MEGARICORSI COLLETTIVI CONTRO LA LEGGE DINI, LA PRIMA SENTENZA CONFERMA LA POSIZIONE DE "LA RETE LEGALE", I GIUDICI DEL TAR LAZIO: NON SIAMO COMPETENTI - di Giovanni Surano

venerdì 18 dicembre 2009

MEGARICORSI COLLETTIVI CONTRO LA LEGGE DINI, LA PRIMA SENTENZA CONFERMA LA POSIZIONE DE "LA RETE LEGALE", I GIUDICI DEL TAR LAZIO: NON SIAMO COMPETENTI - di Giovanni Surano

E’ la prima sentenza con cui i giudici amministrativi si esprimono sulla questione del mancato avvio della previdenza complementare contemplata dalla legge di riforma dei sistema pensionistico L.335/95 c.d. legge Dini.

La sentenza in argomento emessa dal Tar Lazio e depositata in segreteria in data 14 dicembre 2009, respinge il ricorso presentato da un considerevole numero di Carabinieri che alla data del 31.12.1995 non erano stati ancora arruolati ovvero non avevano maturato i 18 anni contributivi previsti per l’inquadramento nel c.d. sistema retributivo, e per questo chiedevano che il trattamento pensionistico venisse loro calcolato – sino all’effettiva attuazione della previdenza complementare – secondo il sistema pensionistico più favorevole (retributivo).

I giudici, sulla base di quanto richiesto dai ricorrenti, hanno avuto modo di chiarire che le tematiche concernenti il criterio da utilizzare per la determinazione della entità pensionistica sono di stretta competenza del giudice delle pensioni, e pertanto il ricorso doveva essere incardinato presso la competente Corte dei Conti.

La sentenza non si limita tuttavia al solo respingimento del ricorso per l’accertato difetto di giurisdizione, ma offre interessanti spunti argomentativi che forniscono un quadro logico-giuridico per chi intendesse esperire altri ricorsi sulla stessa tematica.

I giudici amministrativi cioè prendendo le distanze da una mera quanto asettica sentenza di rigetto del ricorso per il motivo sopra descritto, indicano i punti chiave da sviluppare nel petitum sostanziale e causa petendi affinchè anche il giudice amministrativo possa prendere cognizione della materia, vale a dire quell’aspetto, evidentemente trascurato dai ricorrenti, che investe sotto altri profili di fatto e di diritto il thema decidendum.

Il riferimento è chiaro alla mancata indicazione, da parte dei ricorrenti, della differenza, in negativo, dei contributi che l’amministrazione ha versato prima dell’entrata in vigore della legge Dini rispetto a quelli versati dopo l’entrata in vigore della stessa norma. Solo mediante una simile eccezione, che attiene allo svolgimento del rapporto di impiego relativamente al versamento dei contributi previdenziali, il giudice amministrativo avrebbe potuto prendere cognizione della tematica in ricorso. Anche se in definitiva la stessa sentenza chiarisce che comunque si tratterebbe pur sempre di questioni che attengono alla tematica pensionistica e che come tali potrebbero sfuggire alla competenza della giustizia amministrativa.

Ed ecco che i giudici nella parte finale della motivazione indicano quale potrebbe essere la strada maestra da seguire nei casi di specie: la richiesta di costituzione di una ulteriore posizione previdenziale (c.d. secondo pilastro della legge Dini), atta a compensare gli squilibri, di ordine patrimoniale, connessi all’applicazione dei nuovi criteri di calcolo delle pensioni, che non investa però direttamente il giudice amministrativo, ma che passi attraverso la pretesa a che l’Amministrazione eserciti il proprio potere in proposito e, solo dopo l’eventuale inerzia di questa, invocare l’intervento del giudice mediante lo strumento previsto dall’art.2 della legge 205 del 2000, cioè un ricorso ex art.21 bis legge 241/90.

Pertanto, alla luce delle indicazioni fornite in sentenza:

- non è possibile chiedere al Tar l’applicazione del sistema retributivo senza incorrere in un pronunciamento di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione (una simile richiesta potrebbe essere proposta solo con un ricorso alla Corte dei Conti);

- è possibile invece formulare una istanza all’Amministrazione di appartenenza (una sorta di messa in mora) con la quale chiedere l’attivazione della c.d. previdenza complementare;

- solo in caso di inerzia da parte dell’Amministrazione (mancata risposta all’istanza), entro un anno dal termine ultimo concesso ex lege per la risposta, si potrebbe adire il giudice amministrativo per l’accertamento del silenzio-rifiuto di cui all’art. 21 bis della legge 241/90, e con tale strumento il giudice amministrativo può entrare nel merito della trattazione e decidere su di essa.

Credo che le argomentazioni addotte dai giudici nella motivazione della sentenza in commento aderiscano in maniera speculare a quelle che a suo tempo vennero espresse da Ficiesse sulla stessa tematica, quando cioè l’ Associazione giudicò improponibile un eventuale ricorso al Tar che avesse come struttura sostanziale la richiesta di calcolo pensionistico secondo il criterio del sistema retributivo da adottarsi nelle more dell’avvio della previdenza complementare.

Giovanni Surano
Sezione Ficiesse Lecce

giovanni.surano@libero.it

 

 


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