AUTORICICLAGGIO, COLPITO MA NON AFFONDATO. ANZI …- di Cleto Iafrate

giovedì 18 settembre 2014

Ce lo chiedeva con insistenza Bruxelles; la Corte dei Conti lo aveva inserito tra le varie questioni ancora da risolvere nel suo ultimo rapporto; addirittura la Guardia di Finanza - nonostante il tradizionale basso profilo sulle questioni spinose  - aveva sottolineato la necessità di introdurre il reato di autoriciclaggio, per “rendere ancora più incisiva l'attività di contrasto al riciclaggio stesso e all'evasione fiscale”. E lo aveva fatto per bocca del comandante del III reparto Operazioni, il quale nel corso dell’audizione alla Commissione Finanze della Camera, tenutasi a inizio marzo, aveva affermato che allo stato l'attuale la normativa "non consente di punire a titolo di riciclaggio e di reimpiego, chi abbia commesso o concorso a commettere i reati da cui tali beni, denaro o altre utilità provengono”.

Il vigente Codice penale, infatti, all’art. 648-bis, comma 1, commina la reclusione da 4 a 12 anni per chiunque, “fuori dai casi del concorso nel reato”, “sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa”. Ai fini dell'integrazione del reato, quindi, è richiesto che il soggetto che compie la condotta incriminata (riciclatore) sia estraneo al fatto illecito da cui proviene il denaro (o le altre utilità), pur essendo a conoscenza della provenienza delittuosa del bene che provvede a sostituire o trasferire.

Sulla questione ultimamente era intervenuto anche il ministro dell'Interno, il quale aveva dichiara: "Il Governo agirà sull'autoriciclaggio, si sta approfondendo la materia, ci sono tuttavia dubbi di costituzionalità sull'eventuale introduzione di questo reato".

Ultimati gli approfondimenti, è stato finalmente introdotto anche nell’ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio. Ciò a seguito dell’approvazione - da parte del Consiglio dei Ministri - dello schema di disegno di legge sul contrasto alla criminalità organizzata e alla costituzione di patrimoni illeciti, in data 29 agosto scorso.

L’art. 3 dello schema di Ddl ha riscritto l’art. 648-bis c.p.; la cui nuova formulazione, al secondo comma, punisce il reimpiego dei proventi derivanti da attività illecita compiuto dallo stesso soggetto che ha commesso il reato presupposto. Per la sua configurazione, però, richiede un dolo specifico, costituito dal fine “di procurare a sé o ad altri un ulteriore vantaggio in attività imprenditoriali o finanziarie”.

E’ proprio la Relazione illustrativa al provvedimento a chiarirlo: “il riferimento alle attività imprenditoriali o finanziarie riguarda ciascuna delle condotte alternativamente indicate e non deve essere letto soltanto in relazione con la condotta di impiego.

Il fine specifico dell’ulteriore vantaggio qualifica, pertanto, ciascuna delle condotte che, come appena detto, assumono rilievo penale in termini di c.d. autoriciclaggio, ove siano poste in essere nell’ambito di un’attività imprenditoriale o finanziaria … l’intervento normativo ha dunque il pregio di valorizzare la natura essenzialmente finanziaria e imprenditoriale delle operazioni”.

Dalla lettera della norma, emerge che il mero “impiego” di denaro proveniente dal delitto commesso per motivi diversi dall’attività imprenditoriale o finanziaria - per esempio, per acquistare un’abitazione privata per sé o per i propri familiari - non configura il reato di autoriciclaggio per carenza dell’elemento soggettivo; addirittura parrebbe che la configurabilità del reato sia esclusa anche nel caso in cui il denaro sia reimpiegato in attività professionali.

Forse gli approfondimenti che hanno preceduto la stesura dell’articolo sono stati un po’ troppo lungimiranti, tant’è che la nuova formulazione della norma mi pare pensata più in funzione dell’elettore che non dell’evasione.

 

CLETO IAFRATE

Condirettore laboratorio delle idee FICIESSE

Presidente della Sezione FICIESSE di Taranto


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