AVVENIMENTI N. 11, 18 MARZO 2004: "STATO DI PACE, TEMPO DI GUERRA" di Sebastiano Gulisano

venerdì 19 marzo 2004

AVVENIMENTI, N. 11, 18 MARZO 2004

“STATO DI PACE, TEMPO DI GUERRA”

E i Tribunali militari potranno processare anche i civili.

Parlamentari giuristi e militari parlano del testo del governo che vuole svuotare la Costituzione

di Sebastiano Gulisano

«Le chiamano missioni di pace, ma sono missioni di guerra», sostiene Alberto Tuzzi, segretario di Assodipro, l’associazione di militari che raccoglie diverse migliaia di iscritti tra esercito e aeronautica. «È stata l’amministrazione - sostiene Tuzzi, riferendosi agli stati maggiori - a chiedere al ministro della Difesa l’applicazione del codice penale militare di guerra nei confronti dei nostri contingenti in Afghanistan e Iraq». Ed è proprio il codice penale militare di guerra che verrebbe applicato ai quattro elicotteristi rimpatriati dall’Iraq e indagati per ammutinamento, nell’ipotesi in cui dovessero essere processati. Se lo stesso reato lo commettessero dei loro colleghi in missione in Somalia o in Albania o nell’ex Jugoslavia, invece, sarebbero processati in base al codice penale militare di pace. La differenza? «Quello di guerra comporta pene più severe», chiarisce Massimo Villone, capogruppo Ds in commissione Affari costituzionali del Senato. Proprio Villone è intervenuto a Palazzo Madama, durante la conversione in legge del decreto che proroga le missioni militari italiane all’estero, per porre la pregiudiziale di costituzionalità sul provvedimento che, appunto, «diversifica le missioni applicando due codici diversi e, così facendo, viola l’articolo 11 della Costituzione».

Il ritorno del codice penale militare di guerra è figlio dell’11 settembre, era rimasto in naftalina dalla fine del secondo conflitto mondiale. Lo ha rispolverato, con qualche modifica, il governo Berlusconi per la missione Enduring freedom, con un decreto del dicembre 2001. «Il governo, attraverso il continuo ricorso ai decreti legge, ha spogliato il parlamento delle proprie prerogative», accusa Tuzzi. Il mese successivo, comunque, il testo è stato convertito in legge, la numero 6 del 2002. E non si applica solo «ai corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate», ma «anche al personale militare di comando e controllo e di supporto che resta nel territorio nazionale o che si trova nel territorio di altri paesi» (articolo 2).

Per avere detto queste cose alla stampa, il maresciallo capo Ernesto Pallotta, fondatore del Giornale dei carabinieri e membro del Cobar Lazio, si è beccato quattro giorni di consegna di rigore. «Il vero effetto di quella legge - dicono al Giornale dei carabinieri - è stato quello di ammonire i militari contro una spinta innovatrice che porta il nome di democratizzazione delle Forze armate».

E non è certo finita qui.

Le commissioni Difesa e Giustizia del Senato hanno cominciato l’esame del disegno di legge 2493, Delega al governo per la revisione delle leggi penali e militari di pace e di guerra, nonché per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, che porta la firma dei ministri di Difesa e Giustizia, Antonio Martino e Roberto Castelli. Villone non si sbilancia sul ddl («Non ho avuto modo di studiarlo a fondo»), ma sottolinea che invece di diversificare l’utilizzo dei due codici penali militari per le missioni all’estero, «sarebbe il caso di pensare a un nuovo corpo di regole per le missioni “a rischio”».

Per Claudio De Fiores, invece, quello del governo è un testo «inquietante». De Fiores è professore associato di diritto costituzionale all’Università Napoli 2. In un intervento pubblicato sul sito internet dell’Amid, Associazione per i militari democratici (www.amid.it), descrive il ddl come una «temeraria operazione di “assedio” dei principi costituzionali» che dilata «la sfera giurisdizionale di competenza dei Tribunali militari», forzando il dettato dell’articolo 103 della Costituzione, che, precisa De Fiores, «pone limiti alla giurisdizione militare, ma solo in tempo di pace, mentre attribuisce alla piena disponibilità della legge ordinaria la determinazione della giurisdizione per il tempo di guerra». Il testo governativo, invece, tenta di limitare il campo d’azione del giudice ordinario e, per fare ciò, «è costretto a sottoporre la nozione costituzionale “tempo di guerra” ad una torsione interpretativa talmente profonda da assorbire finanche la nozione di “tempo di pace”». L’obiettivo? «Rendere finalmente possibile “l’applicazione della legge penale militare di guerra, anche indipendentemente dallo stato di guerra” (lettera l dell’articolo 4 del disegno di legge)». Insomma: «Normare l’emergenza bellica per normalizzare la guerra», nella logica «dell’ideologia della guerra permanente».

È d’accordo Elettra Deiana, deputata di Rifondazione comunista della commissione Difesa della Camera: «Si incrementano le competenze dei Tribunali militari, che attualmente hanno un’attività ridotta, e si militarizzano i reati comuni dei militari sottraendoli alla giurisdizione ordinaria. Si vuole istituire una zona franca? Si vuole corporatizzare?». Secondo il magistrato Domenico Gallo, esponente del Coordinamento nazionale dei Giuristi democratici (www.giuristidemocratici.it), «il governo ha l’esigenza di salvare e rilanciare una giurisdizione militare in crisi, che con l’abolizione della leva lo sarà sempre più perché va in crisi la sua ragione d’essere. Si tenta di rilanciare i Tribunali militari proprio mentre altrove vengono aboliti, come in Francia, in Germania, in Belgio e, mi pare, in Spagna e Portogallo». La «militarizzazione dei reati» comporta l’ampliamento delle competenze dei Tribunali militari ai reati comuni commessi dai cittadini con le stellette, anche fuori delle caserme. Vale a dire che, se durante un controllo in un’azienda un finanziere chiede una mazzetta a un imprenditore, a giudicarlo non è più il giudice ordinario ma quello militare. In Italia i giudici militari sono solo 103 ripartiti in 9 giurisdizioni giudiziarie. Dunque, chiarisce Gallo, «non vuol dire più rigore, ma più impunità, poiché nei casi di processi complicati e lunghi, a causa delle incompatibilità previste dalla legislazione, portare a conclusione un procedimento sarebbe assai difficile».

Elettra Deiana mette l’accento anche su un altro aspetto, non certo secondario, della legge delega: «Si decostituzionalizza la materia militare e si abbassa sostanzialmente la differenza fra pace e guerra fino a confonderle. La Costituzione e il diritto bellico moderno fissano meccanismi chiari e consentono di individuare chiaramente i percorsi per arrivare allo stato di guerra, nel testo del governo questi principi svaporano, è il governo a decidere». Come? «La legge delega prevede l’instaurazione del tempo di guerra con decreto del governo», chiarisce Gallo. Mentre la parlamentare del Prc, infine, sottolinea la «mutazione semantica che sta subendo il concetto di guerra, all’interno di una logica di mutazione genetica di tutti i meccanismi di difesa e di politica interna». Un esempio di questa mutazione è certamente la cosiddetta «guerra al terrorismo». Un altro esempio concreto lo fa Domenico Gallo, il quale rileva che l’articolo 4 del disegno di legge, tra l’altro, «introduce la legge militare di guerra senza ostacoli procedurali, per le missioni all’estero e sul territorio nazionale o in parte di esso. Vale a dire che i Tribunali militari non giudicano solo i militari ma anche i civili. Un esempio? I fatti del G8 di Genova, con una legge così, avrebbero potuto essere di competenza del Tribunale militare».

 


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