CASO COMELLINI: CI SONO MOMENTI IN CUI TACERE DIVENTA UNA COLPA E PARLARE UN OBBLIGO, UNA SFIDA, UN IMPERATIVO AL QUALE NON CI PUO' SOTTRARRE - di Eliseo Taverna, Daniele Tisci e Raffaele Dalessandro

giovedì 29 gennaio 2009

Le vicissitudini professionali ed umane che da tempo sta vivendo un appartenente al mondo militare, per aver esercitato i diritti che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini devono trovare al più presto un rimedio.

Il Maresciallo dell’Aeronautica Luca Marco Comellini oggi è difatti alla ribalta delle cronache per aver attuato, ormai da circa ventuno giorni, uno sciopero della fame per protestare contro la compressione dei diritti Costituzionali nei confronti degli appartenenti al mondo militare, in particolare per la limitazione della libera manifestazione del pensiero.

Eppure la libertà di espressione, pietra miliare nella Convenzione Universale dei Diritti dell’Uomo”, nonché caposaldo della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali” degli individui rientra tra i diritti fondamentali che tutte le moderne Costituzioni riconoscono ai propri cittadini, considerandola peraltro, “valore” imprescindibile per lo sviluppo dell’uomo e delle formazioni sociali in cui esso vive.

Dai vari articoli di stampa pubblicati sugli organi d’informazione si evince inequivocabilmente che il Comellini – per la “colpa” di avere avuto una particolare sensibilità ed una concezione socialmente avanzata della condizione militare - si è visto costretto ad inoltrare alle più
alte cariche dello Stato una richiesta di avvio di una petizione popolare (prevista dall’art. 50 della Costituzione) volta al mero riconoscimento al personale militare, di quei diritti che la Repubblica Italiana riconosce a tutti i cittadini.

Oggi quest’uomo - destinatario di un Procedimento Disciplinare di Stato per una pacifica e democratica espressione del proprio pensiero - rischia di perdere il posto di lavoro e la dignità di “militare”, di “lavoratore”, oltre che di marito e padre.

Come potrà spiegare infatti, alla propria famiglia che la sua unica colpa è stata quella di aver voluto esprimere liberamente e pacificamente le proprie idee, il proprio pensiero, apportando quindi un legittimo contributo all’accrescimento democratico del mondo militare.

Un “diritto” e probabilmente un “dovere” che tutti dovrebbero avere.

La storia c’insegna che l’errore più grande che può commettere chi esercita il potere è quello di cercare di reprimere il pensiero dell’uomo finalizzato al libero e pacifico dibattito. Quello che avviene appunto in una società non democratica. Noi vogliamo credere, invece, che
la nostra sia una società moderna e democratica, basata sulla libertà di espressione del pensiero, del libero dibattito e del confronto. Valori irrinunciabili, per i quali nel passato molte persone hanno subito violenze e sofferto drammi inenarrabili.

L’incapacità dimostrata dai delegati del Co.Ce.R interforze, Organismo del quale facciamo parte, ma dal cui operato ci siamo a suo tempo dissociati, ci ha reso tutti moralmente ed intellettualmente più poveri. L’aver sentito delegati proferire parole critiche, piene di risentimento ed acrimonia, fino a far mancare il numero legale, ha riportato alle nostre menti le parole di una persona che per i diritti si è battuto fino a sacrificare la propria vita: “Siamo riusciti a volare come gli uccelli, nuotare come i pesci, ma ancora non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli”.

ELISEO TAVERNA
DANIELE TISCI
RAFFAELE DALESSANDRO
delegati Co.Ce.R. Guardia di Finanza
 


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