MAZZETTE & SPIGOLE. SE LA GDF È SOTTO ACCUSA. GLI AFFARI MOSE ED EXPO SOLO GLI ULTIMI DI UNA SERIE CHE HANNO INFANGATO LE FIAMME GIALLE: DALLE VICENDE LEGATE ALLA P2 ALLO SCANDALO-PETROLI (L’Unità)

martedì 01 luglio 2014

 

L’Unità – 12 giugno 2014

 

MAZZETTE & SPIGOLE. SE LA GDF È SOTTO ACCUSA

 

Gli affari Mose ed Expo solo gli ultimi di una serie che hanno infangato le Fiamme gialle: dalle vicende legate alla P2 allo scandalo-petroli. 

 

Di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchi a, da quando si chiamava Guardia confinaria e serviva per vigilare sui patrii confini. Dai dazi e alle gabelle, però, nessuno avrebbe immaginato che si sarebbe arrivati al «cerchio magico» di Giulio Tremonti e alle paludi Mose ed Expo, dalle quali si è alzata una pioggia di fango sulle divise della Guardia di Finanza. Le vicende dell’ex comandante generale in seconda, Emilio Spaziani, il generale che secondo l’accusa ha incassato 500mila euro (come acconto su una maxi mazzetta di 2.5 milioni) per pilotare le indagini sul Consorzio Nuova Venezia, o quelle del suo ex collega Marco Milanese, parlamentare Pdl più volte indagato, tanto vicino all’ex ministro Tremonti da essere considerato il dominus del suo «cerchio», oltre a colui che pagava l’affitto dell’appartamento capitolino, riportano alla memoria torbidi intrecci e zone d’ombra mai chiarite che riguardano proprio le Fiamme gialle.  

L’unico corpo di Polizia tributaria al mondo, osserva qualcuno, con la bellezza di 65.000 unità. Mettendoci anche il personale civile, i dipendenti della Finanza in Italia sono il triplo che negli Stati Uniti, in rapporto alla popolazione del paese. Per non parlare dei quadri alti, ufficiali di primo livello: un analogo numero di generali o gradi equivalenti del corpo dei carabinieri, che è numericamente il doppio (120.000). Senza contare il periodico batti e ribatti sulla necessità di intraprendere la strada della smilitarizzazione di un’Arma che su terreni molto scivolosi ci è finita già altre volte. 

Uno dei più rumorosi scandali che hanno scosso il corpo in epoca recente, infatti, risale al 1981, quando gli uomini delle Fiamme gialle guidati dal comandante Bianchi si sono presentati a Villa Wanda, nella dimora di Licio Gelli, con un mandato di perquisizione firmato all’epoca dai giudici Colombo e Tirone. Negli elenchi della P2 furono scoperti anche i nomi di 37 ufficiali della Guardia di Finanza, che a quanto pare però non furono particolarmente penalizzati dalla loro contiguità con la loggia Propaganda Due, se è vero che in buona parte hanno arricchito il loro cursus honorum con una carriera tutta verso l’alto. In quella lunga lista di ufficiali iscritti alla massoneria, inoltre, anche il nome del generale Orazio Giannini (tessera numero 832) che, raccontano, aveva raccomandato ai suoi uomini di usare molto tatto, al momento di mettere piede dentro Villa Wanda, per non dire che gli aveva proprio consigliato di non ficcare troppo il naso tra le carte del Venerabile. 

A volte, invece, i dubbi e le ombre sono arrivate da inchieste avviate, ma mai completate, come quella avviata a Palermo nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella. Accertamenti su conti correnti e movimenti bancari che furono interrotte dall’esecuzione del giudice Costa, o forse dal trasferimento dell’ufficiale che lavorava gomito a gomito col magistrato, il colonnello Pascucci. L’ombra dei cappucci massonici venne fuori anche in aula, durante il processo, quando un collega di Pascucci disse senza mezzi termini che nella vicenda era stata gestita dalla P2. Ancora più indietro nel tempo, ma non nel clamore scoppiato nell’opinione pubblica, il caso che ha legato il glorioso stemma delle Fiamme gialle allo scandalo petroli scoppiato a fine anni Settanta. Ossia il gigantesco traffico di oro nero che aveva evaso duemila miliardi di lire al fisco, un’indagine avviata nel 1978 e finita con le condanne di due generali, Raffaele Giudice e Donato Lo Prete, che gli era subentrato, accusati e giudicati colpevoli per le mazzette prese dai petrolieri nel contrabbando svolto in Veneto, tra Treviso e Vicenza.

Tutta la vicenda giudiziaria, e soprattutto la complessa indagine che l’aveva preparata, fu costruita su un dossier di alcune centinaia di pagine, allestito con grande fatica e pazienza da un altro ufficiale, il colonnello Aldo Vitali. Il documento risale al 1976 e costò molto a Vitali, a parte naturalmente il fatto di vedersi tolti i fascicoli dell’inchiesta. Vitali fu trasferito e sottoposto a mobbing psicologico dopo aver scoperchiato il maleodorante affaire-petrolio che arrivò a sentenza nel dicembre 1981 al Tribunale di Torino, dopo una serie di tortuosi giri che servirono esclusivamente a far desistere i magistrati trevigiani dallo scavare nella vicenda. Un buco nero nell’onore delle Fiamme gialle che all’epoca sfociò anche in una specie di regolamento di conti interno al corpo, a suon di dossier e accuse anonime, per screditare nomi e carriere. 

L’onda di fango non risparmiò la politica, all’alba di quello che ai tempi nostri è diventato un domino ineluttabile, all’epoca facendo da precedente insieme all’altrettanto grave scandalo Lockheed. Toccò Aldo Moro e la Dc, quando il suo braccio destro Sereno Freato fu accusato di essere l’interfaccia politica di petrolieri e ufficiali corrotti, ma anche ci furono effetti anche su esponenti del Psi. In confronto, sembrano un peccato veniale le spigole che il comandante generale Roberto Speciale si faceva recapitare, con un velivolo militare usato ad personam, da Pratica di Mare alla Scuola alpina di Predazzo, dove l’ufficiale villeggiava con i suoi familiari. Ma di spigola in spigola, a volte, si finisce dritti in padella.


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