CASO MARTIN, INTERVISTA AL QUOTIDIANO LA PROVINCIA DI COMO: “IL CARCERE INGIUSTO VALE OTTOMILA EURO, IL MINISTERO DOVRÀ RISARCIRE L’APPUNTATO CRISTIAN MARTIN ARRESTATO NELL’AMBITO DELL’INCHIESTA TELECOM”

sabato 09 giugno 2007

La Provincia di Como, 8 giugno 2007, pagina 18

«Ma perché chi indagava, e mi ha infangato, non ha cercato riscontri facilissimi?»

Il 20 settembre scorso 5 militari di Como finirono nei guai: tre sono già stati archiviati, per due ci sarà il processo.

di Maria Castelli

 

La Corte D'Appello di Milano ha disposto un risarcimento da 8.000 euro per ingiusta detenzione all'appuntato Cristiano Martin, 39 anni, terminalista della Guardia di Finanza finito in carcere nel settembre scorso nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Milano sulle intercettazioni abusive Telecom.

E' risultato innocente, prosciolto dai magistrati comaschi ai quali l'inchiesta era passata per competenza territoriale. Due colleghi, Andrea Magrassi e Francesco Marella erano stati contattati da Corrado Nembrini, investigatore privato, perché acquisissero dati particolari nella banca dati Sdi, archivio informatico la cui consultazione è riservata alle Forze di Polizia.

Tra le mansioni di Martin presso il Nucleo della polizia tributaria della Guardia di Finanza i Como, anche quella di accesso alla banca dati e non ha esitato ad interrogare il “cervellone” di fronte alla richiesta di colleghi come Magrassi, addirittura applicato nell'ufficio del pubblico ministero Simone Pizzotti, nel palazzo di giustizia di Como.

Ma non sapeva che cosa c'era dietro: una richiesta illecita, un calderone di serpi, soldi in nero, ricatti e trame misteriose. Bastò un interrogatorio del Gip di Vigevano per chiarire subito che Martin era stato coinvolto con l'inganno e la custodia cautelare fu immediatamente revocata, come aveva chiesto il difensore, Fulvio Anzaldo.

Con una manciata di soldi, lo Stato ha chiesto scusa e forse un giorno, un pezzo d'uomo come Cristiano Martin racconterà ai propri figli che quel 20 di settembre 2006 non era uscito presto di casa per andare a Roma a spostare gli elicotteri. Era una bugia, perché non sapessero che il loro papà era in carcere. Quando tornò, quattro giorni dopo, i bambini gli chiesero:«papà, li hai spostati gli elicotteri?» e lui rispose:«Certo, erano pesanti, ma ce l'ho fatta».

Era un macigno, piuttosto, quel nodo nel cuore: si era formato già nei primi minuti della perquisizione domiciliare, all'alba, alla prima lettura del decreto che riportava i reati contestati: corruzione e rivelazione d'atti d'ufficio e per mesi, risentirà l'ufficiale che gli dice:«Dobbiamo eseguire un'ordinanza di custodia cautelare in carcere», risentirà il suo “Ciao amore” alla moglie, sulla porta di casa.

«So di essere un signor nessuno - dice adesso - ma io ho fondato la mia vita sull'onore, sulla parola data e sulla fedeltà. E sono stato coinvolto da un sistema in una storia che mi ha sconvolto l'esistenza e ogni fibra di me stesso, perché tutto si sarebbe potuto evitare ponendomi una domanda: perché? Io ho fatto solo il mio lavoro e invece hanno pensato che fossi un corrotto. Quello che m'ha fatto male e mi farà male per sempre è il dubbio presupposto a un provvedimento così grave, la restrizione della libertà, il fango sul mio onore. Perché non verificare prima?».

Si sente vittima? «No, non mi sento vittima - si stringe le mani - dico che tutto questo poteva non accadere. Dico che è necessario attribuire un giusto valore alla libertà umana. Griderei la mia amarezza, perché infangando me, sono stati infangati tanti servitori dello Stato. Io ho subìto non perché sono un militare, ma perché sono una persona».

Non una parola in più, su nessuno. Per lui, hanno parlato il Cocer e il Coir, i sindacati dei militari del Nord Est, dopo aver letto la vicenda di Martin nel forum Internet dell'Associazione Finanzieri e Cittadini, inondata da messaggi di indignazione e di solidarietà. «Perché questo trauma ad una persona in grado di dimostrare immediatamente la propria innocenza?» è uno dei commenti ricorrenti. Il Cocer auspica che la vicenda dell'appuntato possa costituire una serena riflessione per tutti coloro che possono, con la loro attività, incidere sulla libertà personale degli individui».

La cosa più brutta che c'è, racconterà Martin, è essere accusato di qualcosa, sapere di non aver fatto niente e pensare che è partito un meccanismo irrefrenabile, nessuno è in grado di fermarlo. «Una grande umiliazione personale: io sapevo che cosa pensavano tutti. Pensavano che se mi avevano arrestato, qualcosa avrò pur fatto. E invece, bastava che mi chiedessero perché ho fatto quelle interrogazioni e io avrei potuto rispondere che mi erano state chieste. Avrei risposto in modo sereno. Invece, ho provato la paura, ho provato rabbia, ho provato la disperazione di sapere che io ero in carcere, ma i miei, mia moglie, i miei figli, dov'erano, come stavano, che opinione si erano fatti di me?». L'hanno tenuto in isolamento giudiziario, in una cella buia, due fette di prosciutto, finché ha sentito il “rumore della libertà”, le chiavi che giravano nelle porta e la porta s'apriva.

Dopo il carcere, la burocrazia e solo il 19 ottobre la pratica “Martin Cristiano” è stata archiviata. Da quel giorno, l'appuntato Martin dice che ogni giorno riserva un'esperienza, ma bisogna andare avanti. L'importante è il coraggio. « Ogni signor nessuno, nel suo piccolo, può fare molto. Tutte le persone oneste, insieme, potrebbero anche cambiare il mondo»: lo dice con il cuore. Per lui, non è più tempo di lacrime.

Maria Castelli

 

 

 

 


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