LA PARTECIPAZIONE DEI COMUNI ALL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO. E’ OPPORTUNA UNA ULTERIORE FRAMMENTAZIONE DELLE COMPETENZE IN MATERIA? (da Corriere Tributario 33/2008)

mercoledì 03 settembre 2008

PARTECIPAZIONE DEI COMUNI ALL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO

di Giorgio Spaziani Testa - Avvocato, Segretario Generale Confedilizia

 

Corriere Tributario 33/2008

 

Si registra un rilancio del coinvolgimento dei Comuni nell’attività di accertamento dei tributi statali, sulla carta previsto già dalla riforma tributaria del 1972/1973. Per farlo, una norma del 2005 dispone che ai Comuni sia riconosciuto il 30% delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo con la loro collaborazione. La norma, che ha visto l’emanazione di provvedimenti attuativi a fine 2007 e a giugno 2008, e sulla quale è appena intervenuto in modifica il D.L. n. 112/2008, suscita peraltro perplessità. Da un lato ci si chiede se un incentivo economico sia sufficiente a superare ataviche manchevolezze degli enti locali; dall’altro, ci si interroga sull’opportunità di una frammentazione delle competenze in materia.

 

Introduzione

 

Il coinvolgimento dei Comuni nell’attività di accertamento dei tributi statali sta registrando negli ultimi tempi un ritorno di interesse da parte del legislatore, dopo che l’idea era stata accantonata - sia pure non formalmente - per oltre trent’anni.

 

Quadro normativo

 

Uno degli interventi normativi più recenti in materia è il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 3 dicembre 2007, con il quale sono state stabilite le “modalità di partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento” ai sensi della norma con la quale tale partecipazione è stata “rinvigorita” legislativamente: l’art. 1 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

Rinvigorita, per l’appunto. Perché la previsione di una partecipazione dei Comuni all’accertamento dei tributi statali era già presente nell’ordinamento italiano. E il fenomeno ha una storia lunga, anche se più “virtuale” che reale, come accennato. Previsto legislativamente per la prima volta con la riforma tributaria del 1972/73, il progetto ha visto le disposizioni relative rimanere pressoché lettera morta per tutti questi anni. Ad essere interessati erano - e sono - anzitutto le imposte dirette. Norme fondamentali gli artt. 44 e 45 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

In questo quadro, la finalità dell’art. 1 del D.L. n. 203/2005 è - come emerge dalla stessa lettera della norma - quella di tentare di dare nuovo slancio a disposizioni già presenti nell’ordinamento che, pur se non indicate, si evince debbano continuare a costituire il fondamento normativo della collaborazione degli enti locali con lo Stato per lo svolgimento dell’attività di accertamento dei tributi di quest’ultimo (anche se il provvedimento attuativo della norma - come si vedrà più avanti - ha esteso il campo di azione dei Comuni a tutti i tributi erariali). L’intento è infatti quello di “potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale, in attuazione dei princìpi di economicità, efficienza e collaborazione amministrativa”, attraverso un incentivo alla partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale, individuato nel “riconoscimento di una quota pari al 30% delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell’intervento del Comune che abbia contribuito all’accertamento stesso”.

L’idea di fondo che ha animato il legislatore del 2005 - e che ci si riserva di commentare più avanti - è di immediata percezione: la previsione normativa dell’intervento dei Comuni nell’attività di accertamento delle entrate tributarie dello Stato è rimasta lettera morta perché i Comuni non hanno individuato in tale attività alcun vantaggio diretto o indiretto. Ne consegue che per ottenere che le Amministrazioni locali affianchino gli Uffici tributari nazionali nell’attività di controllo dell’esatto adempimento delle obbligazioni tributarie statali, l’unica strada è quella di assicurare alle stesse l’incasso di una quota degli introiti che esse contribuiscono ad ottenere.

La norma del 2005 è stata integrata - evidentemente per conferire alla stessa ulteriore efficacia - dall’art. 83, comma 4, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Il nuovo comma 2-ter dell’art. 1 del citato D.L. n. 203/2005 prevede che il Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze fornisca ai Comuni con cadenza semestrale - anche tramite l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI) - l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da accertamenti ai quali i Comuni abbiano contribuito.

Lo stesso art. 1 del D.L. n. 203/2005 demandava ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione delle modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione ai Comuni, anche in via telematica, di copia delle dichiarazioni relative ai contribuenti in essi residenti, nonché le modalità della partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale anche attraverso società ed enti partecipati dai Comuni stessi e comunque da essi incaricati per le attività di supporto ai controlli fiscali sui tributi comunali. Al medesimo provvedimento era altresì delegata l’individuazione delle “ulteriori materie” per le quali i Comuni possono partecipare all’accertamento fiscale.

Provvedimento 3 dicembre 2007

L’intervento regolamentare in questione ha visto la luce oltre due anni dopo, con il citato provvedimento 3 dicembre 2007.

Il documento contiene già nel suo primo articolo (“Ambito di applicazione”) un’importante indicazione, già prevista dalla legge, come appena visto: la partecipazione del Comune all’accertamento fiscale può essere attuata direttamente dall’ente locale ovvero “dalle società ed enti partecipati o comunque incaricati per l’attività di supporto ai controlli fiscali sui tributi comunali”. La previsione non è di poco rilievo: il novero dei soggetti interessati all’accertamento dei tributi viene con essa ulteriormente ampliato, fino a ricomprendere tutte quelle società che nel tempo i Comuni hanno incaricato - con le competenze e le professionalità che i cittadini-contribuenti hanno potuto giudicare - per l’accertamento e la riscossione dell’ICI e degli altri tributi locali (TARSU, TOSAP, ecc.).

Il par. 2 del provvedimento inizia a definire i contorni dell’attività concreta che ai Comuni viene richiesto di svolgere. Spiega il punto 2.1 che i Comuni partecipano all’attività di accertamento fiscale nell’ambito dell’ordinario contesto operativo di svolgimento delle proprie attività istituzionali, “fornendo informazioni suscettibili di utilizzo ai fini dell’accertamento dei tributi erariali, diretti ed indiretti”. Anche la portata di questa disposizione non è di poco conto: integrando - ma mantenendo in vigore - le disposizioni in materia emanate in sede di riforma del 1972/73, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate sembra non escludere alcun tributo erariale dalla potenziale attività collaborativa dei Comuni in fase di accertamento.

Il provvedimento si preoccupa poi di definire le “tipologie di segnalazioni” richieste ai Comuni, all’evidente scopo di porre i più rigorosi paletti ad un’opera che - sostanziandosi in una attività di collaborazione - rischierebbe, se non accuratamente definita, di porre le basi per un contenzioso senza fine alimentato da enti che potrebbero rivendicare a sé la spettanza di quota parte di somme per l’accertamento delle quali non risulti invece oggettivamente alcuna attività determinante da parte degli stessi. Si deve allora trattare - si legge nel punto 3.1 del provvedimento - di “segnalazioni qualificate”, per tali intendendosi le posizioni soggettive in relazione alle quali sono rilevati e segnalati atti, fatti e negozi che evidenziano, “senza ulteriori elaborazioni logiche”, comportamenti evasivi ed elusivi. Le informazioni - aggiunge il provvedimento - sono inoltre costituite da archivi strutturati, con preminente riferimento ai cespiti immobiliari già oggetto di accertamento definitivo ai fini dei tributi locali.

Oggetto di regolamentazione da parte del provvedimento 3 dicembre 2007 sono poi, in particolare: gli ambiti di intervento, con la definizione di tutti i settori dell’economia sui quali si prevede che venga indirizzata l’attività dei Comuni (commercio e professioni; urbanistica e territorio; proprietà edilizie e patrimonio immobiliare; residenze fittizie all’estero; disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva) e con la specificazione - settore per settore - delle particolarità dei soggetti da mettere “sotto osservazione”, con riferimento alle loro caratteristiche soggettive (es.: con riferimento a commercio e professioni, soggetti che - pur svolgendo attività di impresa - sono privi di partita IVA) ovvero alle attività da essi svolte (es.: con riferimento ad urbanistica e territorio, soggetti che hanno realizzato opere di lottizzazione, anche abusiva, in funzione strumentale alla cessione di terreni ed in assenza di correlati redditi dichiarati).

Costituiscono oggetto di comunicazione all’Agenzia delle entrate - dispone il par. 5 del provvedimento - il nome e cognome, il codice fiscale o la partita IVA dei soggetti in relazione ai quali sono rilevati e segnalati i fatti, atti e negozi di cui sopra, che evidenziano - senza ulteriori elaborazioni logiche, come detto - comportamenti evasivi ed elusivi.

Ulteriori disposizioni del provvedimento 3 dicembre 2007 riguardano fra l’altro: le modalità di trasmissione delle segnalazioni da parte dei Comuni; il trattamento dei relativi dati ai fini della privacy; le informazioni che l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni (bonifici bancari e postali relativi agli interventi di recupero del patrimonio edilizio che hanno goduto della detrazione IRPEF, contratti di locazione di immobili, ecc.); le attività dell’Agenzia delle entrate; le materie di accertamento di competenza dell’Agenzia del territorio (fra le quali le attività relative all’applicazione da parte dei Comuni dell’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sul riclassamento delle unità immobiliari).

 

Riclassamento delle unità immobiliari

Proprio l’esperienza concernente l’applicazione della norma da ultimo citata fornisce un utile spunto per svolgere qualche considerazione critica circa questo nuovo impulso per una collaborazione dei Comuni nell’attività di accertamento dei tributi statali.

L’art. 1, comma 336, della legge Finanziaria 2005 ha previsto una procedura finalizzata alla revisione del classamento di singole unità immobiliari di proprietà privata, in caso di:

immobili non dichiarati in Catasto;

situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie.

In particolare, è stato previsto che i Comuni, “constatata” la presenza di tali fattispecie, richiedano ai titolari di diritti reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti di aggiornamento redatti secondo le ordinarie modalità previste dall’ordinamento. La legge aggiunge che la richiesta, che deve contenere gli elementi constatati - tra i quali, se accertata, la data cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale - deve poi essere notificata ai soggetti interessati e comunicata agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Se i soggetti interessati non ottemperano alla richiesta entro 90 giorni dalla notificazione, gli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, all’iscrizione in Catasto dell’immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando all’interessato stesso le risultanze del classamento e la relativa rendita.

Si è spesa qualche riga per l’illustrazione della procedura prevista dalla legge per questa importante forma di collaborazione dei Comuni con lo Stato - in un settore, quello immobiliare, unanimemente considerato (anche dal provvedimento 3 dicembre 2007) come quello nel quale meglio che in ogni altro le Amministrazioni locali possono esprimere le proprie potenzialità -, per rendere maggiormente evidente il sostanziale insuccesso in cui si è risolta tutta l’operazione.

I (non molti) Comuni che hanno dato seguito alla norma di cui al comma 336, ne hanno fatto una applicazione distorta. Essi hanno infatti generalmente attivato una operazione consistente nell’invio di lettere cosiddette bonarie non già a singoli contribuenti con riferimento ai quali fosse stato dai Comuni previamente constatato (ed agli stessi formalmente comunicato) il ricorrere delle fattispecie previste dalla legge (immobili non dichiarati o classamenti non più coerenti), ma ad un’ampia platea di cittadini-proprietari, che sono stati invitati ad autodenunciare - qualora esistenti - le proprie possibili situazioni di irregolarità.

Le conseguenze di questa “originale” procedura ideata dai Comuni - giustificata ufficialmente dalla volontà di procedere con gradualità nei confronti dei proprietari interessati, ma in realtà dovuta alla difficoltà di procedere secondo quanto previsto dalla legge - erano facilmente prevedibili. I cittadini sono stati raggiunti da messaggi poco chiari e vagamente intimidatori e nella maggior parte dei casi non hanno dato seguito alle (peraltro vaghe) richieste dei Comuni, soprattutto per la obiettiva difficoltà (ed i relativi costi) di verificare in proprio ciò che invece sarebbe spettato ai Comuni di fare: l’esistenza o meno di situazioni di irregolarità catastale, maggiormente difficile da verificare in caso di immobili di vecchia costruzione da poco acquistati dal proprietario raggiunto dalla comunicazione comunale, soprattutto per la mancata disponibilità delle unità immobiliari tipo da utilizzare come parametro di riferimento.

L’esempio dell’attività di riclassamento – così puntualmente regolata dalla legge e così smaccatamente disattesa dai Comuni - vale più di ogni altra considerazione a porre il problema della opportunità di questa nuova “offensiva” sul coinvolgimento dei Comuni nelle attività di accertamento dei tributi statali. Si ritiene davvero che nelle Amministrazioni locali siano presenti le professionalità adatte per svolgere una attività così delicata? Ed è davvero auspicabile che una azione così rilevante - che trova il suo fondamento, fra l’altro, in una stratificata serie di interpretazioni, di interpelli, di elaborazioni svolti negli anni dagli organi centrali e periferici dell’Amministrazione finanziaria (quanto mai complicata in un sistema di leggi tributarie in continua evoluzione come il nostro), e dal relativo personale dipendente all’uopo formato ed aggiornato - sia affidata ad oltre ottomila Amministrazioni comunali (e alle relative società collegate), dando così luogo ad una tale frammentazione delle competenze in materia?

E c’è davvero bisogno che agli Uffici locali delle Agenzie fiscali, capillarmente diffusi, si affianchi l’opera dei Comuni quando una collaborazione all’attività degli stessi è da sempre garantita dall’azione della Guardia di Finanza (altrettanto capillarmente diffusa)?

I dati sulla irrisoria percentuale di redditi accertati che superano il vaglio delle Commissioni tributarie non si correggono attraverso la moltiplicazione degli enti accertatori, ma con un miglioramento della qualità degli accertamenti.


Tua email:   Invia a: