DIRITTI SINDACALI AI MILITARI PER ARRICCHIRE LA DEMOCRAZIA. È INTERESSE DI TUTTI CHE ANCHE I CITTADINI MILITARI SIANO CONSIDERATI NON SONO SOLO DEI PERCETTORI DI REDDITO - di Vincenzo Vacca

venerdì 02 gennaio 2015

La recente sentenza della Corte Europea che ha accolto il ricorso di alcuni militari francesi in ordine al riconoscimento di diritti sindacali e/o associativi per chi riveste lo status militare con la conseguente apertura su questa tematica da parte del Governo francese offrono qualche motivo in più per ben sperare sull’orientamento che avrà la stessa Corte relativamente a quelli presentati dai militari italiani.

Sarebbe prova di sagacia politica se anche il Legislatore italiano provvedesse a riformare l’attuale disciplina circa le Rappresentanze militari che, nonostante la buona volontà e l’impegno profusi dai componenti delle stesse, sono oggettivamente impedite per esercitare efficacemente una attività volta a tutelare in pieno i lavoratori in divisa.

Di fatto, se ci fosse un pronunciamento della Corte Europea prima che il Parlamento avesse approvato una legge di riforma di vera rappresentanza dei militari italiani, il Governo certamente non farebbe una bella figura. Come già detto, tutto lascia pensare in un accoglimento delle istanze dei ricorrenti e, quindi, sarebbe ancora più platealmente evidente la lentezza con la quale si sta procedendo per garantire i diritti sindacali per i militari.  

Come noto ai nostri lettori, sono in esame diversi progetti di legge, ognuno dei quali con maggiore o minore apertura in tema di riconoscimento dei diritti.

Con questo  articolo non si vuole entrare nel merito degli stessi. Come Ficiesse abbiamo più volte e in varie sedi espresso le nostre valutazioni relativamente ai propositi di riforma delle Rappresentanze militari e, relativamente alla Guardia di finanza, abbiamo proposto in quale contesto istituzionale andrebbe inserito questo Corpo di Polizia per sviluppare in pieno le potenzialità dello stesso.

Vorremmo, invece, evidenziare lo spirito del nostro tempo con il quale si attua l’attività politico – parlamentare e, quindi, anche quella che dovrebbe riformare in senso progressivo il comparto delle Forze Armate e dei Corpi di Polizia a ordinamento militare.

Ci riferiamo all’atteggiamento  complessivo, salvo qualche rara eccezione di qualche parlamentare, da parte  delle forze politiche che si caratterizza da una scarsa o assente capacità di tematizzare l’argomento che pure è di fondamentale importanza per l’assetto democratico del nostro Paese.

Riconoscere diritti sindacali o quanto meno associativi ai cittadini in divisa non costituisce solo un soddisfacimento delle legittime richieste di quest’ultimi, ma dovrebbe rappresentare una insopprimibile esigenza di tutti quelli che credono nella democrazia che, a detta di tutti, è in affanno.

La crisi della democrazia che stiamo vivendo, se non vogliamo che degeneri in un totale trionfo dell’antipolitica (tra l’altro richiamata nel discorso di fine anno dal Presidente della Repubblica), può e deve essere affrontata aumentando le occasioni di partecipazione civile sia come singoli sia come organismi collettivi e, pertanto, quale migliore occasione individuare dei percorsi e dei luoghi istituzionalmente disciplinati per  stimolare al concorso della gestione della cosa pubblica le centinaia di migliaia di  militari. Questo tipo di operazione rientrerebbe a pieno titolo in una idea di democrazia inclusiva nella quale e per la quale il maggior numero possibile di cittadini si attivano con le loro idee e le loro proposte per migliorare l’assetto della società nel suo complesso.

Lo spirito della riforma delle Rappresentanze dovrebbe incentrarsi non solo e non tanto su come garantire dei diritti a lavoratori che gli sono sempre stati negati, ma anche e soprattutto su come stimolare questi lavoratori a partecipare alla vita democratica del Paese. La democrazia di un Paese non è fatta solo di elezioni, di confronti parlamentari o quant’altro. Certo queste  cose sono  vitali, ma il tessuto democratico è rafforzato dalla possibilità da parte di tutti di contribuire in termini di idee e di partecipazione. Questo incentiva anche un processo di responsabilizzazione perché fa acquisire una visione d’insieme nella dialettica fra categorie di lavoratori.

La questione vera è come rendere possibile che anche le idee e le proposte dei militari rientrino a pieno titolo nel gioco democratico che, altrimenti, continuerebbe a essere monco, non inclusivo, appunto.

In fondo è interesse dello Stato democratico, nonché della società civile che il mondo militare sia coinvolto a pieno titolo nella democrazia (certo con dei limiti, attesi i particolari compiti istituzionali a cui i militari sono chiamati a svolgere).

Insomma, è interesse di tutti che anche i cittadini militari siano considerati non sono solo dei percettori di reddito, e che gli stessi non si sentano tali, ma delle persone che, oltre a onorare con “disciplina e onore” il loro lavoro, prendono parte alla democrazia del nostro Paese.

 

Vincenzo Vacca

Segretario Nazionale Ficiesse


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