PENSIONI, QUANDO SI CAMBIANO LE REGOLE DEL GIOCO
Riceviamo da B.P., moglie di un ispettore della GDF, la lettera che integralmente pubblichiamo.
Tutto ciò era perfettamente conosciuto all'atto dell'incorporamento, però era noto che siffatte penalizzazioni, aggiunte alle limitazioni di molti diritti fondamentali previste dalle norme di disciplina militare e relativo regolamento, venivano accettate perché di contro v'era il fatto che già dal 20° anno era possibile lasciare il Corpo avendo diritto ad una pensione minima; mentre al compimento del 30° anno di servizio il militare-finanziere aveva maturato il massimo pensionabile.
Ora però, le riforme sulle pensioni succedutesi dal 1992 hanno dapprima innalzato il PERIODO MINIMO a 25 anni per poi, nel 1997, portarlo a 40 anni di contributi e 57 anni di età .
Tali riforme, ovviamente necessarie per il bilancio pubblico, hanno però creato una situazione di estremo disagio nei militari che essendosi arruolati molti anni prima (dopo il 1973) sono invece costretti a permanere coattivamente per decisione unilaterale nello status militare così continuando a non poter esercitare importantissimi diritti fondamentali e limitando anche le azioni della famiglia - ad es. se un parente, anche affine, di un militare della G.di. F. avvia un'attività imprenditoriale viene trasferito per incompatibilità ambientale.
E' giusto che ciò avvenga anche per il personale che dopo il 1992 ha maturato almeno 20 anni di servizio ?
E' legittimo che egli debba limitare se stesso e la famiglia per mutazione dei termini "contrattuali" avvenuta per volontà unilaterale ed in modo coattivo ?
Sarebbe possibile, per chi ha raggiunto quei traguardi previsti all'atto di incorporamento - non dico una pensione - ma almeno ottenere una mobilità nel pubblico impiego che, tenendo conto del livello professionale e delle progressioni di carriera, conceda l'opportunità di esercitare i diritti per tanti lustri soppressi ?
Spero che il tema sia oggetto di riflessione.
Grazie.
B.P."""