IMPONENDO UNA RIFORMA DELLE PENSIONI CHE COSTRINGERA' IL PERSONALE A LAVORARE FINO ALLA SOGLIA DELLA TERZA ETA', IL GOVERNO DISTRUGGERA' IL SISTEMA DI DIFESA E DI SICUREZZA DEL PAESE - di Eliseo Taverna
IMPONENDO UNA RIFORMA DELLE PENSIONI CHE COSTRINGERA’ IL PERSONALE A LAVORARE FINO ALLA SOGLIA DELLA TERZA ETA’, IL GOVERNO DISTRUGGERA’ IL SISTEMA DI DIFESA E DI SICUREZZA DEL PAESE.
di Eliseo Taverna*
L’esigenza del Governo di fare cassa per poter continuare a riformare il mercato del lavoro, ovviamente secondo una visione sempre più discutibile, non lascerà  indenni gli operatori della sicurezza e della difesa.
Dopo aver sferrato un attacco allo Statuto dei lavoratori, minato l’ormai noto articolo 18, riformato (secondo il parere di molti esperti in modo estremamente peggiorativo) il sistema degli ammortizzatori sociali per coloro che perdono il lavoro o prestano la propria opera per aziende in crisi, riformato il sistema pensionistico generale, è arrivata l’ora di somministrare una nuova stangata anche al personale del comparto difesa e sicurezza, in barba allo status ed alla specificità  d’impiego che lo caratterizza.
Già  dallo scorso inverno il Ministro del Lavoro, eccedendo anche nella delega concessa dal Parlamento al Governo, aveva cercato di stravolgere il sistema pensionistico del comparto, tentando di abolire una serie d'istituti quali l’ausiliaria, la privilegiata, le supervalutazioni, con la chiara volontà  di avvicinarlo sempre più al sistema previdenziale generale (in linea di massima 66/67 anni di età  per la pensione di vecchiaia e 42 anni di contributi per quella di anzianità  e con una serie di penalizzazioni per chi deciderà  di andare anticipatamente in quiescenza prima dei 62 anni).
Un’operazione che si stava consumando, peraltro, senza neppur un incontro tra il Ministro e le rappresentanze, a differenza di quanto era già  avvenuto con i sindacati confederali in occasione della riforma del sistema dell’assicurazione generale obbligatoria.
Le forti opposizioni, però, che portarono in piazza lo scorso inverno le OO.SS. delle Forze di Polizia ad ordinamento civile ed i delegati Co.Ce.R. Guardia di Finanza (come al solito gli unici presenti delle cinque sezioni Co.Ce.R.) avevano impedito questo colpo di mano stigmatizzato, peraltro, anche dai Segretari dei partiti che sostengono il Governo e anche da qualcuno dell’opposizione. La naturale conseguenza fu la presentazione, da parte loro, di un dettagliato ordine del giorno - successivamente approvato dal Governo - con il quale si impegnava l’esecutivo a tenere conto - in fase di armonizzazione del sistema pensionistico - della specificità  del comparto difesa e sicurezza, di avviare la previdenza complementare ed il riordino dei ruoli e delle carriere.
Dall’incontro di Venerdì scorso, tenutosi a Palazzo Chigi, tra i Ministri Fornero, Cancellieri, Di Paola, Severino e Catania, il S.ST. alla Presidenza del Consiglio Catricalà  ed i Co.Ce.R. e le OO.SS. è emerso, però, che il Governo non ne ha tenuto minimamente conto. Vorrebbe, infatti, approvare una riforma che a decorrere dal 1°Gennaio 2013 prevede che per coloro che appartengono ai ruoli esecutivi e matureranno i requisiti dalla medesima data, il diritto alla pensione di vecchiaia si acquisirà  esclusivamente con un’anzianità  contributiva minima pari a vent’anni e con il requisito anagrafico che oscillerà  tra i 61 ed i 63, a seconda dell’anno in cui andrà  in pensione, facendo peraltro una distinzione tra i direttivi e gli esecutivi.
Per quanto concerne, invece, il diritto all’accesso alla pensione anticipata (precedentemente definita di anzianità  ), a decorrere da 1° Gennaio 2013 per coloro che maturano i requisiti alla medesima data, l’accesso al trattamento di quiescenza, indipendentemente dal possesso dei requisiti anagrafici precedentemente indicati, si raggiunge se risulta maturata un’anzianità  contributiva minima di 42 anni e tre mesi, comprensivi dell’adeguamento alla speranza di vita.
Inoltre, in caso di pensionamento anticipato rispetto a tale anzianità  , sulla quota retributiva di trattamento relativa alle anzianità  contributive maturate antecedentemente al 1° Gennaio 2012 potrebbe essere prevista una riduzione pari ad un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento, rispetto all’età  di 58 anni, fino al 31 dicembre 2018 e rispetto all’età  di 59 anni a decorrere dal 1° Gennaio 2019. Tale riduzione è elevata a 2 punti percentuale per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni e qualora l’età  per il pensionamento non sia intera, la riduzione percentuale è proporzionale al numero dei mesi.
Gli aumenti del periodo di servizio (cosiddette supervalutazioni) maturati entro il 31.12.2012 di cui al decreto legislativo 165/97, di contro, computabili ai fini pensionistici per non più di cinque anni e validi esclusivamente per l’accesso al diritto a pensione ma non per la misura della stessa, verrebbero salvaguardati. Mentre a decorrere dal 1° Gennaio 2013 per chi non li ha ancora maturati gli stessi non potranno eccedere i due anni e sei mesi.
Per quanto concerne i diritti già  acquisiti (anzianità  contributiva ed età  anagrafica) previsti dalla normativa vigente e maturati entro il 31.12.2012, ai fini del diritto e della decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità  , si continuerà  ad applicare la vecchia normativa.
Resta fermo il collocamento a riposo d’ufficio al raggiungimento dei limiti ordinamentali, che non verranno elevati per coloro che hanno già  maturato i requisiti previsti, in relazione al grado o alla qualifica di appartenenza vigenti alla data di entrata in vigore dell’eventuale riforma.
L’accesso al pensionamento ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs 165/97, (massima anzianità  contributiva), peraltro, mediante l’applicazione del regime delle decorrenze di cui alla legge 122/2010, dovrebbe essere consentito esclusivamente nel caso in cui la stessa sia stata raggiunta entro il 31.12.2011 e a condizione che il previsto requisito anagrafico venga maturato entro il 31.12.2012.
Rimarrebbe in vigore, inoltre, anche la possibilità  di uscita dal mondo del lavoro con il sistema delle quote, ovvero anzianità  contributiva sommata all’età  anagrafica, che a regime dovrà  raggiungere il numero convenzionale di 99.
I Co.Ce.R. e le OO.SS. hanno, fin da subito, manifestato la loro contrarietà  alle misure prospettate, che appaiono sproporzionate e non attuabili ad un comparto così delicato e specifico ed hanno sollevato alcune eccezioni giuridiche in merito al provvedimento che si vorrebbe emanare (eccesso di delega conferita dal Parlamento al Governo).
La bozza completa della riforma, come affermato dal Ministro del Lavoro, sarebbe dovuta pervenire martedì scorso, ma ad oggi è giunta esclusivamente una relazione riassuntiva contenente le modifiche che il Governo vorrebbe attuare.
E’ ovvio, che i Co.Ce.R. e le OO.SS. delle forze di Polizia ad ordinamento civile non accetteranno nel modo più assoluto una riforma di questo genere, che non tiene conto dello status e della specificità  d’impiego del personale. La stessa, tra l’altro, non contiene alcun intendimento circa l’avvio della previdenza complementare, la previsione del riordino dei ruoli e delle carriere che, alla luce dell’eventuale prolungamento della permanenza in servizio, risulterebbe non più rinviabile.
In queste ore si inizia già  a ragionare su quale iniziative intraprendere per portare il profondo dissenso di più di cinquecentomila persone, sia nelle aule parlamentari sia nelle piazze come, peraltro, è già  avvenuto nell’inverno scorso.
Se il Governo insisterà  nel perseguire questa riforma stravolgente, allora sarà  necessario che i rappresentanti del personale pretendano che si possa lavorare fino a 67 anni come tutti gli altri lavoratori, con tutto ciò che ne deriverà  per l’efficienza del sistema di sicurezza e di difesa del paese, ma nel contempo dovranno anche esigere una radicale rivisitazione dello status e della specificità  d’impiego che, com’è noto, fino ad oggi ha portato con sà © inevitabili limitazioni e compressioni dei diritti.
Ancora una volta, quindi, assistiamo ad una politica bieca che colpisce indiscriminatamente dove non dovrebbe, perchà © se è vero che circa il 50% della ricchezza italiana è detenuta dal 10% della popolazione, allora non si capisce come mai il Governo continua ad emanare misure nei confronti dei ceti medi e medio bassi e di coloro che rischiano la propria vita per salvaguardare la collettività  e si guarda bene dall’intervenire con una patrimoniale che vada a colpire coloro che hanno una maggiore ricchezza.
Così come si continua a rinviare, ormai da più di un anno, l’approvazione del ddl sulla corruzione che inasprisce notevolmente le pene per questi gravi fatti e prevede ulteriori fattispecie di reato che incidono, in modo preponderante, sull’economia del paese, non si cerca d’imporre un riordino che impedisca le continue ruberie messe in atto da parte di una classe politica che sta rovinando il paese e si ci astiene da una riforma che inasprisca le pene e crei una nuova cultura della lotta all’evasione ed all’elusione fiscale, in modo tale da fornire anche strumenti d’indagine più incisivi.
*Delegato Co.Ce.R. Guardia di Finanza