L'IMPORTANZA DEL MERITO NELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE - di Gaetano Ruocco e Carmine Tanga
sabato 31 agosto 2013
L'IMPORTANZA DEL MERITO NELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE - di Gaetano Ruocco e Carmine Tanga
FINCHE’ C’E’ VITA…(NON)..C’E’ SPERANZA
La compianta Oriana Fallaci nel 2004 nell’opera “La Forza della ragione” affermava che “I mediocri del Politically Correct negano sempre il merito. Sostituiscono sempre la qualità  con la quantità  ”.
Partendo da questo presupposto analizziamo la situazione attuale: il governo ogni giorno impone nuovi balzelli da mettere a rischio la solvibilità  dei contribuenti onesti e contestualmente rinvia “sine die” lo sblocco delle risorse destinate al comparto sicurezza ormai sempre meno competitivo con l’evoluzione criminale del Paese. In tempi in cui si deve fare di necessità  virtù si dovrebbero valorizzare le risorse disponibili per meglio ottimizzare e gestire le varie situazioni.
Nella gestione delle risorse umane il fattore merito sicuramente importante, in quanto potrebbe essere quella marcia in più che permetterebbe anche con un po’ di rispetto personale di motivare chi è deluso dalle vicende che ci riguardano negli ultimi anni e produrre risultati migliori dando certezza.
Ma qualche clone malriuscito dei “figli del 68” predica ancora “il 6 politico” che negli anni con l’evoluzione (o involuzione se preferite) della nostra società  ha attribuito l’ennesima mutazione genetica alla concezione di “merito”, professata dall’etica dei sessantottini, passando al concetto di “merito comparativo” ovvero prendere atto, nell’era del relativismo globale, che nel sistema sociale attuale la distribuzione di riconoscimenti e compensi è commisurata al valore del “compare”. Nel gergo ecclesiastico verrebbe denominato nepotismo, ma in tempi di austerity e della perestroika bergogliana è un principio sicuramente da bandire. Il nostro Paesino a differenza della perfezione ecclesiastica che si misura coi tempi, preferisce evidenziare la disparità  sostanziale dei trattamenti e l’etica dell’incertezza, ma la visione complessiva è abbastanza articolata, tanto da inserirsi in un processo culturale ampio che va dalla decadenza globalizzata del vecchio continente sino a riflessioni sull’eticità  e moralità  che toccano il nuovo Medioevo dove i barbari hanno già  varcato da tempo e saccheggiato l’impero e non vogliono ridistribuire il maltolto in nome della crisi economica. Come dire ad un bambino che si deve fare la prima comunione di scegliersi un bel vestito, poi scoprire che perde in qualità  già  dalle cuciture.
Le tante commistioni di ruoli, il menefreghismo e gli abusi hanno partorito dei mostri tricefali che forti di un’autorevole base culturale tale da far invidia a don Ferrante nei Promessi Sposi pretendono di essere “dei principi in grado di sfidare anche la cattiva sorte”(machiavelli).
E proprio confondendo il buon andamento della macchina burocratica con la politica che si da adito alle conclusioni più radicali e gli aforismi più spietati: l’incapacità  degli uomini di ubbidire per amore e la necessità  del principe di farsi temere fino ad essere crudele, di simulare e dissimulare, ma anche di non farsi odiare togliendo ai sudditi i beni e l’onore” (Machiavelli – il Principe- pp. 10 – 11).
Invero in taluni “principicchi” prevale la concezione che ha accompagnato l’immaginario di una gestione vissuta come esercizio di potere servendosi spesso di mercenari impreparati e impegnati più ad occuparsi dei peccati altrui che dei propri, ostacolando chi aveva il coraggio e soprattutto l’autorevolezza di difendere con onore le mura della polis anche con grandi sacrifici, facendo il proprio dovere dignitosamente, ma rivelandosi spesso un “profeta disarmato”da mettere al rogo come le streghe. E non è necessario visitare il lago ghiacciato dell’inferno dantesco per constatare il tradimento dei valori che ci dovrebbero accomunare in nome dell’opportunismo del singolo arrampicatore sociale. Egli infatti da buon sardanapalo deve, con ogni mezzo, “pensare solo al muggito dei suoi buoi” senza però preoccuparsi della stalla dove alloggiavano oppure della concimazione dei terreni dove coltivare il foraggio. Potremmo concludere per i simpatizzanti di Platone che “quando il sole tramonta le ombre dei nani si allungano”. Ma di questi periodi meglio non citare i nani e nemmeno Biancaneve….per il bene del Paese, perciò preferiamo un finale diverso auspicando che non ci sia notte più lunga da poter impedire al sole di sorgere. Non perdiamo l’ottimismo guardiamo al futuro come i calamari non come i gamberi.
Gaetano Ruocco
Carmine Tanga