RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA: NON UN AFFARE PRIVATO TRA GERARCHIA E DIPENDENTI. AL PARLAMENTO LA SINTESI IN UN OTTICA DI INNOVAZIONE… di Atonella MANOTTI su Il Nuovo Giornale dei Militari del 29.07.2014
Se mai si voleva una conferma di come il vertice militare vede (o vuole?) la riforma dello strumento di rappresentanza del personale militare, l’abbiamo avuta ascoltando l’audizione del Capo di SMD Binelli Mantelli, in Commissione Difesa lo scorso 22 luglio.
Un discorso che non ha nulla a che vedere con l’acceso dibattito su “sindacato militare o rappresentanza rafforzata”, perché anche coloro che si schierano con questa seconda ipotesi, non possono non rilevare come le posizioni di Binelli Mantelli, vadano ben oltre ogni pessimistica previsione.
Qui il problema è “altro”; è la scelta tra chi vuole cambiare per migliorare la condizione professionale ed ampliare i diritti del personale e con essi contribuire a modernizzare l’istituzione militare e chi, invece, vuole conservare il monopolio paternalistico che ha consentito finora ai vertici militari di imbrigliare la rappresentanza con lacci e lacciuoli che ne hanno impedito di fatto il funzionamento e condizionato il ruolo in difesa degli interessi individuali e collettivi del personale.
Quando il capo di SMD afferma che le Rappresentanze non debbono travalicare la loro funzione, significa che:
- l’amministrazione deve continuare a decidere cosa è meglio per il personale;
- deve poter essere unico interlocutore delle RM (non la politica!);
- la libertà di espressione dei delegati deve essere regolamentata perche si rischia di compromettere la coesione interna;
- L’eventuale scelta verso i diritti associativi/sindacali, cambierebbe la funzione delle RM che non avrebbero più una posizione collaborativa bensì antagonista rispetto all’autorità militare. Perchè – secondo il Capo di SMD - gli obiettivi di comandanti che hanno a cuore il benessere del personale e quelli dei rappresentanti di base, non possono che coincidere. (!!!!)
Forse l’Amm. Binelli Mantelli trascura il fatto che la cura del benessere del personale e la tutela dei suoi interessi professionali non sono proprio la stessa cosa, perche gli strumenti di rappresentanza sono finalizzati a riequilibrare gli interessi del “datore di lavoro” e quelli dei lavoratori.
Non si tratta quindi di una risposta protettiva di chi esercita la funzione gerarchica rispetto al subordinato in grado, ma di uno strumento che può garantire che il lavoratore con le stellette possa recuperare una condizione che ne rafforzi il ruolo all’interno dei luoghi di lavoro, mirando a definire uno spazio di autotutela che da’ vita a rivendicazioni configurabili come veri e propri diritti soggettivi verso il datore di lavoro - comandante, sul quale gravano obblighi corrispondenti.
Ora il tema è nelle mani del Parlamento, a cui spetterà la sintesi tra le posizioni espresse dagli organismi di rappresentanza (comunque schierati per un cambiamento effettivo dell’attuale organismo), dai cittadini militari che in questa fase si stanno esprimendo attraverso la rete o delibere ai vari livelli della RM e da chi, all’interno della struttura (a partire dal suo massimo esponente gerarchico), sta suggerendo alla politica una linea fortemente conservatrice.
E qui la sintesi; perché tutto può permettersi la politica – compresi gli errori – ma non la rinuncia o l’assenza di una prospettiva credibile di cambiamento , perche la riforma della rappresentanza militare non è un affare privato tra gerarchie e dipendenti, ma è un tema di civiltà e di democrazia.
Confidiamo che in Parlamento prevalga una discussione che si inserisca nello scenario di cambiamento che il governo Renzi sta perseguendo e non vi può essere giustificazione alcuna per chi, agitando lo spauracchio della “deriva sindacale” tenta di frenare una riforma che deve avere come obiettivo la partecipazione e la democrazia come valori irrinunciabili che stanno dentro al tema della dignità delle persone e che non vanno ad inficiare alcuna disciplina o compattezza delle Forze Armate.
E’ incomprensibile che possa esistere ancora oggi un livello istituzionale- gerarchico totalmente disgiunto dalla realtà, dai temi, dai contenuti della condizione sociale dei cittadini militari. E se il distacco fra cittadini e istituzioni si è accentuato, è anche perché finora sono prevalse queste logiche che hanno premiato visioni corporative e conservatrici, a scapito di chi prova a fare seriamente il proprio dovere e chiede solo diritti e riconoscimenti adeguati.
Alla politica quindi il proprio ruolo di ascolto e di indirizzo.
Ai delegati della Rappresentanza l’onere di una scelta che abbandoni contrapposizioni ideologiche e lasci spazio ad un modello innovativo che deve tenere conto dei contesti di riferimento che evolvono, da quelli interni a quelli esterni.
Il contesto interno in cui, cultura associativa, qualità delle risorse umane, senso di appartenenza, devono crescere nella consapevolezza che si è tutti nella stessa barca e che prima di dividersi è il momento di crescere e compiere davvero un salto culturale. Servono formazione, consapevolezza, contenuti e identità.
E poi il contesto esterno, in continua evoluzione connotato da una complessità crescente che richiede capacità di relazionarsi con i problemi posti da una crisi economico sociale senza precedenti e con variabili che impongono un continuo aggiornamento anche nei rapporti con le istituzioni e la politica.
Uno schema relazionale che suggerisce ai rappresentanti una dimensione innovativa del proprio ruolo, che sta nel coniugare gli interessi della categoria e quelli della collettività, perché oggi è impensabile credere che esistano confini tra i diversi contesti, così come è riduttivo ed inefficace limitare l’attività di rappresentanza solo nell’ambito del proprio settore di riferimento.
C’è ancora molto da lavorare per operare un cambio di prospettiva. Ma è qui che oggi passa obbligatoriamente la strada per fare una Vera Riforma.
Antonella Manotti
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