GIUSTIZIA TRIBUTARIA, TROPPI I CASI DI COMPENSAZIONI DELLE SPESE DI GIUDIZIO A SVANTAGGIO DEI CONTRIBUENTI – di Cleto Iafrate

domenica 30 settembre 2018

GIUSTIZIA TRIBUTARIA, TROPPI I CASI DI COMPENSAZIONI DELLE SPESE DI GIUDIZIO A SVANTAGGIO DEI CONTRIBUENTI – di Cleto Iafrate

Per entrare in argomento delle spese di giudizio, prendo spunto da una storiella frutto della saggezza popolare.

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Un allevatore si reca presso uno studio legale, l’unico nel paese: “avvocato, una delle mie mucche è andata a partorire nella stalla del vicino, di chi è il vitellino?

L’altro: “Se la mucca è tua, allora, anche il vitellino sarà tuo”.

Il giorno successivo, anche il contadino si reca presso lo studio: “avvocato, una mucca ha partorito nella mia stalla, di chi è il vitellino?

L’altro: “se la stalla è di tua proprietà, allora anche il vitellino sarà tuo”.

Il figlio dell’avvocato, che aveva assistito in silenzio, rimasto solo con il padre, gli chiede: “ma quel vitellino alla fine di chi sarà?

E il padre rispose: “Mio caro figlio, quel vitellino è nostro”.

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Quanto sopra per introdurre un concetto più volte ribadito dalla Cassazione ma troppo spesso ignorato: “Si lede il diritto di agire in giudizio se la parte vittoriosa non recupera le spese sostenute. Inoltre, subisce un evidente danno se l’importo delle spese supera quello del pregiudizio economico che ha inteso evitare proponendo ricorso (ordinanza 14550/2015. Vedi anche ordinanze 373/2015; 766/2014 e 22679/2017).

Concetto che nel corso degli anni il legislatore ha dovuto costantemente ribadire, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi i giudici compensavano le spese tra le parti.

L’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546/92 dispone che la Commissione Tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile. Tale deroga al principio generale della soccombenza nel riparto delle spese di giustizia, negli ultimi anni è stata rivisitata più volte.

Il testo originario disponeva che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

La prima modifica è stata introdotta con la L. 263/2005, che ha imposto che i “giusti motivi” dovessero essere “esplicitamente indicati nella motivazione.

Dal momento che la modifica non ha avuto l’effetto di ridurre il potere compensativo dei giudici.

I quali continuavano a compensare le spese che nella maggioranza dei casi rimanevano a carico del contribuente anche quando risultava vittorioso, spesso senza un’esplicita motivazione.

Qualche anno dopo si è resa necessaria una ulteriore modifica all’art. 92 c.p.c.. La legge 69/2009 ha stabilito che per poter compensare le spese, in deroga al principio generale della soccombenza, occorrono “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione.

Orbene, sia “i giusti motivi” che “le gravi ed eccezionali ragioni” non hanno impedito ai giudici tributari di continuare a compensare le spese anche in presenza di una sola parte soccombente.

Il legislatore con il Dlgs 156/2015, attuativo della delega fiscale, ha di nuovo ribadito che il giudice può compensare le spese solo in caso di soccombenza reciproca o “qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono che devono essere espressamente motivate.

Pare, però che questo principio non piaccia ai giudici tributari.

Dal rapporto trimestrale (gennaio/marzo 2018) sullo stato del contenzioso tributario è emerso che le spese sono state compensate o non liquidate nel 58,38% dei casi in commissione tributaria provinciale e nel 57,44 in Ctr, nonostante i giudizi intermedi siano solo l’11,34% in Ctp e l’8,45% in Commissione regionale. E’ emerso, inoltre, che a fronte del 31,31% di giudizi completamente favorevoli al contribuente, le spese siano state addebitate all’erario solo nel 15,91% dei casi in Ctp. In Commissione tributaria regionale, invece, a fronte del 37,12% di esiti completamente favorevoli al contribuente le spese sono state addebitate all’erario solo nel 16,45% dei casi.

 CONCLUSIONI

Quando la posta in gioco non è molto elevata –vale, per esempio, un vitellino- vincere la lite con il fisco senza ottenere il rimborso delle spese può significare perdere il vitellino pur avendo ragione. Una tale epilogo ha l’effetto di inclinare il rapporto di fiducia che dovrebbe esistere tra contribuente e pubblica amministrazione.

Se ne sono resi conto i giudici tributari della capitale.

La compensazione delle spese va pronunciata solo in casi eccezionali. E’ ingiusta, infatti, la sentenza che non condanna il fisco a pagare le spese processuali se non ci sono valide ragioni o non c’è una soccombenza reciproca delle parti in giudizio”. E’ quanto ha stabilito la Commissione tributaria Regionale di Roma, sezione XXI, con la sentenza n. 2068 del 29 marzo 2018.

Una sentenza di civiltà che va accolta con grande soddisfazione. C’è un giudice a Roma.

Cleto Iafrate

Direttore del “Laboratorio delle idee” di Ficiesse

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