DA LAVOCE.INFO: RICETTE DI BUON FEDERALISMO, STIMA DEGLI EFFETTI DELLA PROPOSTA DELLA LOMBARDIA - di Maria Flavia Ambrosanio e Massimo Bordignon

giovedì 31 luglio 2008

Da www.lavoce.info, 31 luglio 2008

Al di là dei problemi di metodo e di merito della proposta di federalismo fiscale della Lombardia, alcune questioni sono imprescindibili. La spesa statale da devolvere alle regioni è localizzata soprattutto nel Sud, mentre le risorse sono prevalentemente al Centro-Nord. Qualunque ricetta di federalismo dovrebbe perciò riavvicinare nel medio periodo i livelli di spesa a quelli delle entrate regionali; garantire a tutte le regioni le risorse necessarie per i servizi fondamentali; introdurre sistemi di controllo per premiare le capacità gestionali territoriali.

Si ricomincia. Per l’autunno, il governo ha annunciato l’introduzione del cosiddetto “federalismo fiscale”, in pratica la traduzione in norme operative di quegli articoli della Costituzione italiana, riformati nel 2001 ma mai attuati, che descrivono il nuovo sistema di competenze, finanziamento e perequazione per regioni e altri enti locali. Non è naturalmente la prima volta che se ne parla. La precedente legislatura di centrodestra, tra il 2001 e il 2006, aveva collezionato vari tentativi, compresa una fallita ulteriore riforma costituzionale, e lo stesso governo Prodi nella sua breve vita era riuscito ad approvare più di un disegno di legge delega sulla questione. Tutti tentativi abortiti, per la presenza di forti conflitti trasversali tra le varie maggioranze di governo, soprattutto sul tema politicamente delicatissimo dei trasferimenti tra aree del Paese. Ma può darsi che questa volta si faccia più sul serio. La drastica semplificazione del quadro politico, la determinazione della Lega Nord nel portare a casa qualche risultato concreto e il suo ruolo fondamentale nell’attuale maggioranza di governo, rendono l’approdo “federale” più probabile che in passato. La stessa opposizione di centrosinistra, scottata dai risultati elettorali, vede nella partita sul federalismo fiscale un modo per riacquistare un importante spazio di manovra.

LA PROPOSTA LOMBARDA

Ma quale federalismo? Come si intende coniugare autonomia fiscale, principi di cittadinanza, vincoli di bilancio statale, perequazione interregionale delle risorse e rapporti istituzionali e politici tra diversi livelli di governo? E quali sono le posizioni di partenza con cui le varie forze politiche e istituzionali intendono presentarsi al tavolo delle trattative? Se si guarda ai programmi elettorali, la risposta a quest’ultima domanda sembrerebbe ovvia, almeno per quanto riguarda l’attuale maggioranza. Il punto 7 del programma del Pdl recita infatti testualmente “attueremo la proposta approvata dal Consiglio regionale della Lombardia nel giugno del 2007, “Nuove norme per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”. In realtà, la risposta non è così scontata, perché alcuni aspetti radicali della proposta sembrano aver indotto a più miti consigli anche i proponenti più accesi. (1) Ma ballon d’essai o proposta seria, è opportuno conoscerla, soprattutto nei suoi risvolti finanziari, prima di discuterne. (2)
Le conclusioni di una
nostra ricerca per conto della Regione Umbria possono servire alla discussione.

IL DISEQUILIBRIO VERTICALE

La prima questione riguarda l’ammontare di risorse che verrebbero trasferite dal centro alla periferia, ovvero alle regioni a statuto ordinario (tralasciando quelle a statuto speciale). Su questo punto, la proposta lombarda è molto chiara e definisce i tributi propri regionali come somma dei tributi regionali già previsti dall’ordinamento vigente, dell’imposta regionale sul reddito delle persone fisiche, da applicarsi con aliquota, inizialmente uniforme, del 15 per cento (con contestuale riduzione delle aliquote erariali per garantire invarianza della pressione fiscale) e di eventuali altri tributi su materie non assoggettate a imposizione da parte dello Stato; a queste entrate si aggiungerebbero una compartecipazione regionale al gettito dell’Iva pari all’80 per cento (con contestuale abrogazione del decreto legislativo 56/2000) e l’intero gettito delle accise, dell’imposta sui tabacchi e di quella sui giochi.
L’insieme di queste entrate vale circa 206 miliardi di euro, da confrontare con gli 87 miliardi di euro che le regioni a statuto ordinario hanno ottenuto effettivamente, come entrate tributarie, da compartecipazioni e trasferimenti dal bilancio dello Stato. (3) Ne segue un eccesso di entrate a favore del sistema delle regioni pari a circa 119 miliardi di euro. Ma quali maggiori spese dovrebbero finanziare le maggiori risorse? Su questo punto la proposta lombarda è silente, salvo qualche implicito riferimento alla finanza locale - i trasferimenti erariali a province e comuni - che dovrebbe passare dallo Stato alle regioni.

Qualche riflessione può comunque essere fatta, per esempio sulla più importante delle funzioni devolvibili secondo l’articolo 117 della Costituzione, ovvero l’istruzione. (4) Nel 2005, la spesa statale complessiva per l’istruzione scolastica e la finanza locale è stata di circa 47 miliardi di euro, una cifra di gran lunga inferiore ai 119 miliardi di maggiori risorse della proposta lombarda. A che cosa dovrebbero dunque servire i restanti 72 miliardi di euro? Esiste quindi un rilevante disequilibrio verticale, che implicherebbe risorse insufficienti per lo Stato per finanziare le spese residue (principalmente, previdenza, interessi e grandi beni pubblici nazionali). Da questo punto di vista, la proposta del Consiglio regionale della Lombardia presenta una sorta di incoerenza interna: definisce le risorse da attribuire al sistema delle regioni a statuto ordinario, senza definire prima le spese che queste risorse devolute dovrebbero finanziare. E ciò non può che produrre disequilibri.

IL DISEQUILIBRIO ORIZZONTALE

La seconda questione concerne la posizione relativa delle diverse regioni, rispetto alla legislazione vigente. Chi guadagna e chi perde? Anche in questo caso, l’esercizio di simulazione condotto sul 2005 consente di trarre qualche spunto interessante.

Nell’ipotesi di attribuzione alle regioni a statuto ordinario delle spese per l’istruzione scolastica e per la finanza locale, ci sarebbe un aumento della spesa pro-capite media di 954 euro, da confrontare con l’aumento medio di entrate pro-capite pari a 2.414 euro. Ma se si guarda alla situazione delle singole regioni, si osserva che le maggiori entrate pro-capite variano dai 3.230 euro della Lombardia ai 930 della Calabria, mentre le maggiori spese pro-capite variano dai 780 euro della Lombardia ai 1.425 della Calabria. Dunque, nonostante l’enorme devoluzione delle risorse alle regioni, per la diversa distribuzione territoriale delle entrate e delle spese da decentrare, alcune regioni, prevalentemente del Mezzogiorno, non riceverebbero risorse sufficienti per finanziare la spesa devoluta. Ma la proposta lombarda prevede anche un meccanismo di perequazione territoriale di tipo orizzontale (cioè con trasferimenti diretti dalle regioni ricche a quelle povere), che ridurrebbe del 50 per cento la differenza nelle risorse pro-capite di ciascuna regione rispetto alla media. Sarebbe questo sufficiente a garantire il finanziamento delle spese in tutte le regioni? La risposta è sì, se si mantiene il disequilibrio verticale. La risposta è chiaramente no se lo si eliminasse, ovvero se, come sembra ragionevole, si attribuissero alle regioni risorse esattamente pari alle maggiori spese da finanziare. In questo caso, quale che sia la fonte di finanziamento prescelta per riportare in equilibrio spese e entrate devolute (ad esempio, solo la compartecipazione all’Iva o solo l’imposta regionale sul reddito delle persone fisiche) nessuna regione del Sud riuscirebbe a finanziare le maggiori spese con una perequazione al 50 per cento. Non solo, molte non sarebbero in grado di farlo neanche con una perequazione del 100 per cento, cioè con un totale annullamento delle differenze esistenti tra regioni.

IL PROBLEMA

La proposta del Consiglio regionale della Lombardia presenta dunque diversi problemi di metodo e di merito, soprattutto il fatto di partire da ipotesi di devoluzione delle risorse senza discutere prima delle spesa che si vuole finanziare, e di introdurre vincoli alla perequazione senza chiedersi quali servizi si vogliono perequare. Ma gli aspetti critici che emergono dalle simulazioni non riguardano solo la proposta lombarda e devono essere tenuti ben presenti da chiunque intenda intervenire sul dibattito sul federalismo fiscale e in particolare dal governo.

La spesa statale da devolvere alle regioni e agli altri enti locali sulla base dell’articolo 117 tende a essere localizzata soprattutto nel Sud del Paese, mentre le risorse per finanziarla stanno prevalentemente al Centro-Nord. E se appare evidente la necessità di qualche aggiustamento nella distribuzione della spesa (perché così più alta al Sud, per una funzione nazionale come l’istruzione?), non si può non tenere conto dell’esistente nello studiare soluzioni appropriate. Queste possono essere diverse, ma non possono prescindere da alcuni punti che sono a nostro avviso fondamentali: primo, riavvicinare, nel medio periodo, i livelli di spesa regionale ai livelli di entrate regionali; secondo, garantire comunque a tutte le regioni le risorse necessarie per finanziare al livello efficiente i servizi fondamentali protetti dalla lettera m dell’articolo 117; terzo, introdurre, a livello centrale, sistemi di controllo e di incentivazione adeguati, che tengano conto, ai fini dell’attribuzione di risorse e competenze, delle capacità gestionali delle diverse realtà territoriali.

 NOTE

(1) È di pochi giorni fa la notizia che l’on. Roberto Calderoni avrebbe presentato un’altra proposta di attuazione dell’articolo 119 che appare più simile a quella approvata dal governo Prodi piuttosto che a quella lombarda.

(2) Si dovrebbe anche aggiungere che esiste una versione “ufficiale” di stima relativa alla proposta lombarda, quella contenuta nella relazione tecnica di accompagnamento alla proposta di legge. Solo che questa “stima”, come chiunque può facilmente verificare confrontandola con il testo del disegno di legge, nulla ha a che vedere con la proposta stessa. Sull’assurdità dei numeri che vengono utilizzati nel dibattito politico su un tema così importante come il federalismo fiscale bisognerebbe riflettere di più.

(3) Dati riferiti al 2005.

(4) Nelle stime riportate nel lavoro teniamo conto anche della possibile devoluzione alle regioni delle spese statali per gli Affari economici, che di nuovo, secondo l’articolo 117 potrebbero passare, in tutto o in parte, alle regioni.


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