CARO COTTARELLI, CONTRO GLI SPRECHI UNA STRADA C'È (Il Sole 24 Ore)
sabato 26 ottobre 2013
Il Sole 24 Ore - 23 ottobre 2013
CONTRO GLI SPRECHI UNA STRADA C'È
di Fabrizio Galimberti
Caro Cottarelli, oggi lei inizia una "mission" (si spera non "impossible"): la revisione della spesa pubblica italiana. «Infelice quel Paese che ha bisogno di eroi...», Bertolt Brecht fa dire a Galileo. E l'Italia, se fosse un Paese "ben temperato", non dovrebbe aver bisogno di un commissario alla spesa pubblica: la revisione della spesa dovrebbe far parte della normale buona amministrazione. Ma l'Italia, come si sa, è un Paese che ha bisogno di eroi.
Lei viene da Washington e, veterano di tante missioni del Fondo in Italia, conosce bene i suoi polli. Ma, se venisse da Marte, cosa penserebbe del compito che le è stato affidato? Da bravo economista marziano, si informerebbe, e riempirebbe il taccuino con l'aneddotica delle piccole cifre e le cornici delle grandi. Sulle prime, registrerebbe le lamentele delle auto della polizia che non hanno soldi per la benzina, degli uffici periferici della Pa che non hanno i fondi per gli affitti, delle carceri disumanamente affollate perché non si è speso abbastanza per nuove prigioni, di asili nido che mancano... e si potrebbe continuare. E l'Italia - annoterebbe - è un Paese che, rispetto ad altri, ha più bisogno di (buona) spesa pubblica: per addensamento demografico, conformazione orografica, dissesto idrogeologico, conservazione dell'immenso patrimonio artistico, dualismo territoriale, criminalità organizzata...
Poi - continua la due diligence dell'economista marziano - le grandi cifre: se bisogna "aggredire" la spesa - malgrado tutto è questa la missione affidata - bisogna dapprima distinguere fra quel che si può cambiare e quel che non si può. La spesa pubblica in Italia è elevata a causa degli interessi che dobbiamo pagare su un debito che viene dal passato. Ed è elevata anche perché dobbiamo pagare un monte-pensioni, pesante a causa degli impegni presi in passato. Possiamo deprecare i comportamenti del passato, ma non possiamo scrollarci di dosso questi fardelli. Possiamo però fare un utile esercizio: sgombriamo il campo da questi due echi del tempo che fu e guardiamo alla spesa pubblica residua: questa spesa, in quota del Pil, è la più bassa fra i Paesi dell'Eurozona. E il numero dei dipendenti pubblici, in percentuale dei "clienti" (la popolazione) è più basso in Italia rispetto agli Stati Uniti, tempio del capitalismo.
Ma non ci sono anche tanti sprechi? Certo, ci sono, ma non sono macroeconomicamente significativi. Catturano l'attenzione dei media ma, nel contesto delle grandi cifre, valgono poco. Sono tuttavia moralmente devastanti ed è imperativo eliminarli. Allora, cosa vuol dire tutto questo per un economista che venga da Marte o da Washington o da Voghera? Se la spesa "aggredibile" è già bassa è giusto ridurla ancora? La risposta breve è questa: sì, è purtroppo giusto. La spesa bisogna ridurla perché il fatto di guardare alla spesa al netto degli echi del passato è solo un esercizio contabile: utile ad aprire gli occhi ma non ad aggiustare quei conti su cui pesa la spesa nel suo complesso. Ma l'"aggressione" alla spesa deve essere fatta nei modi appropriati, che non sono quelli di don Chisciotte all'attacco dei mulini a vento.
Purtroppo, tanti tentativi nel passato di ridurre la spesa pubblica assomigliano alle cariche di don Chisciotte. Se la spesa aggredibile è bassa vuol dire che è di tanto più forte la resistenza che si incontra quando i "tagli" si scontrano con la forza delle cose e le croste delle difese. Soprattutto, i tentativi di ridurre la spesa in queste condizioni sono destinati al fallimento, non tanto per le difficoltà obiettive quanto perché sottraggono domanda all'economia e quindi indeboliscono il Pil.
Dobbiamo trovare una maniera diversa per "aggredire" una spesa pubblica che ha un problema di qualità prima ancora che di quantità . La parola d'ordine "tagliare la spesa", una parola d'ordine che cala dall'alto e viene affissa come una coccarda sul bavero dell'eroe di turno, non basta. Bisogna partire dal basso. Nella fattispecie, caro Cottarelli, la proposta è questa:
- lasci al Mef, alla Ragioneria, ai ministeri, al Governo e al Parlamento il compito di agire sui grandi meccanismi di spesa o di spostare soldi dall'Interno alla Giustizia o dagli Esteri allo Sviluppo. L'approccio "top down" non conviene a un guerriero solitario;
- Lei deve fare la guerriglia, non la guerra. L'approccio "bottom up" deve partire dai problemi reali dei cittadini e delle imprese. Prenda un caso concreto, qualche disperata lamentela di chi lotta con la burocrazia, e poi si adoperi, con la pazienza di un orologiaio, a smontare il reticolo di norme assurde e adempimenti vessatori; presentando e rendendo pubbliche proposte cifrate e concrete atte a risolvere il problema. Così si risparmia anche sulla spesa: meno complicazioni vuol dire meno faldoni, meno scartoffie e meno ore di lavoro inutile. Solo così le innovazioni e le semplificazioni possono fare macchia d'olio e diffondersi, e la revisione della spesa può diventare amica - e non nemica - della crescita;
- basta tutto questo? No, non basta. Per rimettere a posto i conti bisogna agire sugli stock e non solo sui flussi. Bisogna privatizzare tutto il possibile per abbattere il debito, dalla vendita delle quote dello Stato nelle grandi aziende pubbliche al disboscamento del "socialismo municipale". L'intervento delle Poste in Alitalia è stato difeso dicendo che le Poste sono un'azienda risanata e in utile, non sono la longa manus dello Stato. Benissimo, allora perché non privatizzare le Poste, come ha appena fatto l'Inghilterra con la Royal Mail?
Lei viene da Washington e, veterano di tante missioni del Fondo in Italia, conosce bene i suoi polli. Ma, se venisse da Marte, cosa penserebbe del compito che le è stato affidato? Da bravo economista marziano, si informerebbe, e riempirebbe il taccuino con l'aneddotica delle piccole cifre e le cornici delle grandi. Sulle prime, registrerebbe le lamentele delle auto della polizia che non hanno soldi per la benzina, degli uffici periferici della Pa che non hanno i fondi per gli affitti, delle carceri disumanamente affollate perché non si è speso abbastanza per nuove prigioni, di asili nido che mancano... e si potrebbe continuare. E l'Italia - annoterebbe - è un Paese che, rispetto ad altri, ha più bisogno di (buona) spesa pubblica: per addensamento demografico, conformazione orografica, dissesto idrogeologico, conservazione dell'immenso patrimonio artistico, dualismo territoriale, criminalità organizzata...
Poi - continua la due diligence dell'economista marziano - le grandi cifre: se bisogna "aggredire" la spesa - malgrado tutto è questa la missione affidata - bisogna dapprima distinguere fra quel che si può cambiare e quel che non si può. La spesa pubblica in Italia è elevata a causa degli interessi che dobbiamo pagare su un debito che viene dal passato. Ed è elevata anche perché dobbiamo pagare un monte-pensioni, pesante a causa degli impegni presi in passato. Possiamo deprecare i comportamenti del passato, ma non possiamo scrollarci di dosso questi fardelli. Possiamo però fare un utile esercizio: sgombriamo il campo da questi due echi del tempo che fu e guardiamo alla spesa pubblica residua: questa spesa, in quota del Pil, è la più bassa fra i Paesi dell'Eurozona. E il numero dei dipendenti pubblici, in percentuale dei "clienti" (la popolazione) è più basso in Italia rispetto agli Stati Uniti, tempio del capitalismo.
Ma non ci sono anche tanti sprechi? Certo, ci sono, ma non sono macroeconomicamente significativi. Catturano l'attenzione dei media ma, nel contesto delle grandi cifre, valgono poco. Sono tuttavia moralmente devastanti ed è imperativo eliminarli. Allora, cosa vuol dire tutto questo per un economista che venga da Marte o da Washington o da Voghera? Se la spesa "aggredibile" è già bassa è giusto ridurla ancora? La risposta breve è questa: sì, è purtroppo giusto. La spesa bisogna ridurla perché il fatto di guardare alla spesa al netto degli echi del passato è solo un esercizio contabile: utile ad aprire gli occhi ma non ad aggiustare quei conti su cui pesa la spesa nel suo complesso. Ma l'"aggressione" alla spesa deve essere fatta nei modi appropriati, che non sono quelli di don Chisciotte all'attacco dei mulini a vento.
Purtroppo, tanti tentativi nel passato di ridurre la spesa pubblica assomigliano alle cariche di don Chisciotte. Se la spesa aggredibile è bassa vuol dire che è di tanto più forte la resistenza che si incontra quando i "tagli" si scontrano con la forza delle cose e le croste delle difese. Soprattutto, i tentativi di ridurre la spesa in queste condizioni sono destinati al fallimento, non tanto per le difficoltà obiettive quanto perché sottraggono domanda all'economia e quindi indeboliscono il Pil.
Dobbiamo trovare una maniera diversa per "aggredire" una spesa pubblica che ha un problema di qualità prima ancora che di quantità . La parola d'ordine "tagliare la spesa", una parola d'ordine che cala dall'alto e viene affissa come una coccarda sul bavero dell'eroe di turno, non basta. Bisogna partire dal basso. Nella fattispecie, caro Cottarelli, la proposta è questa:
- lasci al Mef, alla Ragioneria, ai ministeri, al Governo e al Parlamento il compito di agire sui grandi meccanismi di spesa o di spostare soldi dall'Interno alla Giustizia o dagli Esteri allo Sviluppo. L'approccio "top down" non conviene a un guerriero solitario;
- Lei deve fare la guerriglia, non la guerra. L'approccio "bottom up" deve partire dai problemi reali dei cittadini e delle imprese. Prenda un caso concreto, qualche disperata lamentela di chi lotta con la burocrazia, e poi si adoperi, con la pazienza di un orologiaio, a smontare il reticolo di norme assurde e adempimenti vessatori; presentando e rendendo pubbliche proposte cifrate e concrete atte a risolvere il problema. Così si risparmia anche sulla spesa: meno complicazioni vuol dire meno faldoni, meno scartoffie e meno ore di lavoro inutile. Solo così le innovazioni e le semplificazioni possono fare macchia d'olio e diffondersi, e la revisione della spesa può diventare amica - e non nemica - della crescita;
- basta tutto questo? No, non basta. Per rimettere a posto i conti bisogna agire sugli stock e non solo sui flussi. Bisogna privatizzare tutto il possibile per abbattere il debito, dalla vendita delle quote dello Stato nelle grandi aziende pubbliche al disboscamento del "socialismo municipale". L'intervento delle Poste in Alitalia è stato difeso dicendo che le Poste sono un'azienda risanata e in utile, non sono la longa manus dello Stato. Benissimo, allora perché non privatizzare le Poste, come ha appena fatto l'Inghilterra con la Royal Mail?