronache giornaliere, quali: l’eccessiva gerarchizzazione e centralizzazione, l’assenza di sistemi oggettivi  di valutazione e misurazione della produttività, l’assenza di collegamento tra i meccanismi di avanzamento di carriera ed i  reali risultati operativi prodotti, l’eccessiva dipendenza degli avanzamenti di carriera a logiche di appartenenza, se non di vero e proprio servilismo, l’eccessiva e sproporzionata presenza di posizioni dirigenziali, l’eccessiva ed ingiustificata presenza di uffici non direttamente operativi, la sovrapposizione di compiti affidati a più Forze di polizia spesso senza adeguato coordinamento, l’eccessiva attenzione alla fase di repressione a discapito di quella di prevenzione, l’autoreferenzialità e l’eccessivo isolamento di una istituzione militare dalla società civile.

E’ necessario, finalmente,  affrontare  una tematica di così grande importanza non  tenendo conto dei vari interessi, più o meno corporativi, che investono la stessa.

Affrontare  con rigore una riforma del Corpo della Guardia di Finanza rendendolo civile, snello, fortemente indirizzato al controllo ed al contrasto di tutte le forme di criminalità economico-finanziario, di tutte le forme di evasione ed elusione nonché un incisivo e concreto impegno per il controllo del bilancio statale e comunitario anche  nella componente uscite.

 L' occasione da non perdere si presenta con l' attuale decreto di riforma della P. A. dove potrebbe essere introdotto un emendamento parlamentare attraverso il quale approvare norme dirette a favorire l' avvio formale, anche attraverso l' eliminazione di funzioni attualmente sovrapponibili,  della trasformazione  di un Corpo militare in una organizzazione fortemente specializzata in ambito giuridico, fiscale penale e amministrativo.

 

 


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