LA REVISIONE DELLA SPESA DEVE ELIMINARE LIVELLI DI GOVERNO E RELATIVI APPARATI COMINCIANDO DALLE INUTILI COSTOSE E AUTOREFERENZIALI REALTA' REGIONALI – di Michele Oricchio (da lavoce.info)

venerdì 06 dicembre 2013


LA REVISIONE DELLA SPESA DEVE ELIMINARE LIVELLI DI GOVERNO E RELATIVI APPARATI COMINCIANDO DALLE INUTILI COSTOSE E AUTOREFERENZIALI REALTA' REGIONALI – di Michele Oricchio (da lavoce.info)

 

 

Di seguito, l’intervento di Michele Oricchio, Procuratore generale della Corte dei Conti della Basilicata, pubblicato ieri dal sito www.lavoce.info. Il titolo è della redazione del sito di Ficiesse.

 

 

COME SEMPLIFICARE L’AMMINISTRAZIONE?

 

 

Una vera revisione della spesa pubblica non può non passare attraverso una semplificazione del sistema amministrativo che riduca drasticamente i livelli di governo e i centri di spesa che negli ultimi decenni hanno proliferato incontrollati.

 

L’incalzare della crisi in cui versa la finanza pubblica nel nostro Paese ha prodotto negli ultimi tempi una serie interventi sui media in cui sono stati autorevolmente indicati i settori di più immediato intervento e, fra questi, ha finalmente iniziato ad affermarsi quello del drastico ridimensionamento delle regioni e dei loro apparati.


Infatti, una vera “semplificazione” amministrativa non va tanto perseguita in termini di procedure, come si è cercato di fare con le norme recate dalla cosiddetta legge Bassanini, ma con l’eliminazione dei troppi livelli di governo (e rispettivi apparati) che oggi pullulano nel nostro Paese con enorme dispendio di risorse ed energie.


Certamente l’apparato statale costituisce ancora terreno fertile per inefficienze e privilegi e bene ha fatto il Commissario straordinario per la revisione della spesa a dedicare ad esso ben quattordici punti nel programma di lavoro presentato il 12 novembre scorso,  ma essenziale è l’intervento sul sistema delle autonomie locali cui, purtroppo, sono stati dedicati – in quel documento – solo tre punti.


Ci sono voluti molti anni e l’esplosione degli scandali sulla gestione del danaro pubblico da parte delle autonomie regionali (circa 400 consiglieri ad oggi indagati) per focalizzare l’attenzione dei media sulle storture venutesi a creare nel nostro sistema istituzionale specie dopo la mai sufficientemente deplorata riforma del titolo V della Costituzione del 2001.


Negli ultimi tempi abbiamo così assistito alla degenerazione incontrollata ed autoreferenziale degli enti pubblici territoriali e delle società pubbliche (tali da far rimpiangere le vecchie “partecipazioni statali”)  che ha concorso all’esplosione della spesa pubblica e a cui va posto urgente e drastico rimedio se si vuole consentire una significativa riduzione della pressione fiscale sui cittadini e sulle  imprese, anch’essa stratificatasi negli ultimi anni su un sistema “multilivello” che strangola ogni genere di iniziativa economica.


Le regioni rappresentano la massima espressione di questa deriva: esse si dovevano differenziare dagli altri enti locali per essere dotate di potestà legislativa finalizzata – nel disegno del costituente – ad adeguare la normativa primaria alle varie realtà locali: l’analisi delle poche leggi annualmente emanate evidenzia invece come esse si interessino prevalentemente di materie “singolari” e/o di scarso impatto sociale.


Le regioni sono così diventate come grandi Asl e hanno finito per connotarsi quali centri di gestione del potere amministrativo autoreferenziali che si alimentano attraverso un sistema tanto capillare quanto costoso di società, agenzie, enti, comitati, consorzi , autorità, ambiti, commissari, garanti, etc.


Dunque, razionalmente non è più sostenibile il mantenimento in vita dei costosi apparati regionali che si connotano al più per l’emanazione di leggi de minimis, in un sistema di gerarchia delle fonti che vede già accanto alla legge statale, quale fonte primaria, una sempre più ampia normativa comunitaria tesa a creare uno “spazio giuridico comune europeo”.


Infatti il declino delle regioni non è solo la conseguenza degli uomini che le hanno gestite ma dell’evoluzione dei tempi in quanto nel nuovo millennio gli ordini di grandezza sono mutati a causa delle globalizzazione e l’assetto disegnato dal costituente del 1946 è completamente cambiato:  Ã¨ un vero peccato che nel 2001 non se ne siano accorti realizzando una riforma del titolo V della Costituzione che  oggi ben  possiamo definire “anacronistica” e dannosa.


Sicché in questi ultimi anni è stato in gran parte snaturato il previgente saggio sistema di contrappesi fra poteri pubblici e fra Stato ed autonomie: ne è risultato un meccanismo frammentato e costoso che brucia inutilmente risorse ad ogni livello di governo, talvolta indulge a forme eccessive di assemblearismo, talaltra consente nuovi “autoritarismi”,  e spesso crea artificiose contrapposizioni difficili da mediare anche in sede giudiziaria (attualmente un quarto del contenzioso innanzi al Giudice amministrativo vede come parti esclusivamente enti pubblici).


Dunque vi è un evidente squilibrio fra costi e benefici recati da un sistema così farraginoso su cui bisogna agire immediatamente per contribuire ad una riduzione strutturale della spesa pubblica senza ulteriormente intaccare il livello dei servizi realmente offerti ai cittadini.


In un contesto di  globalizzazione economica che postula  nuovi  ordini di grandezza, le regioni sono ontologicamente troppo piccole per legiferare seriamente e troppo grandi per svolgere efficacemente funzioni amministrative, non comprendendo realtà omogenee (come le province, storici enti di “area vasta”) tanto da essere efficacemente definite “conchiglie vuote sul piano identitario”.


A tutt’oggi alcuni rimedi approssimativamente indicati o adottati  si sono rivelati peggiori dei mali, come dimostra il recente ddl di abolizione delle province che non solo parte dall’apodittica considerazione che questi sarebbero i veri enti territoriali inutili ma poi anziché semplificare il sistema lo complica ulteriormente prevedendo due tipi di città metropolitane, due tipi di unione di comuni, province depotenziate ed un intrico di competenze e funzioni ad assetto variabile ed imprevedibile, spesso rimesso al legislatore regionale con perdita di ogni unitarietà dell’assetto territoriale del Paese, come ha anche sottolineato la Corte dei Conti.


Si impongono invece scelte chiare e responsabili che ben potranno  essere  individuate  in sede di Commissione per la revisione della spesa ma necessitano anche di una coraggiosa  revisione della Costituzione con un serio ripensamento della Riforma del titolo V avvenuta nel 2001.


In particolare, nelle more dell’auspicabile revirement,  va subito  esplicitamente introdotta in Costituzione la clausola dell’interesse nazionale in modo da  consentire al Parlamento di legiferare subito anche nel dettaglio in ogni materia e su tutto il territorio quando lo esiga il “superiore interesse nazionale”.


Solo in tal modo sarà possibile superare gli ostacoli oggi esistenti a livello costituzionale per una efficace riorganizzazione amministrativa e avviare il rilancio dell’apparato pubblico in modo da trasformarlo in un volano per l’economia nazionale.


Il debito pubblico che ci schiaccia e la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando sono  certamente figli anche del segnalato fenomeno degenerativo che, per essere contrastato, necessita di  una concreta e non accademica semplificazione istituzionale per la cui realizzazione c’è però bisogno non solo  di vere competenze e di meditate riforme, ma anche di capacità di autocritica e di indifferibili “controriforme”.

 

 

MICHELE ORICCHIO

Procuratore Regionale della Corte dei Conti per la Basilicata

 



Tua email:   Invia a: