LA CLASSE POLITICA È COMPLETAMENTE INCAPACE DI FORMULARE UNA PROPOSTA DI RINNOVAMENTO PER LE FORZE DI POLIZIA E PER I MILITARI (TRA L'ALTRO COSTRETTI A RIVOLGERSI AD UN GIUDICE EUROPEO PER CERCARE UNA MINIMA TUTELA) – di Vincenzo Vacca
Pubblichiamo un pensiero di Vincenzo Vacca; il titolo è della redazione del sito.
E’ indubbio che sono anni, troppi, che mancano pensieri politici forti, capaci di esaminare compiutamente la realtà sociale e di riuscire a creare un consenso attivo e pensante sulle soluzioni idonee a mettere in moto un processo di cambiamento. Si vive una epoca di piccolo cabotaggio e il futuro è visto sempre più come una minaccia.
Una delle cause principali di questa disastrosa e avvilente situazione è certamente da addebitare alla separazione tra politica e cultura che, invece, nella cosidetta e vituperata “prima Repubblica” erano fortemente intrecciate e, durante la quale, almeno fino agli anni 70, ha prodotto non solo un benessere diffuso con la nascita e il consolidamento del ceto medio, ma anche una coesione sociale. Anche negli anni 50, caratterizzati da fortissime contrapposizioni – figlie soprattutto dello scenario internazionale – quasi tutti i soggetti politici si muovevano sostanzialmente nel solco di una visione d’insieme. Ne conseguiva che tutte le tematiche, anche quelle così apparentemente specifiche, venivano ugualmente inserite in un contesto sistemico di valori. Pertanto, le pressioni, le lotte, i confronti anche aspri, avevano sempre come effetto collaterale, ma non secondario, quello di arricchire il tessuto nazionale. Questo processo era garantito dal fatto che tutti accettavano le regole del gioco ovvero la Costituzione e che erano presenti grandi partiti politici che, nonostante tutti i difetti, costituivano una sponda alle proteste e davano alle stesse una produttiva direzione.
Tangentopoli che certamente nasceva da una giusta necessità di eliminare il rapporto perverso tra politica ed affari, pur essendo stata sacrosanta, non ha avuto, né poteva avere, una funzione di rinnovamento radicale dei costumi nazionali.
Non lo poteva avere perché non era compito della Magistratura e/o delle Forze di polizia costruire una nuova Etica e una nuova Politica degli italiani, ma doveva essere compito di altri soggetti, politici e sociali, e questo non è avvenuto.
Tale situazione ha un riflesso su tutte le varie problematiche e,quindi, anche sulle questioni relative alle Istituzioni militari e di polizia.
Nel senso che, rispetto a tutte le istanze che gli appartenenti alle su indicate Istituzioni sollevano, la politica o balbetta o, addirittura, è silente.
Quello che emerge è una incapacità politica, nel senso letterale del termine, di formulare un programma articolato di revisione e rinnovamento delle varie strutture militari e di polizia. Anche in questo settore, purtroppo, si rileva una afasia tra le nuove esigenze dei “lavoratori in divisa” e la politica. Io rifuggo da generici proclami antipolitici e non solo perché non tendono a risolvere concretamente i problemi ma anche perché presuppongono una sorta di totale virtù della società civile da contrapporre alla cosidetta casta politica e,invece, le cose sono molto più complesse.
Mi limito solo a dire che, nell’ultimo ventennio, la coppia concettuale società civile – antipolitica si è ridotta a una retorica demagogicamente condivisa da chi occupa il Palazzo del potere e da chi tumultua al di fuori dei cancelli. Non ha realisticamente contrastato le logiche fazionarie, personalistiche, oligarchiche dei neo – partiti, e ha ostacolato credibili strategie di riduzione del danno, di ricostruzione del processo democratico.
Comunque, quello che in questa sede mi preme sottolineare è che la debolezza della politica è una iattura anche per le questioni di natura militare e, più in generale, per le Forze di polizia.
Nella migliore delle ipotesi, qualche parlamentare dichiara una generica solidarietà, soprattutto se le elezioni sono vicine, però senza fare un minimo di analisi sulla situazione su cui si va a dichiarare. Anche qui si pensa che la dichiarazione con impatto mediatico possa compensare la totale mancanza di una proposta articolata del settore. Siamo di fronte non solo a una mancanza di volontà, ma di fronte a una mancanza di conoscenza di cui la prima ne è il frutto e pure stiamo parlando di una questione che afferisce alcune centinaia di migliaia di lavoratori e relative famiglie. Una fondamentale funzione di uno stato democratico come quella della sicurezza che, per la particolare situazione italiana, si intreccia con questioni di natura militare e di natura erariale, non può non far parte a pieno titolo dell’agenda politica. Dovrebbe rappresentare un tassello centrale e non d’appendice, come è purtroppo da molto tempo, di una seria visione politica di come dovrebbero essere riformate modalità istituzionali così delicate.
I nostri militari, per vedere riconosciuto un basilare diritto in uno stato democratico ovvero quello di avere un soggetto che possa costituirsi parte civile in un processo penale che, in fondo, afferisce il ferimento di alcuni lavoratori mentre facevano il proprio lavoro a tutela della collettività, hanno dovuto far ricorso alla Corte Europea e,quindi, ancora una volta non si è data una risposta politica, ma rispetto all’assenza di quest’ultima si è dovuto intraprendere una strada di natura giurisdizionale. Vedo una qualche forma di analogia con la vicenda della riforma della nostra legge elettorale e di diverse altre questioni.
E’ chiaro, però, che se la politica non mette al centro del proprio agire il lavoro, in tutte le sue forme, continuerà ad essere poco o nulla influente. E questa è una necessità urgente perché attraverso la Politica (con la P maiuscola) che si dà dignità e ruolo ai cittadini altrimenti, come è stato detto, i grandi gruppi finanziari continueranno a comandare, i tecnici continueranno a governare e i politici andranno in televisione.
Vincenzo Vacca
Componente del Direttivo Nazionale Ficiesse