CASO CERVIA, DOPO 28 ANNI IL MINISTRO DELLA DIFESA TRENTA: "ERRORI DA PARTE DELLO STATO" da Messaggero.it
Quando scomparve, 28 anni fa, Davide Cervia aveva 31 anni e un recente passato da sottufficiale della Marina militare esperto in guerra elettronica. Il caso venne liquidato come «allontanamento volontario», ma a questa versione la moglie e i due figli non hanno mai creduto, sostenendo che Davide fu rapito da qualcuno interessato alle sue conoscenze tecniche e militari. Da allora hanno condotto una battaglia che ha portato a due risvolti giudiziari importanti - l'accertamento che fu effettivamente un sequestro e la condanna del Governo per aver «nascosto la verità» - e, oggi, a un'ammissione politica clamorosa: quella del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che ci sono stati «errori di Stato». Ragione per cui ha deciso di non dare seguito all'impugnazione della sentenza di condanna del suo dicastero, come deciso invece dal precedente governo.
I fatti. Il 12 settembre 1990 Davide Cervia scompare dalla sua casa di Velletri. A confutare l'ipotesi che si sia allontanato volontariamente sono due testimoni, che dicono di aver assistito al suo rapimento. Un anno dopo viene ritrovata l'auto con la quale sarebbe stato portato via: dentro c'è ancora il mazzo di fiori che Davide aveva comprato per la moglie. Originario di Sanremo e arruolatosi a 19 anni in Marina, si era congedato nel 1984 con il grado di sergente e la qualifica Ete/Ge, cioè esperto di guerra elettronica. Secondo la moglie Marisa Gentili, che oggi chiede «verità e la costituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta», proprio le sue conoscenze in questo ambito sarebbero alla base del rapimento.
È stato «rapito - questa la sua convinzione - per essere portato in uno dei luoghi che fu teatro della prima guerra del Golfo». E a sequestrarlo «potrebbe essere stata un'organizzazione, supportata da pezzi deviati dello Stato», dedita al traffico d'armi: armi sofisticate, che necessitavano anche di uomini che le conoscessero bene. Come Cervia, appunto. Nel corso degli anni la famiglia ha ricevuto molte lettere anonime: in una c'era scritto che Cervia era morto in un bombardamento a Baghdad, in un'altra lo si dava prigioniero in Libia o in Arabia Saudita. Altre piste portavano in Iran, in Russia, ma anche in Somalia e nel Sahara Occidentale.
Diverse lettere erano di minaccia e intimavano alla famiglia il silenzio. Marisa Gentili parla anche di un incontro con una «figura istituzionale» - il cui nome è pronta a fare ad un magistrato - che le avrebbe offerto un miliardo di lire per «lasciare perdere» e mettere tutto a tacere. Nel 2000, la Procura generale presso la Corte d'appello di Roma, pur confermando l'ipotesi del rapimento, archivia il fascicolo per l'impossibilità di individuare i colpevoli. Nel 2012 la famiglia fa causa al Governo, in sede civile, e lo scorso gennaio il ministero della Difesa viene condannato al risarcimento di un euro, la somma simbolica chiesta dalla moglie e dai figli di Cervia, per «avere violato il loro diritto alla verità» attraverso una serie di omissioni.
La Marina, in particolare, non avrebbe fornito informazioni «tempestive, esatte e complete» sul conto di Cervia. Informazioni, secondo legali della famiglia, che se conosciute avrebbero potuto salvare l'ex militare. La sentenza è stata impugnata dal precedente governo, ma il ministro Trenta qualche giorno fa ha dato indicazione di rinunciare al ricorso. «Dopo un'attenta lettura degli atti in possesso dell'amministrazione, ho scelto - spiega il ministro - di riconoscere gli errori dello Stato nei confronti di una famiglia che merita rispetto e verità. Io sono con loro, li ho incontrati e gli ho chiesto scusa, a nome del Paese e della Difesa. I cittadini al primo posto».