INTRODUZIONE DELLA NON PUNIBILITA’ PER “PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO” AVRA’ RIFLESSI CATASTROFICI SULLA GIUSTIZIA PENALE MILITARE – di Giovanni Surano

mercoledì 25 marzo 2015

 

Con l’approvazione del D. Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 – pubblicato in G.U. n. 64 del 18 marzo 2015– il Governo, nel dare attuazione all’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge delega 28 aprile 2014 n. 67, ha introdotto nel nostro ordinamento penale come causa di non punibilità, “la particolare tenuità del fatto”, istituto giuridico già previsto nel processo penale minorile e per tutti quei reati di competenza del Giudice di pace.

In sintesi, si tratta di un istituto che si propone per un verso di evitare il giudizio penale per questioni c.d. bagatellari e quindi di ridurre il numero dei procedimenti penali pendenti, e per altro verso consentirà di sperimentare una giustizia penale conciliativa e riparativa, che sia al passo coi tempi e degna di un paese civile qual è l’Italia.

Il provvedimento, che entrerà in vigore il 2 aprile 2015, ha quindi introdotto nuove norme sia di diritto penale sostanziale che di diritto penale processuale.

Per ciò che riguarda le modifiche al codice penale, il nuovo articolo, il  131 bis c.p., rubricato “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” al primo comma prevede: “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. 

Lo stesso articolo prevede, poi, al secondo comma, tutti quei casi in cui l’offesa non può comunque essere ritenuta di particolare tenuità, che dunque sfuggono dall’ambito applicativo del primo comma: “quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.

Infine, il terzo comma, definisce la nozione di comportamento abituale, statuendo che tale requisito è integrato “nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”. Il quarto comma tratta della determinazione della pena.

La parte processuale, che in conseguenza dell’introduzione dell’art. 131-bis c.p. è stata modificata, è in primis l’art. 411 c.p.p. che statuisce che tra gli altri casi di archiviazione deve essere contemplato anche quello per particolare tenuità del fatto e che se l’archiviazione è richiesta per tale motivo “il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’art. 409, comma 2, e, dopo aver sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e. se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’articolo 409, comma 4 e 5”.

In secondo luogo è stato modificato l’art.  469 c.p.p e introdotto il nuovo articolo 651-bis c.p.p.: il primo è stato modificato nel senso che la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile per la particolarità tenuità del fatto; il nuovo articolo, invece, salvaguarda il diritto della persona danneggiata dal reato rispetto all’azione civile, statuendo che laddove l’imputato venga prosciolto dal reato per tenuità del fatto, quel fatto rimane comunque accertato nella sua componente lesiva ed è suscettibile di giudizio davanti al giudice civile.  

Dal combinato disposto delle modifiche sostanziali e processuali si può riassumere il seguente schema e considerazioni:

Condizioni affinché l’indagato/imputato possa invocare la non punibilità per “particolare tenuità del fatto” (art. 131-bis c.p.):

  • Il reato commesso deve rientrare tra quelli puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta a quella detentiva;
  • Non abbia già commesso altri fatti che risultano simili per condotta, scopo od oggetto di offesa;
  • Non abbia commesso un reato che riguarda comportamenti abituali, plurimi o reiterati (es: il caso dello stalking);
  • Non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza;
  • Non abbia agito per motivi futili o abbietti;
  • Non abbia agito con crudeltà o con sevizie;
  • Non abbia approfittato delle condizioni di età o di altre condizioni della vittima (es.: anziano, minore, disabile);
  • Il reato non abbia provocato nella vittima lesioni gravissime o la morte.

 

Profili processuali (artt. 411, 469, 651-bis c.p.p)

Come si diceva, la non punibilità per “particolare tenuità del fatto” può essere pronunciata: 

- ex art. 411 c.p.p., nella fase delle indagini preliminari con decreto di archiviazione (Gip);

- ex art. 425 c.p.p., all’esito dell’udienza preliminare in camera di consiglio con sentenza di non luogo a procedere (Gup);

- ex art. 469 c.p.p., alla prima udienza in camera di consiglio con sentenza di proscioglimento prima del dibattimento (Tribunale);

- ex art. 529 c.p.p., all’esito del giudizio con sentenza di proscioglimento (Tribunale).

Nel corso delle indagini preliminari è il magistrato del Pubblico ministero, laddove ritenesse soddisfatte le condizioni di cui all’art. 131-bis c.p., a chiedere al giudice (giudice per le indagini preliminari – ndr) l’archiviazione perché il fatto è di particolare tenuità. In tal caso, il pubblico ministero deve informare della richiesta la persona offesa del reato. Questa, nel termine di 10 giorni dalla comunicazione, può dichiarare di opporsi alla richiesta di archiviazione, esponendone le ragioni: ad esempio la vittima del reato potrà dimostrare di aver subito un danno grave a causa del reato (es: le lesioni gravissime causate dalle  percosse), o, ancora, che l’indagato ha agito per motivi futili o ha commesso più volte gli stessi fatti ecc.. Ad opporsi all’archiviazione può tuttavia essere lo stesso indagato, quando ritiene di essere estraneo al fatto addebitatogli, oppure che il fatto non sussiste, che il fatto non costituisce reato oppure ancora che il fatto non è previsto dalla legge come reato, ottenendo in tal caso, all’esito del giudizio ad egli favorevole, una sentenza in melius rispetto al proscioglimento per “tenuità del fatto”.  In ogni caso, se c’è opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico ministero, il giudice (giudice per le indagini preliminari) fissa un’udienza nella quale decide o per l’archiviazione, o per il compimento di ulteriori indagini, o infine ordina al Pubblico ministero di formulare il capo d’imputazione o di citare a giudizio l’indagato per essere processato, a seconda che il reato rientri tra quelli con rito a udienza preliminare o a citazione diretta.

Questo non significa che si andrà comunque a giudizio, o meglio, alla fase dibattimentale, perché può ancora accadere che il giudice nella prima udienza, contrariamente a quanto ravvisato dal Gip nella fase delle indagini preliminari o del Gup all’udienza preliminare, egli ritenga di poter applicare la nuova disciplina senza procedere al giudizio, e quindi proscioglie ex art. 469 c.p.p. l’imputato.

Laddove si arrivasse alla fase dibattimentale, se le prove acquisite al processo (documenti, testimonianze ecc.) dimostrassero che il fatto è di particolare tenuità e tutte le condizioni di cui all’art. 131-bis c.p. fossero soddisfatte, il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento ex art. 529 c.p.p. perché l’imputato non è punibile.  

Alla luce delle suddette modifiche, per rimanere nella ratio della norma, è auspicabile che casi di non punibilità per tenuità del fatto vengano conclusi con il proscioglimento dell’indagato nella fase delle indagini preliminare e che il ricorso alla fase dibattimentale costituisca un’eccezione.

Riflessi demolitivi per la Giustizia militare

Se la recente modifica è stata salutata con ampio favore dalla magistratura penale ordinaria, non foss’altro perché la bozza del disegno di legge delega presentata dal Ministro Orlando recepiva le richieste avanzate dall’Associazione Nazionale Magistrati, la stessa cosa non può dirsi per la magistratura militare, che, per motivi opposti, avrà accolto la modifica in parola come una tegola sulla testa.

La magistratura ordinaria aveva infatti l’urgenza di un simile provvedimento, da una parte per finalità meramente deflattive e quindi per alleggerire l’enorme carico di lavoro di Procure e Tribunali, dall’altra per una finalità più “ambiziosa” e “giusta” di escludere dall’area della punibilità una fascia di condotte ritenute non sufficientemente gravi da far scattare la “massima” sanzione che il nostro ordinamento conosce: quella penale. Ed infatti il legislatore si è mosso nell’ottica di un bilanciamento fra i principi costituzionali della obbligatorietà dell’azione penale ( articolo 112) e della necessaria finalità rieducativa della pena (articolo 27) che presuppone la proporzionalità fra la sanzione irrogata e la condotta commessa.

La magistratura militare, invece, da almeno un decennio aveva (ha) l’urgenza opposta, quella di autoconservarsi, vale a dire quella di aumentare gli esigui carichi di lavoro (60 cause l’anno!) per scongiurare ogni ipotesi di sua riforma in senso demolitivo.

E’ ancora nitido il ricordo di quella circolare emanata dal Procuratore militare di Verona con cui “consigliava” ai comandanti di Corpo di denunciare ogni assenza dal servizio che superasse i trenta giorni, sebbene giustificata da certificati medici.  

Con la nuova legge che ne sarà della magistratura militare?

Se si considera che il 90% dei procedimenti penali militari riguardano proprio quei reati c.d. bagatellari la cui soglia massima di pena è ampiamente sotto i cinque anni di reclusione, e quindi astrattamente rientranti nella “particolare tenuità del fatto” ex art. 131-bis c.p., la risposa sensata non può che essere una sola: abolire la giustizia militare per tenuità del fatto!

Giovanni Surano

Ficiesse – Sezione di Lecce

giovanni.surano@libero.it 


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