ANCHE PER IL REATO DI DIFFAMAZIONE MILITARE SARÀ PREVISTA LA PROVA LIBERATORIA EX ART. 596 C.P.: RIMOSSA DAL C.P.M.P.UN’ULTERIORE IRRAGIONEVOLE DIVERSITÀ DI DISCIPLINA IN PREGIUDIZIO DEI CITTADINI MILITARI – di Giovanni Surano

martedì 17 novembre 2009

Con la recente sentenza nr.273 del 19.10.2009, depositata il 29.10.2009, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 227 del codice penale militare di pace nella parte in cui non prevede l’applicabilità della prova liberatoria ex art. 596 c.p. al pari della diffamazione prevista dal codice penale comune (art. 595 c.p.). Dopo la richiamata sentenza anche i militari, denunciati per il reato di diffamazione ex art. 227 c.p.m.p., d’ora innanzi potranno chiedere nelle varie fasi del procedimento penale, ove ne ricorrano i presupposti espressamente indicati al secondo e terzo comma dell’art. 596 del codice penale, l’accertamento del fatto che ha dato impulso, con l’originaria denuncia, alla fase delle indagini preliminari. Una volta provata la verità del fatto, l’autore dell’imputazione non è più punibile (4° comma).

La questione che ha determinato il suddetto pronunciamento da parte del Giudice delle leggi è stata posta dal Tribunale militare di Napoli (già Tribunale militare di Palermo), che con l’ordinanza del 5 ottobre 2005 ha sollevato, in riferimento all’art.3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 227 del c.p.m.p., nella parte in cui non prevedeva, per il delitto di diffamazione rientrante nella giurisdizione dei tribunali militari, la causa di non punibilità della prova liberatoria prevista dall’art. 596 del c.p., terzo comma, numero 1), e quarto comma, del codice penale per il corrispondente delitto di diffamazione rientrante nella giurisdizione ordinaria.
Occorre però chiarire che lo stesso Tribunale militare aveva già in precedenza sollevato, su eccezione del difensore dell’imputato, la stessa questione, solo che la Corte, con ordinanza nr.49/2008, la dichiarò inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie sotto il duplice profilo: dell’omissione da parte del Tribunale della descrizione del caso concreto e della mancata indicazione di quale tra le tre ipotesi previste dall’art. 596, terzo comma, codice penale, veniva a ricorrere al caso di specie.

Pertanto alla ripresa del processo, la difesa eccepiva nuovamente l’illegittimità dell’art. 227 c.p.m.p., avendo però cura di fornire tutti gli elementi che la Corte in precedenza aveva ritenuto insufficienti, e cioè la descrizione del fatto e quale ipotesi delle tre espressamente previste dall’art.596, 3° comma, ricorresse nel caso di specie.

Il Tribunale militare, compiuta una ricognizione dei dati normativi vigenti, non ha potuto esimersi dall’affermare che la questione posta dalla difesa dell’imputato era del tutto legittima, posto che la causa di non punibilità di cui al comma 4° dell’art.596 c.p. è del tutto ignota al codice penale militare che non contiene alcuna norma analoga.

Lo stesso organo giudicante affermava: “il trattamento penalistico pressoché identico quanto alla morfologia complessiva delle due figure criminose di ingiuria e diffamazione, si diversifica profondamente in tema di cause di non punibilità, in quanto da un lato il codice penale comune risolve in senso liberale la questione del valore da attribuire alla verità dell’addebito, mentre dall’altro il codice penale militare, nato nel 1941, continua a rispecchiare la sua matrice autoritaria, contraria ad ammettere la possibilità di provare la legittimità della pubblica censura ai comportamenti di determinati soggetti”.

Una disarmonia che secondo il collegio rimettente “non appare comprensibile sotto il profilo della ragionevolezza, non essendo possibile individuare alcun valido motivo della perdurante sperequazione; e per ciò stesso appare ingiustificata ex art. 3 Costituzione, poiché finisce per trattare la posizione dei militari imputati di ingiuria e diffamazione in modo pesantemente diverso da quello previsto per i non appartenenti alle forze armate imputati di illeciti del tutto analoghi”.

La Corte Costituzionale, dopo aver fatto un excursus normativo, comparando le due fattispecie del reato di diffamazione, quella militare e quella comune, è pervenuta alla conclusione che entrambe presentano una piena equivalenza sul terreno sia della condotta tipica, sia dell’oggettività giuridica del reato. La specialità legislativa individuata nel codice penale militare di pace, nel caso di specie l’art. 227, afferisce solo per lo status militare del soggetto attivo e della persona offesa, restando invece identica, sotto il profilo testuale, alla descrizione della fattispecie base della norma incriminatrice comune, vale a dire l’offesa della altrui reputazione nella comunicazione con più persone.

Nel caso in trattazione la Corte ha ritenuto quindi che il presupposto della causa di non punibilità della cosiddetta exceptio veritatis, consistente nel fatto che la persona offesa sia un pubblico ufficiale e che il fatto ad esso attribuito si riferisca all’esercizio delle sue funzioni, pone in rilievo un interesse pubblico all’accertamento del fatto che non può che determinare l’estensione di tale strumento probatorio anche a quanto previsto dall’art. 227 c.p.m.p.
In mancanza di apprezzabile ragione idonea a giustificare il diverso trattamento ai fini dell’applicazione di tale prova liberatoria, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di uguaglianza, dell’art. 227 c.p.m.p., nella parte in cui non prevede l’applicabilità, anche al delitto di diffamazione militare, dell’art. 596, terzo comma, numero 1), e quarto comma, del codice penale comune.

Per le medesime ragioni la pronuncia di illegittimità costituzionale viene estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.87, anche con riguardo all’applicabilità dell’art. 596, terzo comma, numero 2), codice penale (che ammette la prova liberatoria quando per il fatto attribuito alla persona offesa sia aperto, ovvero inizi contro di essa, un procedimento penale).
Alla luce della suddetta pronuncia del Giudice delle leggi, bisogna ricapitolare e chiarire in quali casi il militare imputato può chiedere che sia esperita durante il procedimento penale l’exceptio veritatis.

Bisogna innanzitutto dire che l’art. 596 c.p. in via generale esclude la prova liberatoria (primo comma), tuttavia la ammette nelle limitate ipotesi contemplate nei commi secondo e terzo e cioè quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato con la possibilità delle parti, prima della sentenza irrevocabile, di deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo, ovvero quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato e l’imputato chiede che sia il giudice a ricercare la verità del fatto, a condizione che: la persona offesa sia un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisca all’esercizio delle sue funzioni; oppure che per il fatto attribuito alla persona offesa è aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; ed in ultimo che sia il querelante a domandare formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.

Concludendo: con la sentenza che si è commentata, la Corte Costituzionale, rimuovendo l’ostacolo di ordine sociale che si frapponeva tra la stessa norma incriminatrice tra legislazione penale comune e militare, ha fatto valere l’importante principio enunciato dall’art.3 della Costituzione e cioè che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge.

E’ indubbio che la sentenza della Corte ha aggiunto un ulteriore tassello al diritto penale militare che, secondo i principi sanciti dalla Costituzione, deve sempre più aderire a quello comune, con le dovute eccezioni di natura speciale che tuttavia debbono essere salvaguardate. Pertanto, la commissione che il Ministro della Difesa ha istituto per procedere alla tanto invocata riforma dei codici penali militari, che giuristi ed operatori del diritto hanno da più parti sollecitato, dovrà certamente tenere conto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 227 c.p.m.p., che unitamente ad altre dichiarazioni analoghe per altri articoli del codice, costituirà una importante base per l’attesa riforma.

GIOVANNI SURANO
giovanni.surano@libero.it

 


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