WWW.TRIBUPRESS.IT: SUICIDI TRA LE FORZE DI POLIZIA, ESCALATION INARRESTABILE
WWW.TRIBUPRESS.IT: SUICIDI TRA LE FORZE DI POLIZIA, ESCALATION INARRESTABILE
Nell’80% dei suicidi è stata utilizzata la pistola d’ordinanza di Ettore Minniti
L’ultimo caso si è verificato il giorno di Santo Stefano a Palermo. Si è tolto la vita con un colpo di pistola mentre era in servizio di tutela alla sede della Banca d’Italia di Palermo.
Un appuntato dei carabinieri ha deciso di farla finita. L’ennesimo tragico lutto per i Carabinieri.
Un episodio che ha portato all’attenzione del grande pubblico un fenomeno che agli operatori professionali è noto da diversi anni: l’elevato rischio di suicidio fra gli appartenenti alle Forze di Polizia.
I dati ufficiali relativi al fenomeno dei suicidi tra gli uomini in uniforme, con riferimento al periodo compreso tra il 2009 e il 2014, sono i seguenti. Per quanto concerne la Polizia di Stato 62 suicidi, nell’Arma dei Carabinieri se ne sono registrati ben 92, il dato riferito alla Guardia di finanza è di 45 casi di suicidio, 47 nel Corpo di polizia penitenziaria e 8 nel Corpo forestale dello Stato.
Il trend non è cambiato negli ultimi due anni. Nell’80% dei suicidi è stata utilizzata la pistola d’ordinanza.
Tra i Carabinieri, quindi, il tasso di suicidi è di circa quattro volte più alto rispetto la media italiana. Di là dei casi specifici, sembra esserci poca attenzione su questo fenomeno in costante crescita.
I vertici tendono a minimizzare: “I casi di suicidio nell’Arma sono stati 10 nel 2015, con una media di 13 negli ultimi anni. Nel 2015, infatti, 5 carabinieri si sono tolti la vita per problemi familiari, 3 per problemi di salute, 2 per cause non note, ma non riconducibili a motivi di servizio. Di questi 7 con arma di ordinanza, 2 con pistola privata, uno si è impiccato”.
Purtroppo, non siamo d’accordo con quest’analisi fatta dal Comandante Generale dell’Arma, Gen.C.A. Tullio Del Sette. Chi indossa un’uniforme è più esposto, rispetto alla gente comune, poiché possiede un’arma di servizio. Occorre monitorare costantemente lo stato psicologico del poliziotto/carabiniere, non solo al momento del suo arruolamento, ma soprattutto durante la sua carriera.
Una carriera spesso accompagnata da problemi economici e familiari, che aumentano l’impatto emotivo. La percezione sgradevole è che lo Stato non protegga a sufficienza i suoi uomini addetti alla sicurezza e troppo spesso li abbandona al proprio destino.
Per questo essi sono sottoposti a stress, fenomeno che appare sottovalutato. Un monitoraggio sullo stress da lavoro da parte delle Autorità è quasi inesistente, e nella maggior parte dei casi, si tende a sminuire il motivo del suicidio come problema personale e familiare, mai derivante da cause legate all’organizzazione che avrebbe conseguenze sulle responsabilità e sulla prevenzione non adottata.
Diversi studi, condotti all’estero, hanno reso evidente che è frequente il suicidio nelle Istituzioni caratterizzate da peculiarità come un elevato grado di controllo sul personale, un basso grado di autonomia decisionale e un basso grado di libertà di movimento. Istituzioni di questo tipo sono le istituzioni militari o militarizzate come l’Arma dei Carabinieri.
Nelle Istituzioni così rigidamente strutturate il suicidio non ha una valenza psicopatologica vera e propria, spesso rappresenta la rivendicazione del proprio status di uomo libero e autodeterminato di fronte alle coercizioni subite e ritenute ingiuste. Quando l’appartenenza a un’Istituzione militare e la rigida vita di caserma opprime la persona con costrizioni ambientali, pretende il dominio del rigore formale, esige il rispetto gerarchico prevalente sulla libera espressione della personalità, ecco che per una persona che versa già in uno stato di crisi personale, il suicidio assume il significato di una fuga liberatoria.
Le istituzioni gerarchicamente organizzate, la caserma e la vita militare tuttavia può solo funzionare da aumento del rischio, ma non sono una causa diretta in grado di condurre al suicidio. Considerando alcune peculiarità dell’ambiente e dell’attività operativa possiamo affermare che le attività delle forze di polizia prevede un intervento professionale in situazioni ad intenso coinvolgimento emotivo, a contatto con persone in situazioni drammatiche (con intensi vissuti emotivi d’ansia, di paura o di disperazione).
Intervenire sempre in situazioni ad alto contenuto emotivo conduce, alla fine, a uno stress cronico e a un logoramento emotivo. Nei soggetti compare la critica continua su tutti e su tutto, un atteggiamento cinico verso gli altri e un’autovalutazione negativa del proprio lavoro. In queste condizioni psicologiche non può essere che di bassa qualità il servizio svolto, con aumento del turnover, dell’assenteismo per malattia e un morale costantemente basso. Gli operatori di polizia arrivano in questo modo a sommare al proprio disagio personale ed esistenziale il contatto con situazioni fortemente problematiche e la partecipazione ad episodi drammatici. Unendo ai problemi personali il contatto quotidiano con situazioni in grado di produrre un logoramento emotivo, s’innesca un percorso evolutivo critico che può condurre all’ideazione suicidaria.
Da non sottovalutare poi l’atteggiamento psicologico verso il servizio svolto. Quest’atteggiamento è il risultato della motivazione che ha condotto all’ingresso in servizio, accompagnato dalla formulazione interiore di un obiettivo specifico da conseguire. Si crea nella persona, da subito dopo l’incorporamento, un’aspettativa personale, un obiettivo, e su quella aspettativa si investe una quota affettiva ed emotiva dei propri sentimenti. Se gli eventi del percorso del servizio inducono alla consapevolezza dell’impossibilità a raggiungere questo obiettivo personale, interiormente si vive una crisi personale, una ferita del sé.
Gli obiettivi di carriera che sono messi a fuoco con l’incorporamento riguardano sicuramente il conseguimento del grado più elevato possibile, l’avere degli incarichi desiderati e di prestigio, l’avere delle prerogative d’impiego, come ad esempio le sedi di lavoro desiderate. Quanto più è alta l’aspettativa iniziale, tanto più distruttive sono le frustrazioni vissute alla sua rinuncia, tanto più profondo è il vissuto di fallimento e di crisi personale. Se la professione, il servizio, la carriera arrivano a rappresentare il nucleo dell’identità personale ecco che il successo professionale, la carriera brillante, l’avanzamento di grado, gli incarichi di prestigio, divengono l’unico simbolo della compiuta realizzazione. Per ottenere tutto questo la persona si gioca tutto. Sacrifica il proprio tempo, la propria salute, gli interessi extra-lavoro, gli affetti, la famiglia, gli amici, lo svago, un hobby personale.
Se la professione rappresenta in modo esclusivo il proprio progetto di vita, possiamo dire che la probabilità di incorrere in una condizione di stress è maggiore. Lo stress correlato da lavoro dovrebbe essere oggetto di prevenzione. Un obiettivo primario e non contrattabile. Se le Autorità di Governo stanno a guardare, cincischiano e sottovalutano il fenomeno, i cittadini comuni chiedono a gran voce maggiore sicurezza urbana, con più personale in uniforme, addestrato, equipaggiato e soprattutto adeguatamente motivato. (www.tribupress.it)