IL SINDACATO MILITARE SARA' LA SVOLTA! MA BISOGNA VIGILARE/INTERVENIRE AFFINCHE' NON VENGA STERILIZZATO ANCORA PRIMA DI NASCERE. Di Rosario Leonardo

lunedì 14 gennaio 2019

IL SINDACATO MILITARE SARA' LA SVOLTA! MA BISOGNA VIGILARE/INTERVENIRE AFFINCHE' NON VENGA STERILIZZATO ANCORA PRIMA DI NASCERE. Di Rosario Leonardo

Occorre svolgere una riflessione sugli scenari che si sono aperti dopo la sentenza della Corte Costituzionale (120/2018) che ha riconosciuto i diritti sindacali ai miitari. Per esigenze di brevità, va precisato che sarà un’analisi necessariamente svolta al netto di due argomenti: le inspiegabili ragioni per le quali ci sono voluti circa 40 anni dalla smilitarizzazione e sindacalizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (per comprendere che anche i Corpi militari non hanno nulla da temere dai Sindacati) e le motivazioni per le quali i Sindacati storici sono in crisi.

Vanno valutate le ragioni per le quali oggi sia quanto mai necessario essere parte del mondo sindacale e farne motivo di appartenenza e militanza.

Le donne e gli uomini in uniforme militare sono circa 350.000 (Esercito Italiano, Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri e Guardia di Finanza) raggruppati in due principali macro aree: le Forze Armate e le Forze di Polizia ad ordinamento militare.

Sono lavoratori oggetto di particolare attenzione se consideriamo che hanno l’onore e l’onere di gestire la forza pubblica e la difesa della Patria e, per ciò che riguarda la Guardia di Finanza in particolare, i significativi riflessi che le attività di servizio hanno in delicati contesti economico-finanziari anche in ambito internazionale.

E’ un gran numero di lavoratori che ancora non ha subito la disgregazione e parcellizzazione tipica degli altri contesti lavorativi. A questo punto, però, è opportuno fornire solo due dati per immaginare la portata della manovra che impatterà sull'ordinamento militare una volta avvenuta la sua sindacalizzazione. Ciò al fine, di rammentare a noi tutti, quanto sia importante in questo momento cruciale, evitare spaccature che causerebbero la frammentazione dei lavoratori. Bisogna essere uniti sui principi non negoziabili garantendo la peculiarità che contraddistinge gli specifici impieghi.

Ci sono altre due “aree lavorative” che interessano un così rilevante numero di lavoratori: la “GDO” ovvero la grande distribuzione e la “logistica”: rispettivamente di 330.000 addetti la prima e quasi 400.000 la seconda. Chiaramente non si può tenere conto, per ovvi motivi di brevità, del terzo settore - l’associazionismo-volontariato - che spesso viene utilizzato, gratuitamente e strumentalmente, per sopperire alle esigenze di forza lavoro senza alcuna remunerazione e relative tutele.

Ebbene, nonostante l’omogeneità di tali aree lavorative, i lavoratori sono stati anestetizzati dal poter rivendicare i propri diritti attraverso lo strumento bieco e spregevole della parcellizzazione dei loro contratti, sempre più diversificati in sottocategorie più o meno fantasiose, tali da non essere più in grado di potersi riconoscere e quindi essere aggregati in modo strutturale – o corporativo –per la rivendicazione dei propri diritti.

Di contro, i sindacati non hanno saputo affrontare il cambiamento, consentendo che si verificasse l’affievolimento delle tutele conquistate in anni di lotte, con l’inevitabile conseguenza della crisi che tutte le sigle sindacali stanno subendo con l'evidente perdita dei loro iscritti. Per inciso questa è la peggiore iattura che potesse accadere e la migliore condizione per chi ha voluto sempre più lavoratori scarsamente informati, tutelati e senza diritti.

Su tali premesse, è quanto mai necessario avviare e normare - in Parlamento - i diritti sindacali dei militari in senso pieno, senza deroghe sulle tematiche su cui bisognerà intervenire, in quanto, giusto per fare una citazione, un sindacato che non può parlare di organizzazione del lavoro è nei fatti reso inutile o funzionale a chi comanda1. I militari, inoltre, questo lo hanno già vissuto con la Rappresentanza Militare e tutto ciò che tale strumento ha rappresentato e rappresenta – speriamo ancora per poco – nel bene e nel male.

Ecco un esempio che non ha nessuna pretesa di esaustività: è necessario rivedere l’intero assetto organizzativo delle Forze armate e Forze di polizia a partire dagli arruolamenti o incorporamenti che dir si voglia.

Bisogna avere il coraggio di dire basta alla “macelleria occupazionale” sfruttata dalle organizzazioni militari e a quel precariato sociale misto a sfruttamento e mortificazione personale a cui sono sottoposti i VV.F.P. (volontari in ferma prefissata). Le cronache lo dimostrano e i fatti pure.

Perché mai bisognerebbe motivare i giovani ad affrontare un periodo di servizio nelle Forze armate a premessa dell’arruolamento nelle Forze di polizia?, come dice il Capo di Stato Maggiore2 della Difesa.

I VV.F.P. vengono sempre di più impiegati in attività di controllo del territorio – in ordine pubblico – sovrequipaggiati, sottoformati e sottopagati. Sono militari che vengono impiegati in servizi tipici delle Forze di polizia con una paga mortificante e senza il riconoscimento di alcun diritto e la crudele illusione di un possibile futuro arruolamento nelle Forze di polizia che, con ogni probabilità, non si realizzerà mai. Quale personalità sarà stata forgiata in questi giovani dopo anni di attese, promesse, illusioni, disillusioni e mortificazioni?

Se le Forze armate devono essere composte da professionisti, conviene che i giovani vengano arruolati, per accompagnarli nel loro cammino professionale; così come per le Forze di polizia. Basta già questo per evitare di fare dei VV.F.P. dei poliziotti a basso costo, negando loro ogni dignità. Ecco perché è necessario che i futuri sindacati e sindacalisti abbiano ben chiaro cosa fare e come farlo e, soprattutto, essere messi nelle condizioni di parlare di tali tematiche.

Sia ben inteso che, in questa sede, i doveri a cui ogni lavoratore soggiace non vengono citati né messi in dubbio perchè sono ben noti e chiari a tutti.

Sono quegli stessi doveri che devono incoraggiare a non indietreggiare sulla rivendicazione dei diritti e delle tutele che devono e dovranno essere garantiti a tutti i lavoratori: dai riders ai dirigenti, dai militari di truppa ai generali, evitando rendite di posizione o ammettendo “remunerazioni” garantite per alcuni e solo residuamente autorizzate per il resto del personale, come se fossero concessioni o benevolenze.

Lavorare oggi - come ieri - non è un privilegio che può essere mortificato fino ad indurre il lavoratore ad accettare qualunque cosa e a qualunque costo pur di lavorare!

Lavorare è un diritto del lavoratore e le proprie tutele non possono essere barattate con la minaccia della sospensione della busta paga o al costo del completo sacrificio della vita privata, dei propri affetti e della vita sociale!

Oggi è sempre più in voga l’affermazione secondo cui, ad esempio, i militari sono “privilegiati” perché godono di licenze, permessi, cause di servizio e ogni altra forma di tutela di quei diritti che sono stati il frutto di anni di battaglie e il giusto riconoscimento di decenni di lotte di piazza e di scontri sociali anche di lavoratori non militari. Ebbene tali diritti sono “diritti” e non privilegi. E’ stato sbagliato impoverire gli altri lavoratori e abolire ciò che avevano conquistato.

Questo è l’inganno che si vuole far digerire portando i lavoratori gli uni contro gli altri, in una lotta di classe di segno inverso a quella della metà del secolo scorso, quando ci si batteva per ottenere una migliore condizione di lavoro e maggiori garanzie e tutele per quei lavoratori oggetto di comprimenti turni massacranti, lavori pericolosi e magari in nero. Oggi si combatte secondo una logica riduzionistica dei diritti, toglierli a chi li ha solo perché sono stati già tolti ad altri. Una lotta al ribasso, dove ogni lavoratore sarà posto in contrapposizione con un altro lavoratore che è messo un po’ meno peggio, affinché la forbice dei diritti si chiuda completamente e recida ogni forma di tutela, nonostante migliaia di lavoratori si siano battuti in passato proprio per averla.

Chi lavora e garantisce la stabilità all’organizzazione nella quale è assunto, deve essere posto nelle condizioni di avere anch’esso una stabilità, un’equa remunerazione e disponga di rappresentanti che si occupino, altrettanto stabilmente/professionalmente, della sua tutela.

Questa è la sfida che ci attende e che deve interessare trasversalmente ogni categoria di lavoratori: non cadiamo nell’inganno di portare tutti alla soglia della sopportazione pur di lavorare.

Dopo, c’è solo la lotta di classe!

Rosario Leonardo - Ficiesse - Progetto SILF

1 Marta Fana - Non è lavoro è sfruttamento – edizione tempi nuovi.

2 Intervento del Capo di Stato Maggiore della Difesa alle Commissioni difesa riunite di Camera e Senato. Roma 1° agosto 2018.


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