"DEMOCRAZIA INDIVISA", LA STORIA DEI MOVIMENTI CHE HANNO PORTATO AL SINDACATO DEI FINANZIERI - Paolo Andruccioli su Rassegna Sindacale

lunedì 04 marzo 2019

Pubblichiamo dal sito si Rassegna Sindavale (www.rassegna.it/articoli/il-sessantotto-con-le-stellette) la presentazione di Paolo Andruccioli del libro "Democrazia indivisa" di Claudio Madricardo.

IL SESSANTOTTO CON LE STELLETTE

di Paolo Andruccioli 01 marzo 2019 

“Democrazia indivisa”, il libro di Claudio Madricardo sulle origini del movimento sindacale dei finanzieri, racconta la storia di un gruppo di coraggiosi che negli anni settanta lottarono per raggiungere l’obiettivo della smilitarizzazione del corpo

La notizia è di queste ore: anche i finanzieri, nel senso dei lavoratori della Guardia di Finanza, militari da sempre, hanno il loro sindacato, come i colleghi poliziotti. Negli anni della riforma della Polizia che da militare diventò civile e nella quale venne introdotto il diritto al sindacato (legge 121 del 1981), la Guardia di Finanza – per precise ragioni politiche – venne tenuta fuori dalla grande trasformazione. Eppure negli anni della contestazione operaia e studentesca, insieme alle rivendicazioni dei poliziotti emersero anche quelle (sempre semiclandestine) dei finanzieri. In particolare, la lunga storia delle forze armate italiane fece registrare un fenomeno specifico nel Veneto, che rimase isolato, ma che alla luce di quello che è successo dopo, oggi si può riconsiderare come l’origine, la preistoria della sigla che la Cgil lancia in questi giorni, il Silf, Sindacato dei lavoratori della Finanza.

Di questo parla il libro del giornalista veneziano Claudio Madricardo sulla “Democrazia indivisa”, ovvero il ’68 del movimento dei finanzieri democratici (appena uscito per Ytali, con la prefazione di Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana).

Nel libro si racconta, appunto, la storia del movimento dei finanzieri, che nacque da una reazione quasi personale di alcuni militari del Veneto, stanchi dei continui soprusi subìti e dei trasferimenti continui per motivi punitivi. Tra i nomi dei protagonisti del libro ci sono persone che oggi sono sconosciute alle cronache, ma che sono stati importanti punti di riferimento per tutti coloro (non solo finanzieri) che hanno lottato per raggiungere l’obiettivo della democratizzazione e della sindacalizzazione del corpo. Da Vincenzo Montenegro a Franco Fedeli (tra i principali protagonisti della riforma della Polizia di Stato), da Alberto Madricardo a Raffaele Dore, da Riccardo Ambrosini ad Andriano Donaggio, passando per tanti esponenti della Guardia di Finanza, del giornalismo e della politica.

A proposito della battaglia per il sindacato dei finanzieri, la ricostruzione storica di Madricardo, e riferita agli anni 1975-1976, fornisce elementi nuovi per capire le scelte politiche e strategiche di allora. Sulla smilitarizzazione della Guardia di Finanza e sulla concessione dei diritto al sindacato per i finanzieri, la sinistra tradizionale (in particolare il Partito Comunista) fu sempre molto prudente. Se infatti sulla Polizia il Pci si buttò subito nella mischia e favorì (non senza qualche ripensamento momentaneo e qualche contraddizione) la smilitarizzazione e il varo della riforma, sulla Guardia di Finanza, i dirigenti di Botteghe Oscure ci andarono sempre con i piedi di piombo.

 

Quanto al Pci – si legge nel libro di Madricardo (p. 119) – c’erano delle ragioni ataviche che avrebbero dovuto spingere questo partito all’abbraccio con i fenomeni democratici delle forze armate. Ma pesavano, soprattutto per i vertici, altre ragioni più tattiche e legate alla posizione del partito rispetto alla Nato, che fecero sì che alla fine esso assumesse posizioni che non furono mai, salvo nel caso della riforma della Polizia, di diretto e ufficiale appoggio”. Così i finanzieri democratici – che a metà degli anni settanta erano costretti ad agire in una situazione di semiclandestinità (visto appunto la loro condizione di militari) – poterono contare su due appoggi fondamentali per le loro battaglie: i sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil e un gruppo di militanti veneti della nuova sinistra.

Il libro scava nei meandri della memoria dei protagonisti e analizza i documenti ufficiali. Ne emerge una fotografia molto mossa di quegli anni difficili (c‘era anche l’emergenza terrorismo e c’erano state le stragi e i tentativi di golpe). Per quanto riguarda il ruolo di Cgil, Cisl e Uil, il racconto di Madricardo scende nei dettagli delle cronache sindacali e fornisce sfumature diverse degli eventi.

Stando alla ricostruzione operata dal giornalista veneto, la disponibilità a sostenere il movimento venne espressa prima di tutto dalla Cisl, guidata allora da Pierre Carniti, e dalla Uil di Giorgio Benvenuto, mentre la Cgil (il segretario generale era Luciano Lama) fu inizialmente più timida o comunque molto prudente. La ragione è ovvia ed è legata allo schema politico di quegli anni, durante i quali la “cinghia di trasmissione” era ancora un fatto concreto. Le titubanze del Pci non potevano cioè non riflettersi sulla Cgil, che però – almeno a livello locale – offrì sempre il suo supporto, anche logistico. La convinzione che la battaglia per il sindacato dei finanzieri fosse giusta maturò poi progressivamente nel corso degli anni e oggi la nascita del Silf lo dimostra.

Del libro sono interessanti anche le ricostruzioni degli interventi dei pionieristici esponenti del movimento dei finanzieri in occasioni pubbliche: assemblee sindacali o convegni politici.

L’interesse a rileggere quei discorsi, che per certi versi oggi appaiono ingenui, è duplice. Da una parte, ci fanno capire quale sia stato il sentimento di profondo disagio vissuto da quei militari che non potevano appellarsi ad alcun diritto costituzionale. Il pugno di ferro dei superiori era la norma, mentre tra gli alti dirigenti del corpo (a differenza di quello che avveniva in Polizia) le eccezioni positive sono sempre state molto ridotte.

L’altro punto di interesse riguarda i contenuti della battaglia politica dei finanzieri democratici. Partiti inizialmente con un’impostazione diciamo “corporativa”, i leader del movimento hanno acquisito con gli anni una più ampia consapevolezza politica. All’ordine del giorno non c’è più la rivendicazione di diritti per se stessi (in quanto militari senza diritti), ma anche quella di un processo di riforma del corpo nella sua interezza, trattandosi pur sempre di uno snodo fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico. Una Guardia di Finanza democratica, aperta e sindacalizzata rappresentava (e rappresenta) un bene per tutto il Paese. Tutto il contrario di una Guardia di Finanza chiusa, portata a negare i diritti costituzionali fondamentali ai suoi uomini.

In un contesto di mancanza di trasparenza e di assenza di diritti, il rischio dei corpi separati è sempre dietro l’angolo. Ma ora comincia un’altra storia.


Tua email:   Invia a: