ARTICOLO DI BRUNO TINTI SUL FATTO QUOTIDIANO SULLA “BATTAGLIA” IN CORSO PER IL CONTROLLO DELLE INDAGINI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA DA PARTE DELLE SCALE GERARCHICHE
Di seguito, l’articolo di Bruno Tinti pubblicato da Il Fatto Quotidiano. Il titolo è della redazione del sito. Quello originale è “Polizia giudiziaria, la battaglia per il controllo.
Della delicatissima questione se ne è già occupato in due occasioni – lo scorso mese e nel 2012 - il nostro Cleto Iafrate con i seguenti due interventi:
POLIZIA GIUDIZIARIA, LA BATTAGLIA PER IL CONTROLLO
di Bruno Tinti
Il Fatto Quotidiano - 11 agosto 2016 - Pag. 13
In principio era la Costituzione. Articolo 109: “L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Io ci credevo e cosi “disponevo” che si facesse questa o quella indagine. La mia “disposizione" arrivava al Commissariato, alla Squadra Mobile, al Nucleo Investigativo Carabinieri, al Nucleo di Polizia Tributaria, insomma al Comando di Polizia Giudiziaria che aveva inviato in Procura la segnalazione di notizia di reato (allora si chiamava “rapporto”); certe volte “disponevo” che le indagini fossero effettuare da Tizio o Caio. Che erano poi quelli che avevano svolto le indagini. E l’indagine in effetti veniva fatta. Solo che la facevano quando volevano loro (“loro” erano i Comandi cui era arrivata la mia “disposizione”), dalle persone che decidevano loro e con le modalità che stabilivano loro. A me arrivava un pacchetto bello e confezionato e, se non mi piaceva, toccava ricominciare daccapo.
Si andò avanti cosi per qualche decennio (per quanto mi riguarda dal 1967 al 1988) quando il nuovo codice di procedura penale istituì le sezioni di Polizia Giudiziaria (PG) presso le Procure, alle “dirette dipendenze” del PM: 2 PG (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) per ogni PM. Un piccolo esercito, molto fidato, molto fedele, molto riservato.
Molto inviso alle varie scale gerarchiche che perdevano il controllo delle indagini che i PM delegavano direttamente alla “loro” PG. E, come è ovvio, si trattava delle indagini più importanti, in particolare quelle per corruzione, frode fiscale, insider trading, insomma quelle che la politica aveva interesse a conoscere e controllare. E che, con l’emarginazione della scala gerarchica e dunque degli alti comandi che istituzionalmente rispondevano ai relativi Ministri (Interno, Difesa, Finanze), non poteva più conoscere né controllare.
COMINCIO’ così un pressing sui poveri PG delle Procure: “Voi dovete comunicarci l’esistenza e lo sviluppo delle indagini”. Loro non lo facevano (erano protetti dal codice di procedura che impediva il loro trasferimento senza il consenso del Procuratore) e la “scala gerarchica” era scocciatissima. E ora si sta prendendo la rivincita perché un decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia” ha stabilito che “i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. Norma dettata, all’evidenza, per le sezioni di PG presso le Procure, le sole che il codice di procedura penale sottrae alla dipendenza dei relativi Comandi; e che ora sarebbero obbligate a “riferire”, piaccia o non piaccia alla Procura. Ce l’hanno fatta, dunque?
Si e no. Perché c’è sempre l’art. 329 del codice di procedura: “Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto, il pubblico ministero, in caso di necessità, per la prosecuzione delle indagini, può disporre l’obbligo del segreto per singoli atti quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone”. Sicché un modo per tutelare l’indagine da possibili inquinamenti c’è.
Certo non sarà molto bello scrivere che la comunicazione dell’esistenza dell’indagine alla “scala gerarchica” può pregiudicarne il prosieguo. Però qualche volta e già successo...