DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, IL REATO DI PECULATO (a cura di Lex24)

giovedì 05 maggio 2011

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, IL REATO DI PECULATO


Da www.lex24.ilsole24ore.com

di Claudio Coratella

Le "ragioni di ufficio" in forza delle quali il pubblico ufficiale ha il possesso o comunque la disponibilità  di denaro o di altra cosa mobile altrui che, qualora divengano oggetto di un’appropriazione da parte dello stesso, consentono di configurare il reato di peculato vanno intese in senso lato e non interpretate restrittivamente.

La fattispecie delittuosa di peculato, prevista e punita dall’articolo 314 C.P., infatti, rientra tra i delitti contro la Pubblica Amministrazione - più specificatamente, tra quelli dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione - e punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che si appropri di denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui abbia il possesso o comunque la disponibilità  per ragione del suo ufficio o servizio. Si tratta di un reato di danno, di mera condotta e a forma libera che ha natura istantanea, infatti, si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica l’appropriazione del denaro o della cosa mobile.

Il peculato, inoltre, costituisce un reato proprio plurioffensivo, in quanto tutela non soltanto il regolare funzionamento ed il prestigio della Pubblica Amministrazione, ma anche gli interessi patrimoniali della stessa. Tale natura plurioffensiva implica che l’eventuale mancanza del danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato stesso, atteso che resta pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse protetto dalla norma, e cioè il buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Il fatto materiale del reato, dunque, consiste specificatamente nella appropriazione di denaro o di cose mobili altrui, ossia nel porre in essere rispetto a tali beni atti di dominio incompatibili con il titolo che ne giustifica il possesso. Si precisa sul punto che, dopo la modifica operata dalla Legge n. 86/1990, non rientra più nella previsione dell’articolo 314 C.P. il c.d. peculato per distrazione.

Pertanto, presupposto del peculato è il possesso o comunque la disponibilità  della cosa da parte del soggetto agente, inteso sia quale materiale detenzione sia quale disponibilità  giuridica dei beni materialmente detenuti da altri, dei quali l’agente possa disporne mediante atti o fatti rientranti nella competenza dell’ufficio di cui è rivestito. Si tratta, pertanto, di una connotazione del possesso diversa da quella prettamente civilistica. Condizione ineliminabile è, inoltre, che tale possesso o disponibilità  debba sussistere per ragione dell’ufficio o del servizio, ossia in conseguenza delle specifiche competenze o funzioni svolte, derivanti sia da norma che da prassi e consuetudini.

Infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha più volte evidenziato che la "ragione d'ufficio" di cui all’articolo 314 C.P. va intesa come titolo del possesso in senso lato e, pertanto, comprende anche il possesso derivante da prassi e consuetudini invalse in un determinato ufficio (ex plurimis, Cass. Pen., Sez. 6, 9 novembre 2010, n. 39363; Cass. Pen., Sez. 6, 10 luglio 2000, Vergine, in Cass. Pen., 2001, 2382; Cass. Pen., Sez. 6, 10 aprile 2001, La Torre, in CED Cass., 220642).

In tale contesto, non rileva neppure la circostanza che il soggetto si trovi a svolgere mansioni superiori a quelle che in astratto avrebbe dovuto esercitare (Cass. Pen., Sez. 6, 9 novembre 2010, n. 39363; Cass. Pen., Sez. 6, 11 ottobre 2001, n. 41114, Paonessa), avendosi possesso "in ragione dell’ufficio", tanto se il possesso deriva da un corretto esercizio delle funzioni esercitate quanto se deriva da un esercizio arbitrario e di fatto delle stesse (Cass. Pen., Sez. 6, 9 novembre 2010, n. 39363; Cass. Pen, Sez. 6, 21 febbraio 2003, n. 11417, Sannia).

Il peculato va però escluso se il possesso è meramente occasionale, cioè qualora sia dipendente da un evento fortuito (Cass. Pen., Sez. 6, 11 marzo 2003, n. 17920, De Matteis) o dal fatto di un terzo che ne investa altro soggetto non in relazione alle sue mansioni di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio ma in conseguenza di una determinazione, lecita o illecita, di natura privata (Cass. Pen., Sez. 6, 9 novembre 2010, n. 39363). In simile situazione, infatti, in cui la disponibilità  della cosa deriva da un mero potere di fatto, potrebbe invece ritenersi sussistente il reato di furto.

Quanto al profilo soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà  di far proprie somme di denaro o cose di cui il pubblico ufficiale abbia il possesso per ragioni del suo ufficio, a nulla rilevando la dichiarata intenzione di restituirle. Nessuna efficacia scriminante è peraltro riconosciuta all’errore del pubblico ufficiale in merito alle proprie facoltà  di disposizione del denaro pubblico, in quanto pur essendo la destinazione delle somme determinata da una norma di diritto amministrativo, tale norma deve intendersi richiamata da quella penale, di cui ne integra il contenuto.

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