LA CUPOLA DEL MOSE. INCHIESTA A VENEZIA SU UNA RETE DI UFFICIALI CHE PROTEGGEVANO GLI AFFARI SPORCHI DEL MOSE. SOTTO INDAGINE PER TANGENTI UN ALTO UFFICIALE DELLA FINANZA (L’Espresso)

domenica 17 novembre 2013



LA CUPOLA DEL MOSE

Inchiesta a Venezia su una rete di ufficiali che proteggevano gli affari sporchi del Mose. Sotto indagine per tangenti un alto ufficiale della Finanza. E gli inquirenti sospettano fondi neri per centinaia di milioni di euro 

di Paolo Biondani
La cupola degli appalti in Veneto aveva una super-copertura: una rete di controspionaggio guidata da un generalissimo della Guardia di Finanza. Un comandante di rango nazionale, con un passato nei servizi segreti, che poteva impartire direttive e farsi trasmettere informazioni sensibili da schiere di graduati senza destare sospetti.

I magistrati di Venezia, con una squadra di fidati investigatori della stessa Guardia di Finanza, stanno scoperchiando una nuova Tangentopoli con centinaia di indagati. Con un troncone d’indagine che punta contro un network di pubblici ufficiali sospettati di aver messo in vendita un servizio illegale di protezione dalle inchieste giudiziarie. Non le solite mazzette per addomesticare verifiche fiscali, insomma, ma una corruzione programmata per fermare sul nascere ogni possibile istruttoria.

A libro paga c’era e forse c’è tuttora una rete di funzionari di varie forze di polizia, con agganci nei servizi e in agenzie private, in grado di spiare le procure, allertare gli intercettati, falsificare o far sparire documenti compromettenti e trafugare atti giudiziari. In settembre era stato arrestato il vicequestore bolognese Giovanni Preziosa, accusato di aver intascato circa 160 mila euro proprio per spiare le indagini venete. Ora i pm sono risaliti ai livelli più alti. E sotto accusa c’è un generale a tre stelle delle Fiamme gialle, sospettato di essersi fatto consegnare pacchi di banconote in contanti. Almeno mezzo milione di euro.

I costi e i rischi di una corruzione di tale livello si spiegano con l’importanza del movente: impedire ai magistrati di scoprire un colossale sistema di malaffare gestito da un cartello di aziende collegate alla politica. Al centro delle indagini c’è il Mose, la più grande opera pubblica varata in Italia: un enorme sistema di dighe mobili, che dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta ma dopo più di trent’anni non è ancora in funzione. Gran parte delle indagini sono per ora segrete, ma il quadro disegnato dalle prime confessioni è già chiaro: il Mose è diventato una monumentale fabbrica di denaro nero.

L’inchiesta conta già più di cento indagati, venti arrestati e fatture dichiaratamente false per più di 30 milioni, ma finora si è vista solo la punta dell’iceberg. La Guardia di Finanza ha scoperto altre “cartiere” in Svizzera, Austria, Canada, oltre che in Italia, e indaga su possibili fondi neri per «centinaia di milioni di euro».

I più importanti sponsor istituzionali del duo di imprenditori sotto inchiesta per i fondi neri sono sicuramente Galan, governatore in carica dal 1995 al 2010, il suo assessore Renato Chisso, rimasto in carica con il presidente leghista Luca Zaia, l’europarlamentare Lia Sartori e il super-tenico Silvano Vernizzi di Veneto Strade. Tra le sponde a sinistra, più del modesto contributo finito alla fondazione VeDrò di Enrico Letta, pesa il ruolo delle cooperative rosse. E tutta l’inchiesta è nata dai controlli su Lino Brentan, amministratore in quota Pd dell’autostrada Padova-Venezia, arrestato nel gennaio 2012 per corruzione.

La versione integrale sull'Espresso in edicola dal 15 novembre

14 novembre 2013

http://espresso.repubblica.it/attualita/2013/11/14/news/c-e-una-cupola-sul-mose-1.141137
 

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