SERVONO NORME CHE IMPEDISCANO FORME IMPUNITE DI VIOLENZA -di E.Taverna, D.Tisci, G.Picciuto e G.Cutrupi (Lettera a Il Tempo)
Il Tempo – 8 maggio 2014
«SERVONO NORME CHE IMPEDISCANO FORME IMPUNITE DI VIOLENZA»
Caro direttore,
la scelta che ha indotto nei giorni scorsi molti poliziotti ad applaudire altri poliziotti, che nell’adempimento dei propri doveri hanno determinato la morte di un ragazzo, è frutto del dramma della disperazione che anch’essi vivono. La morte di un essere umano è sempre una tragedia. Lo è oltremodo quando accade all’interno di una caserma, di una prigione, di un ospedale, proprio perché avviene per cause o concause, che coloro che operano per conto dello Stato avrebbero dovuto evitare. In uno Stato di diritto, infatti, non è accettabile che proprio coloro che sono deputati a tutelare l’ordine e la legalità pongano in essere azioni al di fuori della legge, lesive della dignità e del rispetto della vita altrui, anche se questo avviene in condizioni operative connotate da particolari fonti di stress.
Il confine netto, la linea di demarcazione inequivocabile e indelebile, tra il legittimo esercizio dell’autorità e l’abuso di potere, non può e non deve essere mai oltrepassato. I gravi fatti che hanno visto protagonisti alcuni appartenenti delle forze dell’ordine, costati la vita a delle persone o connotati da violenze e soprusi, a causa di una serie di omissioni, azioni e indifferenze da parte di chi rappresentava lo Stato non sono degni di un Paese democratico; così come non lo sono, nello stesso modo, quelli che vedono gli agenti soccombere nelle piazze: umiliati e massacrati di botte. Gli appartenenti alle forze dell’ordine sono persone che non tolgono le vite, non certo volutamente, anzi fanno del tutto per salvarle, in ogni circostanza, anche mettendo a rischio la propria. Il percorso fin qui fatto dalla Polizia di Stato è il frutto del processo di democratizzazione delle forze di polizia avviato negli anni ottanta, che trovò il suo naturale epilogo nell’emanazione della legge 121/81 e nella smilitarizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Un’evoluzione democratica che ebbe riflessi estremamente positivi anche su gli altri Corpi di Polizia, anche se ancora a componente militare, in quanto permise di far uscire dall’isolazionismo civico il personale di questi strategici segmenti dello Stato ed attenuare la forte contrapposizione esistente, che vedeva, da un lato - in modo nettamente distanti e separati - coloro che erano chiamati in modo sprezzante, «sbirri» e dall’altro tutti gli altri cittadini. Il punto nodale risiede esclusivamente nel fatto che la sofferenza diffusa che serpeggia tra la maggior parte dei poliziotti è analoga al disagio che vivono gli appartenenti alle altre forze di polizia, anche se a componente militare, solo che per questi ultimi non possono esserci esternazioni pubbliche del disagio, che rimane, quindi, inespresso, ma non per questo meno rilevante o pericoloso. Sarebbe, quindi, un grave errore legiferare sull’onda emotiva dei fatti di questi giorni e assestare un colpo mortale al processo di democratizzazione delle forze di Polizia. È chiaro, inoltre, che se da un lato servono regole chiare d’ingaggio per gli operatori, dall’altro servono nuove norme che impediscano ai manifestanti o a coloro che si recano negli stadi, di poter esercitare queste forme vergognose ed impunite di inaudita violenza.
Eliseo Taverna, Daniele Tisci, Guglielmo Picciuto e Giovanni Cutrupi
(Delegati Co.Ce.R. Guardia di Finanza