AIUTÒ UNA GATTA, PROCESSO ALL’UFFICIALE BARBARA. SOTTOPOSTA A UN ANNO DI INDAGINI E INTERROGATORI (Corriere della Sera)
mercoledì 25 dicembre 2013
Corriere della Sera – 22 dicembre 2013
ERA IL MEDICO DELLA BASE. NON AVREBBE OBBEDITO ALL’ORDINE DI NON AVVICINARE ANIMALI
AIUTÃ’ UNA GATTA, PROCESSO ALL’UFFICIALE BARBARA
Sottoposta a un anno di indagini e interrogatori . «Rischiava la vita per le difficoltà del parto. Come potevo abbandonarla?»
di Andrea Pasqualetto
Il lamento non era di un soldato ferito. Era di Agata, la gatta della base italiana in Kosovo, fra le alture di Pec. Da giorni aveva smesso di salire sul cornicione della caserma e si era ritirata nella capanna dell’area 40 a miagolare senza tregua. Doveva dare alla luce i piccoli ma era un parto molto difficile e lei, con quel verso straziante, lo stava dicendo a tutti i militari della base. La notizia giunse all’orecchio dell’ufficiale medico in servizio, il tenente Barbara Balanzoni, che accorse alla capanna e la salvò. Ebbene, per quel gesto del 10 maggio 2012 il medico riservista, una trentanovenne bolognese con la passione dei gatti, dei cani e dell’esercito, è finita indagata per oltre un anno e il 7 febbraio 2014 sarà processata davanti al Tribunale militare di Roma, al quale è stata rinviata dal gup la scorsa settimana.
L’accusa parla di disobbedienza aggravata perché «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, disobbediva all’ordine scritto, datato 6 maggio 2012, a firma del comandante della Base, riguardante il divieto di avvicinare o farsi avvicinare da animali selvatici, randagi o incustoditi, venendo così morsa... ». Correndo in soccorso dell’agitatissima Agata, il tenente Balanzoni aveva infatti rimediato un morso. «Ma quale morso! - insorge scattante l’ufficiale -. Era una graffio, nulla di grave. Agata era spaventata, poverina, con un micino già morto nella pancia che non voleva uscire». La procura militare è però andata a fondo del fattaccio, concludendo che «il tenente si è fatto anche accompagnare presso l’infermeria dell’ospedale tedesco di Prizren per il vaccino antirabbico».
Una vicenda surreale e un po’ kafkiana. Nella base militare nata per una guerra che ha fatto migliaia di vittime, è successo infatti che soldati e ufficiali abbiano finito per scontrarsi su una micia. Con un lungo e tormentato strascico: la raccolta meticolosa delle testimonianze oculari, le indagini prorogate dopo sei mesi, il lavoro di avvocati, di magistrati, di ufficiali, di marescialli. Il tutto per Agata e per quell’iniziativa del tenente Balanzoni, la quale dopo l’esperienza in Kosovo è tornata al camice bianco, civile, di anestesista rianimatore all’ospedale di Massa Carrara: «Sto vivendo un incubo. Spero che la giustizia faccia presto il suo corso e che vengano presi gli opportuni provvedimenti contro chi mi ha reso impossibile la vita alla Base portandomi alla sbarra».
Dopo il salvataggio della micia, il clima alla Base era diventato conflittuale. Altri due rapporti sul conto della dottoressa si sono trasformati in altrettanti capi d’accusa per diffamazione e ingiurie. «Ha offeso il prestigio, l’onore e la dignità di un maresciallo - scrive il magistrato - proferendo le seguenti parole: “Com’è possibile che l’esercito mandi all’estero un mentecatto e truffatore come lui?”». E su questo episodio sono partite altre indagini. Domanda: perché succede tutto a lei? «Semplice - risponde Balanzoni - perché non erano abituati a prendere ordini da un ufficiale donna che non andava alle loro cene, dove peraltro scorrevano fiumi di alcol. Non partecipavo per il fatto che non avevo molto da dire e preferivo starmene nella mia cameretta a studiare (vuole la seconda laurea in giurisprudenza, ndr ). Ho fatto il Kosovo con il codice penale sulla sedia». E dunque si è studiata bene anche la sua causa, finendo per cavillare pure lei sul caso Agata: «Il provvedimento disciplinare, oltre a invocare un articolo del codice sbagliato, non riporta alcuna indicazione sulla mancata esecuzione di un ordine. Non si comprende in cosa consista la mancanza: non è forse dovere di un ufficiale, per di più medico, rispondere a una chiamata senza lavarsene le mani via telefono? La chiamata per una gatta a rischio di vita perché in difficoltà nel partorire a buon diritto poteva ingenerare nell’area 40 un problema di sanità pubblica... la gatta era in evidente difficoltà , non me la sentii di abbandonarla in quelle condizioni, la situazione non credo meritasse un’autorizzazione gerarchica». E giù pagine di argomentazioni raccolte in una memoria difensiva e sostenute ora a gran voce anche dall’Ente nazionale protezione animali che ha già presentato un’interrogazione parlamentare. Il tenente Balanzoni vive con un cane e una gatta e ha un sogno: «Poter continuare a lavorare per l’esercito, un’istituzione che io amo... come i gatti». Mentre in Italia tutti litigano, a Pec Agata è tornata sorniona sul tetto.
L’accusa parla di disobbedienza aggravata perché «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, disobbediva all’ordine scritto, datato 6 maggio 2012, a firma del comandante della Base, riguardante il divieto di avvicinare o farsi avvicinare da animali selvatici, randagi o incustoditi, venendo così morsa... ». Correndo in soccorso dell’agitatissima Agata, il tenente Balanzoni aveva infatti rimediato un morso. «Ma quale morso! - insorge scattante l’ufficiale -. Era una graffio, nulla di grave. Agata era spaventata, poverina, con un micino già morto nella pancia che non voleva uscire». La procura militare è però andata a fondo del fattaccio, concludendo che «il tenente si è fatto anche accompagnare presso l’infermeria dell’ospedale tedesco di Prizren per il vaccino antirabbico».
Una vicenda surreale e un po’ kafkiana. Nella base militare nata per una guerra che ha fatto migliaia di vittime, è successo infatti che soldati e ufficiali abbiano finito per scontrarsi su una micia. Con un lungo e tormentato strascico: la raccolta meticolosa delle testimonianze oculari, le indagini prorogate dopo sei mesi, il lavoro di avvocati, di magistrati, di ufficiali, di marescialli. Il tutto per Agata e per quell’iniziativa del tenente Balanzoni, la quale dopo l’esperienza in Kosovo è tornata al camice bianco, civile, di anestesista rianimatore all’ospedale di Massa Carrara: «Sto vivendo un incubo. Spero che la giustizia faccia presto il suo corso e che vengano presi gli opportuni provvedimenti contro chi mi ha reso impossibile la vita alla Base portandomi alla sbarra».
Dopo il salvataggio della micia, il clima alla Base era diventato conflittuale. Altri due rapporti sul conto della dottoressa si sono trasformati in altrettanti capi d’accusa per diffamazione e ingiurie. «Ha offeso il prestigio, l’onore e la dignità di un maresciallo - scrive il magistrato - proferendo le seguenti parole: “Com’è possibile che l’esercito mandi all’estero un mentecatto e truffatore come lui?”». E su questo episodio sono partite altre indagini. Domanda: perché succede tutto a lei? «Semplice - risponde Balanzoni - perché non erano abituati a prendere ordini da un ufficiale donna che non andava alle loro cene, dove peraltro scorrevano fiumi di alcol. Non partecipavo per il fatto che non avevo molto da dire e preferivo starmene nella mia cameretta a studiare (vuole la seconda laurea in giurisprudenza, ndr ). Ho fatto il Kosovo con il codice penale sulla sedia». E dunque si è studiata bene anche la sua causa, finendo per cavillare pure lei sul caso Agata: «Il provvedimento disciplinare, oltre a invocare un articolo del codice sbagliato, non riporta alcuna indicazione sulla mancata esecuzione di un ordine. Non si comprende in cosa consista la mancanza: non è forse dovere di un ufficiale, per di più medico, rispondere a una chiamata senza lavarsene le mani via telefono? La chiamata per una gatta a rischio di vita perché in difficoltà nel partorire a buon diritto poteva ingenerare nell’area 40 un problema di sanità pubblica... la gatta era in evidente difficoltà , non me la sentii di abbandonarla in quelle condizioni, la situazione non credo meritasse un’autorizzazione gerarchica». E giù pagine di argomentazioni raccolte in una memoria difensiva e sostenute ora a gran voce anche dall’Ente nazionale protezione animali che ha già presentato un’interrogazione parlamentare. Il tenente Balanzoni vive con un cane e una gatta e ha un sogno: «Poter continuare a lavorare per l’esercito, un’istituzione che io amo... come i gatti». Mentre in Italia tutti litigano, a Pec Agata è tornata sorniona sul tetto.