Il GRIDO SILENZIOSO DEI FINANZIERI ONESTI - di Gianluca Taccalozzi
“Il problema non sono le regole, ma i ladri”, ha detto qualche giorno fa il Presidente Renzi. Le regole, in effetti, ci sarebbero pure, ma allora perché corruzione e malaffare sono vivi e vegeti e, rispetto a tangentopoli, hanno anche sviluppato gli anticorpi per difendersi? Come se quell’esperienza fosse servita solo a preparare meglio “cattivi”, senza insegnare nulla ai buoni.
Forse il problema non sono le regole, ma forse non sono nemmeno i ladri, quelli purtroppo ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Il problema vero è quella schifosa cultura che regna in tutta la pubblica amministrazione e, forse, in tutto il Paese. Una cultura che, aldilà delle belle norme, è fatta di autoreferenzialità, relazioni, opacità, favoritismi, raccomandazioni, ecc. e si può sintetizzare nell’ormai famosa frase: “Amico, che te serve? Fatte li cazzi tuoi …”.
Una cultura ormai socialmente accettata, quasi come fosse scolpita nel DNA, che costituisce l’”humus” ideale per alimentare e far crescere i potenziali “disonesti”,a tutto discapito del merito e dell’onestà. Un infezione che, sino ad ora, è stata curata solo con l’antinfiammatorio (le inchieste periodiche e leggi mal fatte o mai applicate) e non con l’antibiotico (regole ferree, trasparenza, condanna sociale, esempio, ecc.).
Come al solito, si parla di questo argomento, come di tanti altri (evasione, giustizia, ecc.), solo quando i sintomi si fanno vivi e poi, passata la bufera, tutto torna come prima.
E così quei tanti, tantissimi, finanzieri onesti rimangono sempre sistematicamente fregati, prima e dopo. Prima, quando convivono con il furbo, l’amico degli amici, il disonesto, che scala posizioni in carriera ed acquisisce denaro, potere e prestigio. Dopo, quando le cicliche inchieste scoperchiano il pentolone, mentre gli schizzi di fango imbrattano tutti, senza distinzione, vede che i disonesti magari si salvano pure per la prescrizione, per un vizio formale o magari per una leggina messa lì tempo prima dal compare politico per prevenire il colpo.
Sono quei finanzieri, la stragrande maggioranza, che oggi gridano in silenzio tutta la loro rabbia ed il loro disappunto.
Quelli che tutti i giorni ci mettono la faccia (fisica e personale) di fronte al contribuente per “pretendere” quel tributo che lo Stato (astratto e impersonale) ha imposto.
Quelli che tutti i giorni si impegnano al massimo per assicurare un servizio degno, andando spesso oltre il dovuto, rimanendo in servizio oltre l’orario gratis, impiegando mezzi propri, sacrificando la famiglia o anticipando spese per missioni di lavoro.
Quelli che per ottenere ciò che gli spetterebbe, per diritto o per merito: una promozione, un trasferimento, un encomio, un computer, un’ora di straordinario, un ticket restaurant o una semplice divisa della sua misura, sono quasi costretto a chiederE “per favore”, magari proprio a quei colleghi “potenti” che poi si scoprono disonesti.
Quelli che se fanno un minimo errore, se un giorno hanno la barba lunga, se una volta vanno fuori dai rigidi binari delle regole militari, vengono sistematicamente ripresi, puniti o, peggio ancora, segnalati alla Procura Militare, magari proprio dai quei colleghi “potenti” che poi si scoprono disonesti.
Sono quei finanzieri che non si accontentano più di sentirsi dire “bravi” per poi essere dimenticati, di sentirsi dire che l’amministrazione è sana, che i buoni alla fine vincono. Sono quei finanzieri che non godono nel vedere arresti, perquisizioni e fango, ma molto più concretamente, chiedono riforme, regole ed atteggiamenti concreti (esempi) che impongano culturalmente prima ancora che legalmente: trasparenza, merito e giustizia.
Perché è solo così che la Guardia di Finanza (ed il Paese) può guarire dall’infezione, combattendo ogni forma di malcostume, anche quella che può sembrare insignificante.
Gianluca Taccalozzi
Delegato Co.Ce.R. Guardia di Finanza.