L’INPDAP, L’EX CASSAFORTE DELLE PENSIONI PUBBLICHE E QUEI DIECI MILIARDI CHE MANCANO ALL’APPELLO (Il Corriere della Sera)
martedì 19 novembre 2013
Il Corriere della Sera - 16.11.13
L’INPDAP, L’EX CASSAFORTE DELLE PENSIONI PUBBLICHE E QUEI DIECI MILIARDI CHE MANCANO ALL’APPELLO
di Enrico Marro
ROMA — Viene da lontano il buco dell’Inpdap che si è scaricato nel bilancio dell’Inps compromettendone i conti. Era il 2007, l’anno prima, nel 2006, il deficit del bilancio pubblico aveva superato il 3% del Prodotto interno lordo, arrivando al 3,3%, oltre il tetto imposto dai parametri di Maastricht. Nel 2007 sarebbe andata molto meglio, e infatti il deficit chiuse all’1,5%, ma c’era da garantire un buon risultato anche per il 2008. Cosa che al governo di allora, una coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi, riuscì, tanto che si chiuse l’anno successivo con un deficit pari al 2,7% del Pil. Il tutto grazie anche a una legge Finanziaria (si chiamava ancora così la legge di Stabilità ) che correggeva i conti pubblici 2008 per 11 miliardi e mezzo. Ma fu con quella manovra che passò un cambiamento del modo di finanziare l’Inpdap che ha contributo ad aggravare il deficit dell’istituto di previdenza dei dipendenti pubblici che poi è confluito nel SuperInps, l’operazione di fusione di Inps, Inpdap ed Enpals (sport e spettacolo) decisa dal governo Monti nel 2011. In sostanza, dal 2008 in poi il deficit Inpdap, dovuto al crescente squilibrio strutturale tra entrate contributive e spese per le pensioni dei dipendenti pubblici, non venne più coperto con trasferimenti dal bilancio dello Stato, cioè con un aumento della spesa pubblica, ma con «anticipazioni di Tesoreria», ovvero con prestiti che, in teoria, l’Inpdap dovrebbe restituire allo Stato e che quindi contribuiscono al disavanzo dell’istituto.
L’operazione alla quale ricorse il governo Prodi (ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa) non era una novità . Era già stata utilizzata per l’Inps nei decenni precedenti. Anche in questo caso, ricorda Giuliano Cazzola, che ha passato molti anni negli organi di controllo degli istituti previdenziali, lo Stato ripianava il deficit in parte con trasferimenti dal bilancio pubblico e in parte con anticipi di tesoreria, prestiti che tutti sapevano non sarebbero mai stati restituiti. Finché, nel 1998, «l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, azzerò in un colpo solo il disavanzo patrimoniale dell’Inps che era arrivato a ben 160 mila miliardi di lire», 82,6 miliardi di euro. Dopo questa ripulitura il bilancio dell’Inps potè ripartire da zero e grazie anche ai grandi risparmi derivanti dalle ripetute riforme delle pensioni e a una gestione più efficiente ha migliorato i propri saldi. Antonio Mastrapasqua, alla guida dell’ente dal 2008, va particolarmente orgoglioso di aver riportato i conti in attivo e di aver chiuso i bilanci in avanzo fino al 2010, quando l’attivo patrimoniale era arrivato a ben 43 miliardi e mezzo. Poi, con lo scaricarsi degli effetti della crisi mondiale sul mondo del lavoro italiano, la musica è cambiata e già nel 2011 il bilancio chiuse in rosso per 2,2 miliardi. Ma era ancora niente rispetto a quello che sarebbe successo col SuperInps. Nel primo bilancio unificato, quello del 2012, si è infatti scaricato il deficit di 7,1 miliardi dell’Inpdap e il disavanzo patrimoniale di ben 17,4 miliardi. Risultato: l’Inps ha chiuso l’esercizio con un rosso di quasi dieci miliardi e il patrimonio si è pressoché dimezzato scendendo a 21,8 miliardi.
Bisognerà trovare una soluzione, è chiaro. Il dissesto della previdenza dei dipendenti pubblici ha una lunga storia. Fino al 1994 l’Inpdap non esisteva, c’erano le casse degli enti locali. Per i dipendenti delle amministrazioni centrali lo Stato incassava solo i contributi a carico dei lavoratori mentre per la parte datoriale non versava (a se stesso): sarebbe stata una partita di giro visto che era sempre lo Stato a pagare le pensioni ai suoi dipendenti. Ancora nel 2009 l’allora commissario straordinario dell’Inpdap, Paolo Crescimbeni, denunciava una forte evasione contributiva da parte del datore di lavoro pubblico. Adesso non è più così, assicura il Tesoro. Ma il blocco del turnover e lo squilibrio fra entrate contributive e uscite per pensioni sono fattori che non si possono ignorare. Soprattutto perché prima o poi si scaricheranno comunque sul bilancio dello Stato.
L’operazione alla quale ricorse il governo Prodi (ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa) non era una novità . Era già stata utilizzata per l’Inps nei decenni precedenti. Anche in questo caso, ricorda Giuliano Cazzola, che ha passato molti anni negli organi di controllo degli istituti previdenziali, lo Stato ripianava il deficit in parte con trasferimenti dal bilancio pubblico e in parte con anticipi di tesoreria, prestiti che tutti sapevano non sarebbero mai stati restituiti. Finché, nel 1998, «l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, azzerò in un colpo solo il disavanzo patrimoniale dell’Inps che era arrivato a ben 160 mila miliardi di lire», 82,6 miliardi di euro. Dopo questa ripulitura il bilancio dell’Inps potè ripartire da zero e grazie anche ai grandi risparmi derivanti dalle ripetute riforme delle pensioni e a una gestione più efficiente ha migliorato i propri saldi. Antonio Mastrapasqua, alla guida dell’ente dal 2008, va particolarmente orgoglioso di aver riportato i conti in attivo e di aver chiuso i bilanci in avanzo fino al 2010, quando l’attivo patrimoniale era arrivato a ben 43 miliardi e mezzo. Poi, con lo scaricarsi degli effetti della crisi mondiale sul mondo del lavoro italiano, la musica è cambiata e già nel 2011 il bilancio chiuse in rosso per 2,2 miliardi. Ma era ancora niente rispetto a quello che sarebbe successo col SuperInps. Nel primo bilancio unificato, quello del 2012, si è infatti scaricato il deficit di 7,1 miliardi dell’Inpdap e il disavanzo patrimoniale di ben 17,4 miliardi. Risultato: l’Inps ha chiuso l’esercizio con un rosso di quasi dieci miliardi e il patrimonio si è pressoché dimezzato scendendo a 21,8 miliardi.
Bisognerà trovare una soluzione, è chiaro. Il dissesto della previdenza dei dipendenti pubblici ha una lunga storia. Fino al 1994 l’Inpdap non esisteva, c’erano le casse degli enti locali. Per i dipendenti delle amministrazioni centrali lo Stato incassava solo i contributi a carico dei lavoratori mentre per la parte datoriale non versava (a se stesso): sarebbe stata una partita di giro visto che era sempre lo Stato a pagare le pensioni ai suoi dipendenti. Ancora nel 2009 l’allora commissario straordinario dell’Inpdap, Paolo Crescimbeni, denunciava una forte evasione contributiva da parte del datore di lavoro pubblico. Adesso non è più così, assicura il Tesoro. Ma il blocco del turnover e lo squilibrio fra entrate contributive e uscite per pensioni sono fattori che non si possono ignorare. Soprattutto perché prima o poi si scaricheranno comunque sul bilancio dello Stato.