IL DECRETO MINESTRONE E L’ASSALTO ALLA DILIGENZA, MENTRE LA GDF HA SONDATO I PARTITI PER AVERE UN COMANDANTE PROVENIENTE DAL CORPO (Il Messaggero)

mercoledì 10 febbraio 2010

IL MESSAGGERO - Mercoledì 10 Febbraio 2010

IL DECRETO «MINESTRONE» COME LA VECCHIA FINANZIARIA
L’assalto alla diligenza - Norme settoriali e interessi diversissimi salgono al transito delle leggi-omnibus

di CLAUDIO SARDO

ROMA - Il decreto «milleproroghe», che oggi sarà al voto del Senato, è un minestrone di norme che vanno dallo scudo fiscale allo sconto sul gasolio per taxi e ambulanze, dai limiti di partecipazione al capitale delle banche popolari all’aumento delle tasse sulle sigarette, dagli interventi a favore del comune di Pietralcina al riparto dei fondi del 5 per mille, dalle agevolazioni ai lavoratori che attendono il trapianto di organi alla tutela della piccola proprietà contadina. In molti casi si tratta di norme necessarie, attese, vitali. Ma lo strumento è improprio nel suo gigantismo. Il decreto è un mostro giuridico, un treno merci su cui tanti sono riusciti a salire al volo ma altrettanti sono stati respinti. Quell’«assalto alla diligenza» che Giulio Tremonti ha in buona misura evitato per la legge finanziaria si è trasferito così su questo ed altri decreti-omnibus che periodicamente transitano alle Camere.
La Finanziaria «leggera», tutta contabile, del ministro del Tesoro si è ormai consolidata, dopo essere stata confermata da una riforma bipartisan. Il problema delle istanze molteplici di categorie, lobbies, territori, interessi settoriali resta però senza uno sbocco ordinato. Quando il «milleproroghe» è stato licenziato dal Consiglio dei ministri del 30 dicembre, i commi erano complessivamente 77. L’altra sera, al termine del lavoro di commissione, era stata superata quota 100. Peraltro Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali, aveva cassato «per disomogeneità di materia» circa la metà dei 660 emendamenti proposti, guadagnandosi l’apprezzamento delle opposizioni. Tra l’altro sono stati respinti alcuni assalti alla diligenza piuttosto clamorosi, come la proroga del condono edilizio. Ma Vizzini è il primo a riconoscere che «lo strumento non funziona» e che al tavolo delle riforme bisognerà «ridisegnare il ruolo e le prerogative del Parlamento, magari differenziando più nettamente le funzioni di Camera e Senato».
Allo stato il Parlamento è compresso, represso. Il governo propone e dispone: dove non arrivano i decreti-legge usa le ordinanze della Protezione civile, quando il decreto è in bilico lo blinda con i maxi-emendamenti e la fiducia, se ha bisogno di riforme più ampie usa la legge-delega e bypassa comunque le Camere. Quasi l’intera iniziativa legislativa (107 leggi su 126 approvate dall’aprile 2008 a fine 2009) è in mano all’esecutivo. Ai parlamentari, innanzitutto quelli di maggioranza, non restano appunto i decreti-omnibus per dimostrare la loro esistenza. Il milleproroghe, tra i vari decreti, è diventato il più simile alle Finanziarie di un tempo. Ma anche altri decreti sono stati usati come locomotiva a cui agganciare vagoni e vagoni. Ad esempio il decreto anticrisi 78/2009 si è via via caricato di disposizioni sul riordino degli enti pubblici, sulle assunzioni ai Vigili del fuoco, sul demanio marittimo, sul noleggio con conducente, sulla commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili.
Lo scarso transito di provvedimenti di iniziativa parlamentare induce ormai all’assalto anche di leggi ordinarie, come la legge comunitaria. Capita così che il medesimo emendamento venga presentato su due o tre diversi decreti nella speranza di passare indenne almeno una volta. Stanno prendendo le misure anche fuori dal Parlamento: la Guardia di Finanza ha sondato i partiti per inserire nel decreto sul rinnovo delle missioni la norma per avere, al pari dei Carabinieri, un comandante interno al Corpo. Per ora l’ipotesi è respinta.

 


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