ILLEGITTIMITA' DELLA TRATTENUTA DEL 2,5% PER BUONUSCITA, LA SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE DA' RAGIONE ALLA RETE LEGALE: GIUSTISSIMO (E CONVENIENTE) IL CONSIGLIO DI ASPETTARE A PRESENTARE RICORSI
ILLEGITTIMITA' DELLA TRATTENUTA DEL 2,5% PER BUONUSCITA, LA SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE DA' RAGIONE ALLA RETE LEGALE: GIUSTISSIMO (E CONVENIENTE) IL CONSIGLIO DI ASPETTARE A PRESENTARE RICORSI
Pubblichiamo di seguito l’approfondimento che abbiamo ricevuto da La Rete Legale (il grassetto e le sottolineature sono di questa Redazione) sulla recente sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la trattenuta del 2,5% a carico del dipendente della base contributiva, prevista dall’art.37, comma 1, del D.P.R. n.1032/1973.
LA PRONUNCIA HA EFFETTO NEI CONFRONTI DI TUTTI I DIPENDENTI PUBBLICI, COMPRESI COLORO CHE NON HANNO PRESENTATO RICORSI.
Sicchà ©, come evidenziato nella comunicazione che segue, <<ai numerosi interessati non resta che attendere che l’Amministrazione di appartenenza provveda alle dovute restituzioni, ponendo attenzione, laddove tardi, al decorso del tempo (il termine di prescrizione e' quinquennale e ha preso a decorrere dal 1° gennaio 2011)>>.
Emerge perciò in tutta evidenza la GIUSTEZZA DEL SUGGERIMENTO CHE ABBIAMO PUBBLICATO IL 26 APRILE SCORSO (https://www.ficiesse.it/home-page/6399/trattenuta-2_5-per-tfs_-questione-tutt’altro-che-pacifica_-consigliamo-di-non-ricorrere-prima-di-esito-appello-a-consiglio-di-stato-e-al-massimo-inviare-lettera-per-interruzione-prescrizione) e che, in sintesi, sconsigliava di spendere soldi per partecipare a ricorsi collettivi affrettati.
Ringraziamo a Rete Legale per l’attenzione e il disinteresse dimostrato anche in questa occasione.
LA REDAZIONE DEL SITO
SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 223 DELL’8 OTTOBRE 2012: LETTERA DE “LA RETE LEGALE” ALL’ASSOCIAZIONE FICIESSE
Come noto, l’art.37 del D.P.R. 29.12.1973, n.1032 disciplinava l’indennità  di buonuscita, prevedendo un accantonamento a carico del datore di lavoro pubblico del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una rivalsa a carico del dipendente del 2,50%, calcolato sempre sull’80% della retribuzione.
Successivamente, l’art.12, comma 10 del decreto-legge 31.05.2010, n.78 (convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n.122) ha stabilito che: “con effetto sulle anzianità  contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011”, “il computo dei trattamenti di fine servizio … si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”.
L’applicazione al personale in regime di TFS delle “regole” vigenti per il TFR, di cui all’art.2120 c.c., avrebbe dovuto comportare, fra l’altro, il ricadere sul solo datore di lavoro dell’onere di accantonamento e il venir meno della rivalsa a carico del lavoratore, che si giustificava solamente in presenza di una fascia di retribuzione (20%) non incisa da contribuzione.
Così non è stato, avendo l’Amministrazione continuato ad applicare, invece, la rivalsa del 2,50% a carico del prestatore di lavoro.
All’inizio di quest’anno, come si ricorderà  , il T.A.R. Calabria, Sez. St. di Reggio Calabria, con sentenza 18.01.2012, n.53, aveva accolto il ricorso proposto da alcuni magistrati amministrativi per ottenere l’accertamento dell’illegittimità  del perdurare del prelievo del 2,50% e la conseguente condanna del datore di lavoro pubblico alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto al titolo in discorso. I Giudici calabresi avevano ritenuto, infatti, che la risoluzione della questione sollevata non richiedesse l’intervento della Corte Costituzionale e che l’apparente contrasto di norme potesse essere risolto direttamente in via interpretativa.
Questo il ragionamento: l’art.12, comma 10, del d.l. n.78/2010 “possiede ed esplica un chiaro effetto novativo dell’istituto, dal momento che disciplina ex novo la medesima materia, in costanza dei medesimi presupposti di fatto che erano presi in esame nella normativa precedentemente in vigore, introducendo una differente modulazione del contributo (diversa percentuale sull’intera base stipendiale), esaustivamente regolata, e richiamando la disciplina dell’art.2120 del cod. civ., e dunque la disciplina civilistica del trattamento di fine rapporto, nell’ambito della quale la rivalsa del 2,50% a carico dei dipendenti non è praticata, perchà © non prevista in alcun modo. Non a caso, il comma 10 dell’art.12 citato non fa salva la rivalsa del 2.50%, come, invece, aveva chiarito lo stesso legislatore nei precedenti interventi modificativi della disciplina preesistente …, conformemente al noto brocardo “ubi lex voluit, dixit”. Secondo i consueti principi in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge posteriore abroga la legge anteriore e, dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2011 la ritenuta per il trattamento di fine servizio non sarà  più del 9,60% sull’80% della retribuzione (gravante nella misura del 7,10% sul datore di lavoro e del 2,50% sul lavoratore), bensì, esaustivamente, del 6,91% sull’intera retribuzione: ne consegue che a decorrere dalla suddetta data del 1° gennaio 2011 non ha più titolo ad essere effettuata la ritenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione a carico dei dipendenti pubblici. La differente normativa si spiega con la considerazione che, mentre in relazione a una base di computo inferiore - ossia l’80% dello stipendio - residuava a favore del dipendente una fascia non incisa della retribuzione – ossia il 20% di essa – che equilibrava (sia pure in parte) la ritenuta del 2,50%, nel nuovo assetto dell’istituto la percentuale (sia pure minore) opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenere la rivalsa sul dipendente, in assenza della fascia esente, determina la diminuzione della retribuzione immediatamente percepita dal dipendente medesimo e, contestualmente, la diminuzione della quantità  del TFR che lo stesso andrà  maturando nel tempo, e ciò al solo scopo di alleggerire il peso dello accantonamento della quota TFR a carico del datore di lavoro. Diversamente opinando, la contemporanea applicazione della nuova disciplina sul trattamento di fine rapporto da un lato, con il perdurare della ritenuta a carico del dipendente dall’altro, costituirebbe una consistente lesione dell’aspettativa del lavoratore ad un trattamento di fine servizio, comunque denominato, quanto più possibile assimilabile all’indennità  di buonuscita che si sarebbe percepita a legislazione invariata, posto che l’accantonamento a carico dello Stato datore di lavoro non sarebbe effettivamente del 6,91%, ma – nei fatti – del 4,91%, se si considera che, contestualmente, il trattamento economico dei dipendenti verrebbe inciso nella misura del 2,50% sull’80% della retribuzione (e, dunque, nella misura del 2%, se calcolato sull’intera retribuzione). Ne conseguirebbe la violazione dell’art.3 Cost. atteso che la disciplina sul trattamento di fine rapporto di cui all’art.2120 cod. civ. verrebbe applicata – a parità  di retribuzione – in misura deteriore nei confronti dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro. Peraltro, il trattamento di fine rapporto, scaturendo da un accantonamento misto, ossia in parte a carico del datore di lavoro ed in parte a carico del lavoratore, a parità  d’importo, sarebbe determinato da un meccanismo deteriore per il lavoratore pubblico, in quanto a quest’ultimo, a differenza del lavoratore del settore privato, in costanza di rapporto d’impiego verrebbe sottratta parte della retribuzione. Ne conseguirebbe un’ulteriore e palese violazione dell’art.36 Cost., posto che l’accantonamento determinante il futuro trattamento di fine rapporto si ridurrebbe rispetto al passato, il tutto senza alcuna negoziazione e, soprattutto, senza connessione con la quantità  e qualità  del lavoro prestato, rimasta immutata”.
Pienamente condivisibile la ritenuta irragionevolezza della perdurante applicazione della rivalsa del 2,50%, non altrettanto sicura e convincente era apparsa la tesi che il rapporto tra la normativa previgente e quella sopravvenuta potesse essere risolto per via meramente interpretativa, ossia senza un intervento caducatorio da parte della Corte Costituzionale.
Anche per questa ragione, s’era consigliato ai numerosi interessati di soprassedere dal dare corso ad iniziative legali e di attendere l’esito di quelle già  in corso. Chi ha seguito il suggerimento non ha avuto e non avrà  da dolersene.
Con ordinanza 25.01.2012, n.11, di poco posteriore alla suddetta sentenza del T.A.R. Calabria, infatti, il T.A.R. Umbria, ritenendo, appunto, non incompatibile formalmente la contemporanea vigenza ed applicazione della disciplina di cui al D.P.R. 1032/1973 e di quella di cui al d.l. n.78/2010, ha sollevato questione di legittimità  costituzionale (anche) dell’art.12, comma 10, del d.l. n.78/2010, in relazione agli artt.3 e 36 Cost., nella parte in cui non ha escluso il venir meno della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, costituita dall’80% dello stipendio.
Con la recentissima sentenza 08.10.2012, n.223, la Corte Costituzionale, condividendo il presupposto “formale” da cui ha preso le mosse il T.A.R. dell’Umbria – ovverosia, ritenendo, diversamente dal T.A.R. Calabria, che il rapporto tra le due normative non potesse essere risolto interpretativamente –, ha giudicato fondata la questione sollevata, dichiarando l’illegittimità  costituzionale dell’art.12, comma 10, del D.L. n.78/2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art.37, comma 1, del D.P.R. n.1032/1973.
Più in particolare, si legge nella suddetta decisione che: “La premessa interpretativa del TAR per l’Umbria è, innanzitutto, corretta in punto di ricostruzione del quadro normativo, poichà © la mancata espressa esclusione del permanere della trattenuta a carico del lavoratore non potrebbe indurre a far uso dell’argomento a silentio sia pure per perseguire un’interpretazione costituzionalmente orientata. Il perdurare del prelievo di cui si discute, infatti, oltre a derivare dall’astratta compatibilità  fra il nuovo regime e la disciplina contenuta nel d.P.R. n.1032 del 1973, è avvalorato dal fatto che il citato art.12, comma 10, non contiene affatto una disciplina organica sulle prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti dello Stato, in grado di sostituirsi, in senso novativo, al d.P.R. n.1032 del 1973, come del resto ritenuto dall’Amministrazione in sede applicativa. Ciò posto, va osservato che fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull’80% della retribuzione. La differente normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente di cui si discute. Nel nuovo assetto dell’istituto determinato dalla norma impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, in assenza peraltro della “fascia esente”, determina una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità  del TFR maturata nel tempo. La disposizione censurata, a fronte dell’estensione del regime di cui all’art.2120 del codice civile (ai fini del computo dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianità  contributive maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, determina irragionevolmente l’applicazione dell’aliquota del 6,91% sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità  di buonuscita, in combinato con l’art.37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1032. Nel consentire allo Stato una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perchà © non collegata con la qualità  e quantità  del lavoro prestato e perchà © – a parità  di retribuzione – determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gli articoli 3 e 36 della Costituzione. Va, quindi, pronunciata l’illegittimità  costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del d.P.R. n. 1032 del 1973”.
La pronuncia della Corte Costituzionale ha effetto erga omnes, ossia per tutti, e non soltanto nei confronti dei partecipanti al ricorso al T.A.R. dell’Umbria, ossia al giudizio in seno al quale è stata sollevata la questione di costituzionalità  positivamente decisa con la sentenza n.223/2012.
Ai numerosi interessati non resta che attendere che l’Amministrazione di appartenenza provveda alle dovute restituzioni, ponendo attenzione, laddove tardi, al decorso del tempo (il termine di prescrizione è quinquennale e ha preso a decorrere dal 1° gennaio 2011).
LA RETE LEGALE