ALTRO CHE CODICI MILITARI, C'È DA METTERE MANO ALLA DISCIPLINA (CON L'ORTICARIA DI CHI SOGNA SINDACALIZZAZIONE E SMILITARIZZAZIONE) - ITALIAOGGI
ItaliaOggi
Numero 098 pag. 8 del 25/4/2009
PRIMO PIANO
Altro che codici militari, c'è da mettere mano alla disciplina
di Piero Laporta*
Commissione al lavoro per la riforma
Una commissione di esperti per riformare i codici militari. Eccellente iniziativa, ma la presidenza di tale commissione è affidata al magistrato Giuseppe Severini, che già presiedette un'analoga commissione col ministro Antonio Martino. La prima riforma Severini tentò di garantire un posticino a 103 magistrati. Per creare lavoro, la riforma militarizzava tutti i reati commessi da militari, com'è in Cina. Sorvoliamo su altre bestialità, affossate come meritavano dal Parlamento. Gian Antonio Stella burlò sul Corsera la sgangherata situazione della magistratura militare, il ministro Arturo Parisi, succeduto a Martino, ne trasferì la metà nella magistratura ordinaria.
Da dove ripartire? Era il 1978, luglio. Aldo Moro trucidato dalle Brigate Rosse, lo stato italiano era bocconi. Il Partito comunista italiano impose una riforma del regolamento di disciplina militare che sottraeva i reparti all'autorità del Presidente della repubblica e privò i comandanti di autorità, assoggettandoli a una doppia tutela. La prima era la rappresentanza militare, ispirata ai soviet e preludente la sindacalizzazione. La seconda tutela si ebbe con la riforma della magistratura militare del 1981, realizzando un commissariamento politico, attraverso una giurisdizione militare ma con magistrati non militari, gran parte dei quali politicizzati. Si ammetteva la necessità di tribunali militari per giudicare su materie specialissime, mentre si prendevano dei semplici laureati in giurisprudenza, senza alcuna esperienza delle reali questioni militari, per dispensare giustizia.
A dispetto di tutto, le forze armate furono capaci di adattarsi a situazioni alquanto nebulose.
Finita la leva, estintosi il reato di diserzione, i magistrati (militari), benché dimezzati da Parisi, sono tuttora troppi. Con le missioni internazionali, oltre che ridondanti sono inadeguati, supponendo di poter giudicare quanto avviene nei lontanissimi teatri operativi, senza averne la minima cognizione.
Finché i soldati di leva erano manodopera a basso costo, la giustizia (militare) sia pure distorta sembrava reggere.
Oggi si gabella una riforma che preserva l'assetto ereditato dal Pci. Non di meno, le riforme volute dal Pci avevano una visione, condivisibile o meno che fosse. Ora è rimasta una costruzione pericolante, inadeguata ai tempi e agli uomini che operano. Occorre ripartire, non dai codici, ma dal regolamento di disciplina, importandovi le nuove istanze e sensibilità. Solo per fare due esempi, richiamiamo la presenza delle donne soldato e la necessità della massima correttezza nei confronti della popolazione civile, italiana e dei paesi teatro di operazioni. Inoltre, ricordando che il reato militare è una grave trasgressione di un ordine, oppure è una grave omissione a operare, affinché esso sia ben circoscritto, è indispensabile riportare pienamente nel regolamento di disciplina la nozione di responsabilità, restituendo ai comandanti l'autorità piena, ripristinando una catena di comando che dall'ultimo soldato risalga al ministro, secondo una linea nitida e senza commissariamenti di sorta.
Quando sarà riscritto il regolamento di disciplina (con l'orticaria di chi sogna sindacalizzazione e smilitarizzazione), sarà naturale riscrivere i codici penali militari, eliminando la distinzione fra pace e guerra, che non esiste più da tempo. Eliminando dai codici militari i reati che militari non sono (se un militare ruba un portafoglio a un collega è un furto e va sanzionato dal pretore del luogo non dal tribunale militare) la specificità della condizione militare risalterà senza altri provvedimenti e la disciplina se ne avvantaggerà. Il che dovrebbe essere lo scopo finale di tutta la riforma, non la preservazione di privilegi creatisi dal 1978 in avanti.
È auspicabile che il ministro Ignazio La Russa, con la sua storia politica e la sua esperienza, sappia vedere la direzione che invece Martino smarrì dal primo istante.
*Generale dell’Esercito Italiano - Capo di Stato Maggiore del Centro Alti Studi per la Difesa (CASD)