LA GRANDE OPPORTUNITÀ PER FAR FINALMENTE SCOPPIARE LA BOLLA DI SAPONE IN CUI OPERANO ANCORA MOLTE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI – Giovanni Valotti (da Il Sole 24 Ore)
LA GRANDE OPPORTUNITÀ PER FAR FINALMENTE SCOPPIARE LA BOLLA DI SAPONE IN CUI OPERANO ANCORA MOLTE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI – Giovanni Valotti (da Il Sole 24 Ore)
Di seguito, un articolo apparso ieri sul Sole24Ore. Il titolo è della redazione del sito.
Da http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-10-21/riforma-cambiare-marcia-063648.shtml?uuid=AbMjgCwI
UNA RIFORMA PER CAMBIARE MARCIA – di Giovanni Valotti
Blocco degli stipendi e degli incentivi, riduzione degli straordinari, tetti massimi alle retribuzioni, limitazione del turnover, liquidazioni a rate. Il pubblico impiego nuovamente sotto torchio. Nulla di nuovo ed esattamente quello che sta succedendo nella maggior parte dei Paesi Ocse: Spagna e Grecia sostituiscono un dipendente pubblico su dieci, Gran Bretagna, Canada e Paesi Bassi hanno congelato gli aumenti salariali, il Portogallo ha in discussione la proposta di innalzamento dell'orario di lavoro da 35 a 40 ore settimanali.
Ci sono due modi di reagire a questa drammatica situazione: lamentarsi e tentare di difendere, con poche speranze, le posizioni acquisite; oppure aprire gli occhi, far scoppiare la bolla di sapone nella quale sembrano operare molte amministrazioni pubbliche e cogliere finalmente i segnali, sempre meno deboli, di un mondo che è cambiato.
Troppa prudenza e troppe occasioni perdute hanno caratterizzato, negli ultimi trent'anni, i tentativi di riforma del pubblico impiego. Dalla falsa privatizzazione del 1993, all'uso distorto e demotivante di tutti i sistemi premianti degli anni Duemila, sino ad arrivare alla mancata gestione delle prospettive di invecchiamento, non solo anagrafico ma soprattutto professionale, che si profilano per gli anni a venire.
Ecco allora che la crisi drammatica in cui versa il pubblico impiego può diventare un'occasione per fare, finalmente, tutto quello che si sarebbe dovuto fare e che non si è mai fatto. Difficile pensare, infatti, di gestire questa crisi in una logica di adattamento e continui aggiustamenti, inevitabilmente sempre al ribasso. È necessario un deciso cambio di marcia, un cambiamento radicale del modello di pubblico impiego, così come lo abbiamo sempre conosciuto e che bene si adattava alle antiche burocrazie.
Ma ora mostra tutta la sua inadeguatezza nel fronteggiare pressioni e difficoltà sinora sconosciute.
A livello di policy maker, quindi, è tempo di ripensare l'architettura complessiva del pubblico impiego, l'elenco dei diritti e dei doveri del pubblico dipendente, le regole generali di funzionamento e miglioramento del sistema. Si abbia il coraggio allora di riformare, radicalmente, il sistema di selezione all'ingresso, abbandonando vetuste pratiche garantiste e allineandosi alle migliori esperienze europee. Si flessibilizzino i contratti in entrata, aprendo a forme di apprendistato flessibile per i giovani, prevedendo forme di validazione per il contratto a tempo indeterminato dopo un periodo pluriennale di lavoro, disegnando sentieri di carriera e curve retributive davvero legati alle competenze e ai risultati.
Si ripensino con decisione il ruolo e le responsabilità dirigenziali, allineando maggiormente le sorti professionali di chi gestisce all'andamento reale delle amministrazioni. Si ricerchi davvero una maggiore uniformità tra pubblico e privato, nelle condizioni di lavoro, nei trattamenti retributivi, nei livelli di produttività e non semplicemente nelle modalità di gestione dei contenziosi. Si promuova la mobilità interna agli enti e tra le amministrazioni, quale occasione di crescita delle persone ancor prima che quale strumento per il recupero di efficienza. Si ripensi il sistema delle relazioni sindacali, valorizzando la capacità propositiva di chi è chiamato a tutelare e rappresentare i lavoratori, nel rispetto dell'autonomia decisionale di chi amministra e gestisce. Si rispettino le differenze settoriali e dei territori, senza per questo giustificare anomale diversità di trattamento a parità di contenuti di lavoro e competenze.
L'elenco potrebbe continuare a lungo, tante sono lo cose che si potrebbero e dovrebbero fare. E comunque non basterebbe.
Un secondo pilastro fondamentale è il miglioramento della qualità delle politiche del personale nelle singole amministrazioni. Drammatico, pur con lodevoli eccezioni, è il bilancio dell'autonomia decisionale concessa agli enti a partire dalla fine degli anni Novanta. Concessioni ai dipendenti spesso anche oltre i confini di quanto previsto dai contratti nazionali, come sistematicamente rilevato dalle indagini della Corte di conti, non hanno prodotto alcun effetto positivo in termini di motivazione e sviluppo del senso di appartenenza. Gli studi e le comparazioni internazionali posizionano sistematicamente il nostro Paese tra i più arretrati sul grado di sviluppo dei sistemi di valutazione, dei sistemi di gestione delle competenze, dei sistemi incentivanti.
Le direzioni del personale non sono al centro delle strategie aziendali. Prevale una logica di gestione del quotidiano, di applicazione dell'ultima norma, di gestione passiva dei vincoli di sistema. Manca progettualità , ma quel che è ancora peggio, manca capacità progettuale.
Un quadro drammatico? No, una grande opportunità : disegnare l'agenda del futuro del pubblico impiego. Perché tutti i dipendenti pubblici, quelli bravi e spesso maltrattati dalle loro organizzazioni, possano avere finalmente le soddisfazioni che si meritano.
giovanni.valotti@unibocconi.it