CONTRASTO ALL'EVASIONE DI PICCOLE AZIENDE E PROFESSIONISTI: L'INEFFICACIA DI STUDI DI SETTORE, COEFFICENTI, SPESOMETRI, SERPICO E CONTRASTI DI INTERESSE E LA NECESSITA' PER IL FISCO DI CHIEDERE LE IMPOSTE "SUL CAMPO" - Raffaello Lupi su Il Sole2

martedì 18 settembre 2012

CONTRASTO ALL’EVASIONE DI PICCOLE AZIENDE E PROFESSIONISTI: L’INEFFICACIA DI STUDI DI SETTORE, COEFFICENTI, SPESOMETRI, SERPICO E CONTRASTI DI INTERESSE E LA NECESSITA' PER IL FISCO DI CHIEDERE LE IMPOSTE “SUL CAMPO” – Raffaello Lupi su Il Sole24Ore

 

 

Di seguito, l’articolo apparso su Il Sole 24 Ore di ieri.

 

 

Il Sole 24 Ore, 17 settembre 2012, pagina 1

 

CONTRO IL SOMMERSO NON BASTERà€ LA LOTTA AL CONTANTE

(di Raffaello Lupi)

 

 

Sono quarant'anni che, parlando di contrasto all'evasione e di determinazione della ricchezza ai fini tributari, si dice inutilmente "da domani si farà  sul serio".

 

Il fallimento di tutti questi annunci non dipende tanto da una presunta carenza di "volontà  politica", ma dal semplicismo delle mappe cognitive delle classi politiche e dirigenti, come risulta anche dalle recenti esternazioni, sulla determinazione della ricchezza ai fini tributari.
Al disorientamento sulla ricchezza "sommersa" ai fini tributari corrisponde peraltro quello sui meccanismi che fanno emergere la ricchezza tassata. Ci si chiede mai da dove arrivino quasi 500 miliardi di gettito all'anno, quando, dall'attività  di accertamento, l'agenzia delle Entrate ed Equitalia ne incassano appena dodici o poco più?


L'opinione pubblica e le classi dirigenti non sanno, o in parte fingono di non sapere, che i veri esattori del fisco sono i contabili delle organizzazioni aziendali, la cui rigidità  amministrativa è il punto forte della tassazione odierna. Il fisco si inserisce, in via legislativa, nella gestione aziendale, senza bisogno di intromettersi nei meandri della contabilità , dove questa è affidabile per ragioni di controllo interno. La tassazione può così essere esternalizzata sulle aziende, e il fisco può facilmente "vedere" tante forme di ricchezza attraverso gli occhi dei direttori amministrativi delle organizzazioni di una certa dimensione, tassando lavoratori, consumatori e risparmiatori con la stessa precisione millimetrica con cui sono registrati, per motivi gestionali extratributari, i rapporti sottostanti.

Questa tassazione attraverso le aziende, moderni esattori del fisco, ha però un lato oscuro, relativo alla ricchezza dove le aziende non passano, o che andrebbe rilevata secondo criteri diversi da quelli utilizzati nella gestione aziendale.

 

In tutti questi casi, il fisco "scende da cavallo" e tornano le vecchie necessità  di valutare, con grandi sperequazioni fiscali, tanto più laceranti quanto più sono indipendenti da ragioni "politiche". Queste ultime sarebbero governabili, mentre qui abbiamo sperequazioni tecniche, che vivono di vita propria, per la diversa rilevabilità  della ricchezza, che nessuno riesce a capire e tantomeno a gestire, e quindi generano tensioni sociali.


Si tende quindi, confusamente, a brutte copie della tassazione attraverso le aziende dove gli uffici-ragioneria mancano, perchà© c'è invece il lavoro autonomo-indipendente verso i consumatori finali, e piccole organizzazioni, con pochi addetti, che non irrigidiscono la gestione, e quindi non ostacolano l'evasione (anzi, al contrario ne sono i protagonisti).

Così come non si può "esportare la democrazia", non si può neppure esportare la tassazione attraverso le aziende dove ne mancano le condizioni. Eppure si è tentato di farlo con moltissimi istituti, passati sotto i nostri occhi nell'ultimo quarantennio.


Mi riferisco alla inutile "contabilità  fiscale" di aziende unipersonali, che della contabilità  non avrebbero alcun bisogno, agli studi di settore, ai coefficienti e a tutte le innumerevoli predeterminazioni, tendenti a incasellare le stime caso per caso, le valutazioni di credibilità  degli uffici, in formalismi vicini alla precisione ragionieristica della tassazione contabile.

 

Questo vale anche per lo spesometro, per "Serpico", per la tracciabilità , per la lotta all'uso del contante e per quel "contrasto di interessi" che è caratterizzato da immeritata fortuna mediatica, e rivela confusioni profonde.

 

Per contrastare l'omessa registrazione fiscale della ricchezza, questi istituti dovrebbero essere inquadrati nel tema di fondo, della cerniera tra tassazione contabile, attraverso le aziende, e tassazione valutativa attraverso gli uffici, dove le aziende non arrivano, o possono essere scavalcate dal titolare. Ben venga la tracciabilità , che è pur sempre meglio dei contanti, per definizione destinati a sparire. La tracciabilità  consente, in potenza, la qualificazione economico-tributaria ordinariamente svolta dagli uffici di contabilità  aziendale. A questa potenziale qualificabilità  potrebbe però non corrispondere una qualificazione effettiva, se si tiene conto che stiamo parlando di miliardi e miliardi di movimenti e di conti.


La tracciabilità  consente un intervento potenziale, però la potenza deve - in una certa misura - essere tradotta in atto, senza illusioni di poterla utilizzare come surrettizia contabilità . Il controllo del territorio da parte del fisco può essere sistematico solo abbandonando il contabilismo, e passando alle tradizionali valutazioni di credibilità  economica.

 

La presenza del fisco potrà  così essere adeguatamente sistematica, aggiungendosi all'attuale (e proficuo) effetto-annuncio, definibile "lotta all'evasione in televisione". Solo con un controllo di credibilità , rapido e diffuso, si potrà  dare la sensazione di una richiesta delle imposte "sul campo". Senza la quale sarà  difficile indurre milioni di lavoratori indipendenti, che evadono "tanto di poco" a ridurre parzialmente il proprio tenore di vita per aumentare proporzionalmente la ricchezza dichiarata al fisco.


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