TRATTAMENTO DI MISSIONE ESTERA. IL TAR LAZIO ED IL CONSIGLIO DI STATO AZZERANO I DUBBI INTERPRETATIVI: LO STRAORDINARIO DEVE ESSERE COMUNQUE PAGATO (di Francesco Zavattolo e Patrizio D’Alessio)

sabato 18 aprile 2009

Lo scorso 25 marzo trattammo su questo sito il caso increscioso relativo alla mancata corresponsione dei compensi per il lavoro straordinario quando il servizio viene espletato su territorio estero. In quell’occasione rilevammo che la corresponsione dell’indennità di missione estera, con l’esclusione delle missioni sottoposte all’istituto dell’assegno di lungo servizio (art. 1 della legge 8 luglio 1961 n. 642), non può e non dovrebbe includere anche gli emolumenti giornalieri a carattere eventuale, anche perché, per restare in termini di orario di lavoro, in nessun contratto è stata operata una distinzione tra orario di lavoro svolto sul territorio dello Stato e orario di lavoro svolto su territorio estero.

Fortunatamente la nostra tesi non è una voce isolata, ma è accompagnata, o meglio preceduta, sia dalla sentenza del Tar Lazio sez. I bis n. 5902 del 16 giugno 2004 e sia dalla successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 4074 del 19 luglio 2007 (di cui alleghiamo copia).

La superiore magistratura, infatti, ha rilevato che è del tutto infondato ritenere che la natura del trattamento di missione (previsto dal R.D. 3 gennaio 1924, n. 941) sia omnicomprensiva di ogni altra indennità giornaliera, anche perché il citato trattamento non è stato per nulla inciso dalla successiva disciplina sull’orario dell’attività giornaliera di cui all’articolo 10 della legge 8 agosto 1990, n. 231.

Il Consiglio di Stato ha stabilito che “Come correttamente rilevato dai primi giudici (Tar Lazio Sez. I bis sentenza n. 5902 del 16 giugno 2004 ndr), la diversità ontologica dell’indennità prevista per il personale dell’amministrazione dello Stato incaricato di missione all’estero, disciplinata dal R.D. 3 giugno 1926, n. 941, rispetto al trattamento economico dovuto per l’espletamento di prestazioni lavorative eccedenti l’orario obbligatorio di lavoro, esclude che tra le stesse possa sussistere un ambito, sia pur parziale di coincidenza (tra attività lavorativa prestata e retribuzione), solo in presenza del quale potrebbe astrattamente ammettersi tra di loro una incompatibilità – strutturale o funzionale – tale da giustificare il divieto di cumulo.

Ed invero non può ragionevolmente negarsi che l’indennità corrisposta al personale incaricato di missione all’estero, al pari del resto dell’ordinario trattamento di missione (di cui alla legge 18 dicembre 1978, n. 836, ovvero alla legge 8 luglio 1961, n. 642) ha lo scopo di sopperire ai disagi e alle maggiori necessità, anche di carattere economico, del personale derivanti dal trasferimento in altra sede (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 22 settembre 2005, n. 5006; 22 marzo 2005, n. 1157; 28 febbraio 2005, n. 758; 10 agosto 2004, n. 5489; 17 giugno 2003, n. 3421), con esclusione di qualsiasi corrispettivo per compiti espletati in aggiunta al normale orario di lavoro (C.d.S., sez. IV, 25 luglio 2005, n. 3964).

Ciò peraltro trova conferma nell’attenta lettura delle disposizioni contenute nel già citato R.D. 3 giugno 1926, n. 941, ed in particolare nell’articolo 6 che prevede la riduzione dell’indennità in parola per i “funzionari che godono di assegni o di indennità nella qualità di enti od uffici all’estero o incaricati di servizi all’estero” (comma 1) ovvero “se l’incarico viene adempiuto nello stesso luogo ove ha sede l’ufficio o si svolga il servizio…” (comma 2) ovvero ancora “…quando il personale sia ospite di governi esteri, o quando sia destinato al seguito di sovrani, di principi reali o comunque fruisca di trattamento gratuito” (comma 3) o infine fruisca di alloggio gratuito: in realtà, l’indennità di missione di cui si discute, diversamente da quanto prospettato dalle amministrazioni appellanti, non costituisce affatto un trattamento economico omnicomprensivo e speciale, rispetto all’ordinario trattamento di missione.
La dedotta specialità ed il suo preteso carattere di omnicomprensività, peraltro, in mancanza di un’apposta previsione normativa di rango primario, non può trovare esclusivo ed autonomo fondamento nelle normative interne dell’amministrazione, pena la violazione del principio di legalità fissato dall’articolo 97 della Costituzione.

Deve pertanto escludersi che il trattamento di missione, proprio per la sua natura giuridica (indennitaria) e per la sua funzione, possa inglobare il compenso per lavoro straordinario che ha invece carattere retributivo, trattandosi della giusta remunerazione di una prestazione lavorativa ulteriore rispetto al normale orario di lavoro.

La giurisprudenza, d’altro canto, ha ammesso in via generale la cumulabilità dei trattamenti economici connessi agli istituti in esami (indennità di missione e remunerazione del lavoro straordinario), precisando che al dipendente pubblico inviato in missione spetta durante lo svolgimento della stessa il compenso per lavoro straordinario in relazione a prestazioni effettivamente rese in eccedenza al normale orario lavorativo (C.d.S., sez. IV, 6 aprile 1982, n. 231), aggiungendo che, se non può essere considerato come lavoro straordinario il periodo di tempo impiegato per recarsi dalla sede di servizio al luogo di svolgimento della missione, nulla impedisce che il servizio prestato presso la sede di missione, qualora ecceda l’ordinaria durata, sia riconosciuto e retribuito come lavoro straordinario (se prestato effettivamente e se debitamente autorizzato, C.d.S., sez. IV, 24 dicembre 2003, n. 8522; Corte dei Conti, reg. Lazio, sez. giurisd., 28 gennaio 1998, n. 11).

Detto ciò ci auguriamo che le varie Amministrazioni dello Stato interessate alla questione, come già auspicato nel nostro precedente articolo, giungano ad una definitiva soluzione della controversa materia.


Sezione Ficiesse Pratica di Mare
Patrizio D’Alessio
Francesco Zavattolo
ficiesse.praticadimare@ficiesse.it

 


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