IL NUOVO QUOTIDIANO DI PUGLIA E LO STUPRO GERARCHICO. PERCHE’ UN GIORNALISTA TACE I NOMI DEGLI UFFICIALI GDF COINVOLTI E NON QUELLO DEL MARESCIALLO PROSCIOLTO DALLA CASSAZIONE? – di Giovanni Surano

lunedì 01 settembre 2014

 

Pubblichiamo una lettera di Giovanni Surano sulle modalità con le quali un anonimo giornalista del "Nuovo Quotidiano di Puglia" ha dato notizia della nota sentenza della Cassazione che lo ha prosciolto definitivamente dall’accusa di diffamazione aggravata, nei confronti di due Ufficiali della Guardia di finanza in servizio a Lecce. Il titolo è della redazione del sito.

 

Il clamore mediatico scaturito dalla sentenza 36045/2014 della prima sezione penale della Corte di Cassazione non l’ho voluto, tuttavia mi è toccato viverlo come ultima e penosa appendice a quei fatti che non meritano nemmeno di essere ricordati.  La notizia l’ha data l’Ansa il 24 agosto 2014 e poi è rimbalzata su due quotidiani regionali pugliesi sia nella modalità cartacea del 25 agosto che in quella telematica.  Ciò che mi ha colpito è stato il modo con cui alcuni giornalisti hanno confezionato la notizia.

L’ANSA del 24 agosto, come dicevo, ha scritto che il maresciallo (“brigadiere” sarà stato un refuso contenuto in sentenza) Giovanni S. è stato assolto dall’accusa di diffamazione aggravata nei confronti di Michele D.A. e Giulio Rocco S., rispettivamente comandanti pro-tempore del Comando provinciale di Lecce e del Nucleo pt di Lecce, spiegandone sinteticamente la motivazione.

La Gazzetta del Mezzogiorno ha impostato la notizia nell’edizione del 25 agosto per come veniva data dall’Ansa.

Il Nuovo Quotidiano di Puglia, invece, con un taglio per così dire fantozziano, ha deciso di sbianchettare qualsiasi riferimento che potesse identificare i due Megadirettorinaturali (Fantozzi li chiamarebbe così i suoi capi), e di sputtanare l’imputato prosciolto da ogni responsabilità penale con nome e cognome: “Giovanni Surano”.  Nell’articolo si legge, infatti, che l’imputato Giovanni Surano è stato assolto dall’accusa di aver diffamato “due ufficiali” in servizio a Lecce, poiché lo scritto conteneva critiche al loro operato vessatorio.

Già la motivazione della sentenza, che spegne i riflettori sull’imputato per accenderli sulle parti offese, era di per sé sufficiente a giustificare lo stesso trattamento mediatico a tutte le parti in causa come ha fatto l’Ansa e La Gazzetta del Mezzogiorno, visto che l’assoluzione dell’imputato si regge sulle accertate vessazioni delle parti offese. Ma tant’è.  

Non intendo scagliarmi contro il giornalista del Nuovo Quotidiano di Puglia anche perché, manco a dirlo, si è celato dietro un comodo anonimato, ma anzi, gli auguro di vivo cuore di vincere quanto prima l’equivalente italiano del premio Pulitzer;  mi permetto tuttavia di suggerirgli la ricerca della verità sempre e comunque, esattamente per come gli viene rappresentata dalla fonte informativa, quando per fare ciò è addirittura sufficiente il copia e incolla dalla notizia d’Agenzia, senza occultare o sottacere alcunché, altrimenti, oltre a non vincere l’ambito premio, la testata per cui lavora risulterà poco credibile.

La dimestichezza che ho col diritto, unita al fatto che mi pagano per pensar male degli altri, mi spinge a voler capire, al netto dell’umorismo di matrice fantozziana, perché il giornalista del Nuovo Quotidiano di Puglia ha fatto tutto questo. Sulla pubblicazione integrale del mio nome non ho nulla da obiettare perché questo rientra nel diritto di cronaca. Ma allora, “diritto di cronaca” per “diritto di cronaca”, per quale motivo non ha pubblicato i nomi dei due ufficiali parti offese invece di sbianchettarne persino le iniziali?

Qualcuno potrà dire che il giornalista non poteva pubblicare nulla delle parti offese in quanto così prevede la legge. Andiamola a vedere questa legge.

A questo proposito dobbiamo domandarci, come avrà fatto il meticoloso giornalista, quand’è che in un articolo stampa si deve omettere ogni dato che consenta l’individuazione delle parti offese. Era questo il caso?

L’articolo 52, comma 5, del D. Lgs 196/2003 recita testualmente: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 734-bis del codice penale relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell’annotazione di cui al comma 2, le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.”

La legge vieta, dunque, la diffusione di dati dai quali possa desumersi l’identità della persona offesa in tre casi:

- Quando la persona offesa ha subito atti di violenza sessuale, per espressa previsione dell’art. 734-bis c.p.;
- Quando la persona offesa è minore;
- Quando si verte in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.

Escludendo la minore età dei due ufficiali al momento del fatto, ed escludendo pure che il procedimento penale vertesse in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, non rimane che l’ultima ipotesi: il giornalista del Nuovo Quotidiano di Puglia deve aver pensato che l’imputato Giovanni Surano, non contento di criticare gli ufficiali per tutto quello che accadeva in caserma, già che c’era, avrà pensato bene di usare violenza sessuale nei confronti degli stessi. Ed è meglio che passi questa tesi (per il giornalista, intendiamoci), perché altrimenti si dovrebbe concludere per la pavidità di certa stampa, forte con i deboli e debole con i forti, e qui il richiamo a Fantozzi scivolerebbe dal comico al tragico.

 

Giovanni Surano

giovanni.surano@libero.it

Ficiesse – Sez. Lecce


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