CONTI ANCORA A RISCHIO SU AGGI E BLOCCO DEGLI STIPENDI PUBBLICI (Il Sole24Ore)

lunedì 11 maggio 2015

Il Sole24Ore - 09/05/2015

CONTI ANCORA A RISCHIO SU AGGI E BLOCCO DEGLI STIPENDI PUBBLICI

di Gianni Trovati

Per gli appassionati di battaglie costituzionali, e per i (più numerosi) osservatori preoccupati degli equilibri di finanza pubblica, dopo il caso-pensioni sono già in programma al palazzo della Consulta altri due appuntamenti chiave prima dell'estate.

Battaglia sull'aggio
La prima data da segnare è il 26 maggio, quando i giudici delle leggi discuteranno della legittimità dell'aggio (8%) chiesto da Equitalia sulle somme riscosse a ruolo. Di questa "tassa sulla tassa", che si calcola su tutte le somme iscritte a ruolo a prescindere dai costi reali di riscossione e quindi si trasforma di fatto in una sanzione aggiuntiva, si discute da anni e si promettono per legge riduzioni drastiche mai attuate, e sarà quindi la Corte a dire l'ultima parola: un'eventuale bocciatura taglierebbe di netto un'entrata da mezzo miliardo all'anno, ma soprattutto potrebbe costare altri 2-3 miliardi per restituire gli arretrati degli ultimi 5 anni (fino al 2013 l'aggio era del 9%). Numeri pesanti, che però impallidiscono a confronto di quelli al centro del secondo appuntamento, in calendario il 23 giugno.

I contratti del pubblico impiego
Quel giorno tornerà in discussione il blocco ai rinnovi contrattuali e agli stipendi individuali dei dipendenti pubblici, che in cinque anni è costato a statali e colleghi circa 12 miliardi di euro. In passato la Corte costituzionale ha già avuto modo di esprimersi sul tema, e ha concluso che la crisi economica giustifica i sacrifici chiesti al pubblico impiego «in una dimensione solidaristica e per un periodo di tempo limitato» (sentenza 310/2013). Di proroga in proroga, però, il congelamento delle buste paga si è fatto sempre meno provvisorio e sempre più strutturale, e i sindacati sono tornati all'attacco chiedendo al Tribunale di Roma di riportare il dossier alla Consulta.

Ancora pensioni
Anche per le pensioni, comunque, gli esami non finiscono mai. In gioco c'è ancora il «contributo di solidarietà» che preleva quote crescenti di pensione a chi riceve più di 14 volte il trattamento minimo (quindi da 90mila euro circa in su): già cancellato dalla sentenza 116/2013, è stato reintrodotto dalla manovra del Governo Letta (comma 486) precisandone il «carattere straordinario» e le finalità di finanziamento delle salvaguardie per gli esodati. Nemmeno questo è bastato alla Corte dei conti, che ha rimandato il tutto ai giudici delle leggi, e la stessa scelta è stata compiuta dalla commissione per il personale della Camera dei deputati, per risolvere una battaglia con 349 dipendenti di Montecitorio: per paradosso, insomma, gli stessi deputati che hanno votato il contributo di solidarietà hanno poi sollevato la questione di costituzionalità. Il problema riguarda circa 50mila pensionati e vale 52 milioni netti all'anno, ma più delle risorse è il principio ad animare il dibattito: e a preoccupare chi, nella ridda di ipotesi di questi giorni, pensa di chiedere ai "pensionati d'oro" un aiuto per finanziare le restituzioni agli altri. I magistrati contabili di Reggio Calabria, però, hanno deciso di fare un passo ulteriore, e oltre al comma 486 hanno chiesto alla Corte di occuparsi anche del 483, vale a dire quello che frena progressivamente l'indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo (senza cancellarla del tutto come faceva la norma della manovra Monti appena bocciata). Certo, in questo caso una dichiarazione di illegittimità rappresenterebbe un colpo di scena, in contrasto con la lettura dominante della sentenza che la scorsa settimana ha cancellato la manovra Monti anche per l'assenza di progressività, e comunque non è il caso di avventurarsi in calcoli sui costi che sarebbero ancora una volta pluri-miliardari.

Imu e Tares
Anche il decreto «salva-Italia», appena cannoneggiato dalla sentenza sulle pensioni, continua a essere sotto esame. Il prossimo riguarderà gli articoli 13 e 14 della manovra Monti, quelli che hanno istituito l'Imu e la Tares (oggi Tari; si tratta delle varie metamorfosi delle tasse sui rifiuti). Il problema è rappresentato dal fatto che sia l'Imu sia la Tari sono state caratterizzate da una «quota erariale», che cioè è andata allo Stato in cambio di tagli equivalenti agli enti locali. Il meccanismo non è andato giù alle Regioni autonome (e a suo tempo quelle ordinarie, dopo parecchio dibattito interno, hanno rinunciato al ricorso), per le quali ogni dare-avere con lo Stato dovrebbe passare attraverso un accordo in base alle procedure previste da ogni Statuto.


Tua email:   Invia a: