LE RIFORME NEL COMPARTO SICUREZZA E DIFESA, UNA POLITICA “AMICA” DEI VERTICI E DIMENTICA DI CITTADINI E OPERATORI - di Gianluca Taccalozzi

martedì 16 febbraio 2010

LE RIFORME NEL COMPARTO SICUREZZA E DIFESA, UNA POLITICA “AMICA” DEI VERTICI E DIMENTICA DI CITTADINI E OPERATORI - di Gianluca Taccalozzi

Quante volte avete sentito dire dal politico di turno la frase “Noi siamo gli amici dei militari …. ” seguita da una serie di promesse mirabolanti? Beh, credo migliaia di volte e con maggior frequenza in periodi di campagna elettorale. Ma poi quante di quelle promesse elettorali si sono tramutate in realtà? E quanti politici si sono poi dimostrati davvero sensibili ai problemi dei militari? E, soprattutto, di quali militari?

Ancora … quante volte avete sentito promesse tipo “miglioreremo la sicurezza” o proclami del tipo “il cittadino sarà più sicuro!” nel corso di campagne elettorali o a margine di provvedimenti “spot”, più spettacolari che efficaci, magari presi nell’immediatezza di un grave fatto criminale? Ma poi la sicurezza per le strade è realmente aumentata?

Da qualche anno a questa parte nel settore sicurezza e difesa si è assistito, e purtroppo si continua ad assistere, all’adozione, da parte di Governi di ogni colore, di provvedimenti occasionali e scoordinati (i cosiddetti “pacchetti sicurezza”) ed al varo di riforme strutturali, pensate magari più nell’interesse dei vertici che nell’interesse generale.

Alcuni esempi. 1995: riforma previdenziale con eliminazione dei benefit un tempo goduti da militari e poliziotti. 2000/2001: riforme strutturali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza con moltiplicazioni di uffici e figure dirigenziali, aumento della burocrazia e ghettizzazione della carriera direttiva interna. 2009: Esercito in città. 2009/2010: riforme “Brunetta”, contratto triennale e nuovi coefficienti pensionistici applicabili anche al comparto sicurezza e difesa alla faccia della specificità. 2010: decreto "salva-generali" (amianto e Nassirya).

Nel frattempo, nessuna riforma dei regolamenti di servizio di Guardia di Finanza e Arma dei Carabinieri ormai risalenti al primo dopoguerra, nessuna riforma del sistema di disciplina e valutazione militare fermo al 1978, nessuna riforma del sistema di rappresentanza militare ancora interno alle amministrazioni e sotto scacco degli stati maggiori, nessuna riforma della dirigenza del comparto e dei relativi meccanismi di responsabilità operativa, nessuna razionalizzazione delle enormi risorse impiegate nel settore sicurezza e mantenimento dell’assurdo sistema di tante amministrazioni pletoriche e in competizione tra loro, con super coordinamenti inefficienti quanto costosi.

In sostanza, provvedimenti presi qua e la in maniera scoordinata e sempre a danno del personale non dirigente, considerato specifico rispetto al resto del pubblico impiego quando c’è da prendere un vantaggio (ad esempio il premio antievasione negato alla GdF) e non specifico quando c’è da applicare i tagli o perdere vantaggi (riforma delle pensioni, contratto triennale, orario visite mediche di controllo, ecc.).

Una situazione figlia per lo più della scarsa, poco trasparente, controllata ed univoca informazione sulla gestione, sull’organizzazione e sulla rendicontazione dei risultati operativi fornita al mondo esterno dalle amministrazioni del comparto (ed in particolare quelle militari), che ingenera nell’opinione pubblica la sensazione di maggiore efficacia delle stesse rispetto al resto del pubblico impiego. Un’immagine che oggi rende “impopolare” qualsiasi proposta di riforma del settore sicurezza, tanto che la politica riempie le forze dell’ordine di elogi sperticati quando assicurano alla giustizia un latitante, ma le manda sistematicamente assolte quando manifestano incapacità evidenti, magari addossando la colpa alla magistratura, alla mancanza di valori, alla crisi della famiglia o all’extra comunitario di turno.

Tutto ciò è agevolato dall’inadeguatezza del sistema della rappresentanza militare che impedisce al personale di palesare all’esterno le inadeguatezze e le disfunzioni di un comparto che, al pari del resto del pubblico impiego, non brilla certo per efficienza e produttività ed avrebbe invece bisogno di urgenti e profonde riforme.

In questo contesto, nelle sedi (istituzionali e non) in cui si decide il futuro del comparto, mancano sempre due protagonisti: il cittadino (solo astrattamente rappresentato dalla politica) ed il personale militare (solo formalmente rappresentato dagli stati maggiori), mentre a decidere rimangono sempre politica e vertici.

Un circolo vizioso che può essere spezzato da una maggiore trasparenza della gestione delle amministrazioni militari e da un conseguente maggiore controllo democratico sulla gestione delle stesse. Un controllo che potrebbe essere fattivamente attuato solo attraverso il potenziamento dei sistemi di rappresentanza del personale militare ed il coinvolgimento del mondo civico organizzato, con la costituzione di uno scenario che, così come è avvenuto ed avviene per altri settori della pubblica amministrazione (sanità, giustizia, ecc.), potrà finalmente rendere “popolari” tutte quelle riforme di cui il comparto ha sempre più urgenza e costringere la politica a prendere provvedimenti nell’interesse generale del paese e non, o non solo, nell’interesse particolare di pochi.

GIANLUCA TACCALOZZI
Presidente Direttivo Nazionale Ficiesse
gianlucataccalozzi@alice.it


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