SUICIDI UOMINI E DONNE IN DIVISA: LA LUNGA STRAGE SILENZIOSA. (da ilfattoquotidiano.it)

giovedì 22 ottobre 2020

La chiamano la “strage silenziosa”: perché invisibile agli occhi dello Stato, ma lace­rante tra il personale in divi­sa italiano.

IL FENOMENO DEI SUICIDI DELLE DIVISE

Si tratta del feno­meno dei suicidi tra le forze armate e di polizia nel nostro Paese, che ha assunto negli anni caratteri inquietanti: dal 2014 al 2019 sono stati individuati dal Osservatorio nazionale suicidi nelle forze dell’ordine (Onsfo) dell’as­sociazione Cerchio Blu un totale di 258 suicidi. Il nu­mero più alto si è verificato nella Polizia di Stato (74 casi) e nei Carabinieri (74), seguo­no la Polizia Penitenziaria e la Polizia Locale (40 casi) e la Guardia di Finanza (30 ca­si).

L’anno con il numero più alto di suicidi, invece, è il 2019, con ben 58 in totale. Più di un caso a settimana, quando in rapporto sono in­vece 9,8 casi per 100.000 operatori delle forze dell’ordine, rispetto ai 5 casi di suici­dio per 100.000 abitanti re­gistrati nella popolazione generale italiana. Mentre fi­no a ottobre 2020, secondo l’Osservatorio suicidi in di­visa (Osd), nato per racco­gliere le testimonianze di­rette di amici e famiglie dei deceduti, sono già più di quaranta i suicidi tra il per­sonale militare e delle forze dell’ordine.

NON ESISTONO DATI CERTI

L’assenza di registri ammi­nistrativi, per questo genere di morti, in tutte le divisioni coinvolte rende il range di casi oscillante, determinan­do una differenza tra i valori reali e i dati raccolti. Soldati, poliziotti o carabinieri di cui si perdono tracce e storie, perché i vari corpi dello Stato non vogliono assumersi al­cuna responsabilità. Uomini e donne che sotto la divisa nascondono la propria fragi­lità, per difendersi dalle pressioni di un ambiente coercitivo per natura. Dal quale molto spesso, tuttavia, rimangono schiacciati. Come nel caso dell’assistente capo della polizia in servizio presso la Que­stura di Ragusa che nell’aprile del 2019 ha ucciso la moglie e poi si è tolto la vita. Oppu­re il gesto estremo della militare donna dell’Esercito di appe­na 30 anni che si e uc­cisa con la propria pi­stola d’ordinanza nei bagni della stazione della metro di Roma lo scorso dicembre. E l’ispetto­re capo del carcere di Monza, una donna di 41 anni, madre di un bambino di dieci che, terminato il servizio, ha preso la pistola d’ordinanza e si è tolta la vita.

PERCHÈ NON SI PARLA DEI SUICIDI TRA LE DIVISE?

Ma perché non si parla dei suicidi tra le divise? E quali sono i veri problemi alla base di gesta simili? “Il problema principale è la situazione che si vive all’interno delle caserme. A partire dal fatto che gli psicologi militari sono a stretto con tatto con i comandi delle divisioni e quindi poco affidabili agli occhi di a-genti e soldati che temono di essere segnalati e poi sospesi dal servizio” spiega Rachele Magro, psicologa e psicoterapeuta, responsabile del servizio psicologico alle famiglie dei militari con l’associazione L’altra metà della Divisa.

Una delle ragioni, infatti, che induce un rappresentante delle forze dell’ordine a tacere in merito al suo stato di turbamento o depressione è l’articolo 48 del DPR n. 782 del 1985, che prevede il ritiro del tesserino e dell’arma nel caso in cui un poliziotto necessiti di aiuto psicologico. I poliziotti te­mono di vedersi affrancare l’etichetta di “pazzo”, per poi essere frettolosamente emarginati, e così rimangono in silenzio. Detto ciò, il 79 per cento delle volte l’agente si suicida con la pistola di ordi­nanza e lo fa sul luogo di la­voro (33 per cento).

Storia analoga per i solda­ti. Un medico militare di stanza all’Aeronautica Mili­tare svela l’iter che subisce chi denuncia una qualche debolezza emotiva. “Esasperato dai comporta­menti vessatori dei superiori mi sono rivolto al telefono verde 800 48 29 99 dell’Ae­ronautica, per denunciare le ritorsioni subite, lasciando i miei dati e senza nasconder­si dietro l’anonimato” rac­conta il medico, che adesso preferisce non svelare la sua identità.

“Il risultato è stato che do­po quella telefonata, regi­strata, sono stato trasferito senza se e senza ma, proprio perché segnalato al mio co­mandante” continua l’uomo. Per chi non arriva al compie­re il gesto estremo c’è quindi il trasferimento, per chi si to­glie la vita invece fascicolo e indagini vengono chiuse il prima possibile. A pesare nel corso della carriera di solda­ti, carabinieri e agenti sono anche le “cosiddette note caratteristiche, ovvero una scheda valutativa con i giu­dizi dei superiori da cui di­pende la possibilità o meno di fare carriera” racconta la moglie di un poliziotto mor­to suicida. “Questi rapporti vengono compilati a simpa­tia dei superiori e senza cri­teri precisi. Basta pensare che tra le qualità valutate c’è anche la lealtà: sulla base di quale aspetto si può misura­re la lealtà di un uomo? An­che per questo mio marito è arrivato allo stremo” confes­sa la donna.

IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS

Le analisi e gli studi fatti dai vari Osservatori indicano che alla radice del suicidio ci sono varie concause, fra tutti “il disturbo post traumatico” causato da eventi particolarmente stressogeni, come può essere l’aver partecipato a un attentato durante una missione all’estero per quan­to riguarda i militari, oppure la distanza dalla famiglia o dalla propria terra d’origine” continua la psicologa. Non a caso la macro area geografi­ca dell’Italia che presenta il maggior numero di casi di suicidio è il Nord, seguito dal Centro. Ovvero le zone dove più spesso viene “trasferito il personale arruolatosi nel sud Italia, sia per la disponibilità di posti sia per volere dei generali” spiega Salvatore Vinciguerra, segretario nazionale Assodipro. “Per esperienza personale posso però assicurare che i motivi del disagio non sono riconducibili solo a problemi di tipo personali, ambientali o familiari. A suicidarsi sono infatti quasi esclusivamente il personale più in basso sulla scala gerarchica, quello più soggetto a vessazioni” dice Vinciguerra.

LE STATISTICHE

L’età delle vittime va dai 45 ai 55 anni, ma nel 37 per cento chi si toglie la vita sta tra i 25 e i 44 anni. L’85 per cento sono uomini, e l’8 per cento donne (anche per la minor presenza statistica nelle varie divisioni). Molti sono figli, altri sono padri e madri con famiglie. Vittime, anche quest’ultime, di un sistema refrattario, che “non conosce canali di assistenza psicologhe ai familiari se non nelle due settimane successive al suicidio. Poi il silenzio: che ti fa capire come si è sentito chi ha scelto quel gesto estremo” conclude la moglie del poliziotto suicidatosi.

 

 

fonte: ilfattoquotidiano.it - https://www.poliziapenitenziaria.it/la-lunga-strage-silenziosa-degli-uomini-e-donne-in-divisa/

 

 

 

 


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