I FINANZIERI POSSONO SOFFIARE IL FISCHIETTO? - di Cleto Iafrate

martedì 30 giugno 2015

 

La parola «whistleblower» deriva dalla frase «to blow the whistle», letteralmente «soffiare il fischietto», e si riferisce all'azione dell'arbitro nel segnalare un fallo o a quella di un poliziotto che tenta di fermare un'azione illegale.

Nel diritto anglosassone il termine identifica un individuo che denunci pubblicamente o riferisca alle autorità attività illecite o fraudolente all'interno di un apparato governativo oppure di un'organizzazione pubblica o privata.

Le rivelazioni possono essere di varia natura: violazione di una legge o un regolamento, minaccia di interesse pubblico come in caso di corruzione e frode. Lo scandalo Watergate, per esempio, è partito proprio dalle rivelazioni di un informatore segreto interno.

La legge n. 190/2012 - "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione" - ha introdotto, per la prima volta in Italia, una norma specificamente diretta alla regolamentazione del whistleblowing nell’ambito del pubblico impiego.

Il tema è presente nelle previsioni di cui al comma 1 del nuovo art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001, che espressamente dispone:

«Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'art. 2043 codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'Autorità Giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia».

Anche la Guardia di Finanza, al pari di altre amministrazioni, ha recepito il pacchetto anticorruzione, lo ha fatto all’interno del “Piano triennale di prevenzione della corruzione 2015-2017”.

La disciplina del whistleblowing è stata inserite nel paragrafo 3.9 - “Tutela del dipendente che effettui segnalazioni di illecito (cd. whistleblower)”[1] – che così recita:

«La concreta attuazione delle disposizioni di cui all’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 – introdotto dalla legge anticorruzione – e delle istruzioni dettate dal P.N.A.26 non appaiono, come già osservato nel Piano triennale 2014/2016, concretamente applicabili al Corpo, in considerazione:

a. delle qualifiche di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria dei suoi appartenenti (con conseguente obbligo di denuncia dei fatti costituenti reato, ai sensi delle vigenti disposizioni del c.p.p.);

b. dello status giuridico di militare rivestito dai finanzieri, cui conseguono doveri informativi verso i Superiori previsti dal Codice dell'ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010) e dal Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (D.P.R. 90/2010).

Pur tuttavia, atteso che le prescrizioni del Piano sono estese anche al personale civile operante, nell’ambito di un rapporto contrattuale, per conto o all’interno delle strutture del Corpo (cfr. par. 1.7), la disciplina in esame è applicabile evidentemente a questi ultimi.”

Da una prima lettura, con particolare attenzione al punto a), parrebbe emergere che la disciplina non costituisce una novità per il Corpo poiché il finanziere, in virtù delle sue qualifiche di polizia giudiziaria, deve comunque denunciare all'Autorità Giudiziaria o alla Corte dei conti le condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.

Un tale interpretazione, però, non si coniuga con la premessa  (“la disciplina del whistleblowing non appare applicabile al Corpo”) e con le conclusioni (“la disciplina in esame evidentemente è applicabile solo al personale civile operante all’interno delle strutture del Corpo”).

Da un esame più analitico della norma parrebbe emergere, al contrario, che il motivo della pretesa esclusione del Corpo dalla disciplina del whistleblowing, risieda nella motivazione esposta nel successivo punto b): lo status militis rivestito dai finanzieri.

Quando si parla di “doveri informativi verso i Superiori derivanti dallo status giuridico di militare”, infatti, ci si riferisce ai doveri che derivano dagli artt. 715, comma 2, e 748, comma 5, lettera b) del DPR n. 90/2010.

Il primo impone al militare di osservare la via gerarchica nelle relazioni di servizio e l’altro gli impone di dare sollecita comunicazione al proprio comando degli eventi in cui viene coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio.

In passato, interpretando ed applicando le citate norme, si è addirittura proceduto a sanzionare disciplinarmente con 3 giorni di consegna[2] un ufficiale di polizia giudiziaria a status militis con la seguente motivazione: “per essersi recato presso l’autorità giudiziaria militare per rappresentare fatti attinenti il servizio nel mancato rispetto dei rapporti gerarchici e senza informare tempestivamente, preventivamente o successivamente, il superiore diretto dell’avvenuto incontro con l’autorità giudiziaria”. Si consideri che nel caso di specie, il fatto ritenuto penalmente rilevante coinvolgeva proprio l’operato e il comportamento dei superiori gerarchici.

Stando così le cose, parrebbe che le amministrazioni militari abbiano scelto di comprimere la complessa disciplina del whistleblowing riducendo il numero dei soggetti preposti alla ricezione della segnalazione da tre - l’Autorità Giudiziaria, la Corte dei Conti e il superiore gerarchico - ad uno: il superiore gerarchico.

E in caso di segnalazioni che abbiano ad oggetto atti commessi dallo stesso superiore gerarchico?

Ci si domanda: ma è possibile che i regolamenti militari, che nella gerarchia delle fonti sono subordinati alla legge, abbiano anestetizzato la portata della disciplina del whistleblowing sottraendo così alla giustizia un valido strumento nella lotta contro la corruzione?

La risposta la forniscono tre magistrati del TAR della Campania che hanno firmato la sentenza nr. 03158/2014[3], che riguarda il caso a cui prima ho fatto cenno: «..il diritto di denuncia non può essere soggetto, attraverso la minaccia della sanzione, ad una sorta di filtro gerarchico. Una diversa interpretazione condurrebbe alla inaccettabile conclusione che il militare venuto a conoscenza di un reato in qualche modo connesso al servizio che espleta, non potrebbe denunciarlo dovendo rivolgersi esclusivamente agli organi interni gerarchicamente sovraordinati[4]..».

Disquisizione lunga, ma ne è valsa la pena perché a questo punto possiamo fornire una risposta ragionata alla domanda di partenza.

CERTAMENTE SI. ANCHE I FINANZIERI POSSONO SOFFIARE IL FISCHIETTO.

Si auspica, infine, che il prossimo piano triennale di prevenzione della corruzione preveda, come già avviene in altri Paesi, anche dei meccanismi premiali – elogi o encomi, semplici o solenni - per il finanziere-whistleblower.

 

Cleto Iafrate

Direttore laboratorio delle idee FICIESSE

Presidente della Sezione FICIESSE di Taranto

 


[1] «La concreta attuazione delle disposizioni di cui all’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 – introdotto dalla legge anticorruzione – e delle istruzioni dettate dal P.N.A.26 non appaiono, come già osservato nel Piano triennale 2014/2016, concretamente applicabili al Corpo, in considerazione:

a. delle qualifiche di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria dei suoi appartenenti (con conseguente obbligo di denuncia dei fatti costituenti reato, ai sensi delle vigenti disposizioni del c.p.p.);

b. dello status giuridico di militare rivestito dai finanzieri, cui conseguono doveri informativi verso i Superiori previsti dal Codice dell'ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010) e dal Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (D.P.R. 90/2010).

Pur tuttavia, atteso che le prescrizioni del Piano sono estese anche al personale civile operante, nell’ambito di un rapporto contrattuale, per conto o all’interno delle strutture del Corpo (cfr. par. 1.7), la disciplina in esame è applicabile evidentemente a questi ultimi.”

 

[2] Per un approfondimento sulla sanzione di Corpo della consegna si veda IL PARADOSSO DI UN'EUROPA PIU' ATTENTA A FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTA' PERSONALE DEI CITTADINI MILITARI”, pubblicazione online.

[3] Di seguito il link che rimanda alla sentenza:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=2TWU57Y2I7OEHHXHS5LBDYRBLQ&q=Stazione or Scali or Marittimi

[4]Una tale conclusione emerge anche dai risultati della prova di laboratorio, esposta nella delibera n. 4/15/XI licenziata dal Co.Ba.R. affiancato al Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza: i risultati di laboratorio hanno stabilito, infatti, che l’aria tiepida rilevata al flir non era di origine “spiritosa” ma di natura “gassosa”. Per un approfondimento: http://www.ficiesse.it/upload/files/ogm%20cobar.pdf

 


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