LA DIFESA HA UN PIANO STRATEGICO, LA SICUREZZA NO. SERVE UN “LIBRO BIANCO SICUREZZA” di Gianluca Taccalozzi

giovedì 23 aprile 2015

Saranno anche state contingenze esterne (missioni internazionali, contesto geo-politico, nuove minacce terroristiche, ecc.), è d’altronde noto che nella pubblica amministrazione niente si trasforma senza “input” esterni, tutto si fa solo se e quando si è “costretti”, ma devo ammettere che lo Stato Maggiore Difesa ha intrapreso un percorso di riforma che segue una logica corretta: “Cosa dovranno fare le Forze Armate adesso e nei prossimi quindici-venti anni?”; “Sono adeguatamente organizzato?”; “Come mi devo organizzare per rispondere a queste sfide?”; “Quali sono le risorse disponibili nei prossimi anni?”; “Come finanzio il progetto senza risorse extra-budget?”.

In buona sostanza, la Difesa, partendo dai compiti che sarà chiamata a svolgere nei prossimi anni, ha preso coscienza dei suoi problemi, li ha analizzati e sta provando a risolverli da sola, senza attendere gli eventi, senza rimbalzare la responsabilità alla politica e senza subire inerte altri tagli. Il “Libro Bianco Difesa” appena approvato dal Consiglio Supremo di Difesa non è altro che la rappresentazione di questa visione ed il veicolo politico con cui si intende dargli concretezza.

Senza entrare nel merito (ci sono molti aspetti discutibili, primi fra tutti l’isolamento dell’ambiente militare dal resto dell’ordinamento democratico ed il ricollocamento dei precari-veterani), credo che il metodo utilizzato dalla Difesa sia corretto, intelligente e lungimirante. La Difesa sta dimostrando visione, coraggio e forza. Tutte qualità che continuano a latitare nel settore sicurezza, dove si continua a ragionare di “aria fritta”, senza un’idea organica, senza analizzare le criticità, senza pensare a soluzioni strutturali, senza una visione.

Da decenni il comparto sicurezza è praticamente fermo, organizzato secondo un modello  pensato per un Paese che non c’è più (Legge 121), basato su un concetto di sicurezza limitato al solo ordine pubblico, articolato su strutture di carriera e di retribuzione arcaiche ed appiattite ed inquinato da un’estrema autoreferenzialità.

Dal 2008 a questa parte, le pesanti manovre economiche di stabilizzazione dei conti pubblici hanno poi taglieggiato il budget dedicato alla sicurezza, ridotto all’osso gli organici e colpito gli stipendi degli operatori. In sostanza si è pensato solo a tagliare linearmente la spesa (senza risolvere sprechi ed improduttività) riducendo la qualità e la quantità del servizio, mentre il fabbisogno di sicurezza è aumento esponenzialmente.

Invece di affrontare organicamente la questione, si continua a “vivacchiare” (sperando che un giorno torni l’epoca dell’allegra gestione del bilancio pubblico, dei riordini e dell’allegra concertazione) cercando di schivare i colpi nascosti nelle manovre finanziarie o in altri provvedimenti che poco hanno a che vedere con il settore (es. DDL Madia).

Una situazione che espone amministrazioni ed operatori della sicurezza al rischio di continuare a subire iniziative concepite in altri ambiti o con obiettivi del tutto estranei (Difesa, Pubblico Impiego, Legge di Stabilità, manovre economico-finanziarie, ecc.).

No, non è questa la strada. Sarebbe ora che anche nel settore sicurezza si affronti la questione seguendo un percorso corretto e lungimirante. “Cosa serve al Paese per garantire la sicurezza nei prossimi venti anni?”; “Chi fa cosa? e come si organizza?”; “Quale è il budget a disposizione nei prossimi anni?”. Tutte domande che nessuno si è posto e nessuno si pone. Sembra che tutto vada per il meglio, che tutto funzioni, che tutto sia non migliorabile, che l’unico problema sia la scarsità delle risorse, salvo poi fare i conti con una realtà che racconta un’altra verità.

Sulla sicurezza non si scherza. Sulla sicurezza non si improvvisa. Sulla sicurezza non si ragiona con emendamenti dell’ultimo minuto. Serve un piano strategico e non interventi scoordinati, strabici e occasionali. Serve al Paese, serve ai cittadini, serve alle amministrazioni e serve agli operatori.

Servirebbe un “Libro Bianco Sicurezza”, coordinato dalla politica, affidato alle Istituzioni ed agli addetti ai lavori, ma aperto ai suggerimenti della società civile e di tutti gli stakeholder.

Gianluca Taccalozzi - Delegato Cocer Guardia di Finanza


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