AL BANDO LA VOLGARITÀ DALLE CASERME - di Vincenzo Vacca

domenica 26 gennaio 2014

AL BANDO LA VOLGARITÀ DALLE CASERME - di Vincenzo Vacca


Ficiesse, lo abbiamo detto fino alla noia, è una associazione culturale e, quindi, penso che non sia fuori luogo affrontare, in qualche modo, anche quelli che sono i costumi non sempre decenti che noi cittadini adottiamo nella vita di tutti i giorni.

C’è un luogo comune secondo il quale un ambiente militare si contraddistingue per un uso abbastanza disinvolto del turpiloquio.

 

La volgarità, in questo caso, è da intendersi come modalità espressiva che fa riferimento continuo agli apparati di riproduzione delle persone e/o agli orientamenti sessuali delle stesse o, ancora, al numero di fidanzati (non ridete, il termine fidanzato ha ripreso quota) che una donna ha avuto.

 

Per i maschi non si fa riferimento al numero di partners per deriderli ma per lodarli, secondo una becera e riprovevole mentalità dura a morire.

 

Non per ripetere una nota battuta cinematografica: “chi parla male pensa male”, ma è fuor di dubbio che un modo per sopperire alla mancanza di idee e di possesso delle parole, è quello di far ricorso alle cosidette “parolacce”. Un vero e proprio sdoganamento, quindi, della scurrilità.

 

In realtà, questa pessima modalità di comunicazione tra le persone è presente in tutti gli ambienti e quello militare ne ha conservato ingiustamente la nomea.

 

Anche in questo è stata cattiva maestra la televisione dove gli onnipresenti tuttologi pensano di ben condire il proprio discorso d’autore con una serie di cattive parole. Quindi, molti pensano che, se in televisione si parla così, non c’è niente di male parlare in modo simile nella vita quotidiana.

 

Questo, naturalmente, contribuisce a impoverire il linguaggio e, quindi, i rapporti tra le persone. Rappresenta anche una ulteriore forma di banalizzazione della meravigliosa complessità della vita dell’uomo. Il modo di parlare non è fine a se stesso, ma esprime una visione degli accadimenti umani e delle persone.

 

Naturalmente, dire che gli ambienti militari ne hanno conservato ingiustamente la nomea non significa che sono immuni dagli scadimenti verbali dei quali stiamo trattando e, quindi, occorre evitarli completamente.

 

Ad onor del vero, ne è rimasta traccia solo nei rapporti tra colleghi, ma praticamente mai si segnalano nei rapporti con persone estranee all’Amministrazione.

 

L’ingresso a pieno titolo delle donne nelle forze di Polizia e militari, nonché di persone con elevati livelli di istruzione devono rappresentare uno sprone nell’eliminare definitivamente anche tra colleghi maschi un linguaggio che non è all’altezza dei compiti istituzionali che si è chiamati a svolgere, al punto tale da invertire il su richiamato luogo comune: è negli ambienti militari e di polizia che si parla bene anche da parte di non graduati.

 

Io credo che questa specifica tematica non vada sottovalutata, in quanto se si è d’accordo con l’idea che ho provato a illustrare precedentemente, a maggior ragione vale per appartenenti a importanti e prestigiose Istituzioni. Il garbo, la gentilezza contribuiscono a creare un clima lavorativo maggiormente efficace nel lavoro che si svolge e non rappresentano assolutamente un superato formalismo.


Arrivo addirittura a sostenere che l’uso del “tu” non costituisce una sorta di pronome dell’uguaglianza, ma dell’appiattimento. Con il “lei” si riconosce all’altro una sua precisa identità di persona. Si rispetta il suo vissuto e si sottende il giusto valore per la sua positiva alterità e, quindi, per il suo punto di vista anche sulle cose da fare nell’esecuzione del lavoro, di qualsiasi genere esso sia.


VINCENZO VACCA
Componente Direttivo Nazionale Ficiesse

 

 


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