SINDACATO AI MILITARI. LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO NON LASCIA SCAMPO ALLA POLITICA ITALIANA. INTERVENTO AL CONVEGNO ASSODIPRO - di Francesco Zavattolo

venerdì 20 marzo 2015

Oggi parleremo di un argomento che non ha molto spazio nei talk show o  sui media. La riforma della R.M. non fa presa sull’opinione pubblica; eppure parliamo di un argomento che sottende agli equilibri delicatissimi della bilancia dei poteri costituzionali del nostro ordinamento!

Finalmente il tema della Riforma della R.M. esce dalle chiuse entro le quali è stato confinato per quasi 40 anni e si lascia modellare pubblicamente in consessi, come questo, che vedono attorno ad un tavolo diversi attori.  

Per verità Associazioni come Assodipro e Ficiesse non hanno mai smesso di parlare di tutele e di estensione dei diritti costituzionali nel mondo militare, ma mai prima d’ora si era arrivati al punto di riuscire a coinvolgere attivamente la politica, il mondo delle associazioni, le rappresentanze militari il mondo della ricerca e la dottrina. E su quest’ultimo punto voglio ringraziare il direttore del laboratorio delle idee di Ficiesse, Cleto Iafrate, per l’enorme lavoro di sensibilizzazione fatto nei confronti dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, grazie al quale abbiamo ricevuto e pubblicato, poco più di quindici giorni fa, il documento del dr. Guella dell’Università di Trento. 

Non sarà certo un caso, se complice di questa attenzione, sono le due sentenze CEDU è la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo!

La Corte di Strasburgo a breve ritornerà sull’argomento e dovrà pronunciarsi non solo sul ricorso Assodipro e Altri, di cui accennava Emilio Ammiraglia nel suo intervento, ma dovrà anche decidere sul ricorso presentato da 400 finanzieri poco più di un anno fa e di cui io sono uno dei firmatari.

Gli addetti ai lavori sanno che in uno dei processi penali costituito attorno agli scontri della TAV verificatesi nel luglio del 2011, alcuni sindacati di polizia ed il Cobar GdF Piemonte avevano chiesto al giudice di costituirsi parte civile. Ebbene, mentre i sindacati della Polizia di Stato sono stati ammessi alla costituzione di parte civile, il Consiglio di base della Rappresentanza militare dei finanzieri piemontesi no! Perché? Nella motivazione delle decisione di rigetto il giudice ha scritto, testualmente: 

… è stata chiesta l’esclusione sulla base del rilievo che ad essi (Cobar) non può attribuirsi la natura di associazioni sindacali.. La norma di riferimento è l’art. 1478 del Codice del ordinamento militare che assegna ai predetti organismi soltanto il compito di formulare e presentare pareri, proposte e istanze agli organi di comando. In sostanza, l’assetto normativo disegnato dal legislatore è quello di una rappresentanza del personale che resta rigorosamente circoscritta all’interno dell’istituzione, senza creazione di un soggetto nuovo e distinto da essa. Ciò corrisponde ad una scelta politica ben precisa che, per i Corpi militari dello Stato, è stata nel senso di limitare la libertà sindacale degli appartenenti alle forze armate impedendo loro di dar vita a formazioni aventi una soggettività giuridica distinta da quella dell’amministrazione militare” Il giudice nella sua decisione aggiunge “difettando la soggettività e assente non solo la legittimazione, ma in maniera più radicale la stessa capacità giuridica per la costituzione di parte civile”.

Questo è un punto cruciale:

Quando si parla di diritti sindacali nel mondo militare, si corre il rischio di essere involontariamente o volutamente fraintesi! 

La richiesta di estensione dei diritti sindacali e di associazione ai militari non è una semplice e banale pretesa di tutela degli interessi economici del personale, bensì il riconoscimento dei diritti necessari per tutelare, compiutamente, la dignità del lavoratore militare, quale centro di interessi in quanto persona e cittadino

Nel mondo militare, infatti, per risolvere i conflitti, che nascono all’interno dei medesimi ruoli o tra personale appartenenti a ruoli diversi, tra personale e amministrazione - salvo i casi in cui si interviene disciplinarmente, o per le vie legali siano esse riferite ai procedimenti penali o amministrativi - bisogna ricorrere ad espedienti. 

Bisogna conoscere qualcuno, magari della rappresentanza militare stessa, che abbia un buon rapporto con la gerarchia e che abbia anche un buon ascendente su di essa e forse, se c’è margine, il dipendente militare può trovare sfogo e risolvere una situazione di conflitto. Questo modo di operare, però, non solo ha lo stessa valenza di un fucile caricato a salve in una battuta di caccia, ma cosa ancora più pericolosa è che questo modo di procedere è l’anticamera della raccomandazione, del favoritismo e del clientelismo. E’ questo che meritano nel 2015 i militari italiani?

I cultori del militarismo puro si nascondono dietro la difesa dell’ordinamento repubblicano, garantito dalla coesione interna e dall’efficienza degli apparati militari. Interessi generali e superiori, questi, che possono e devono prevalere sui diritti individuali dei lavoratori militari. Quindi la necessità di comprimere le libertà individuali nasce dall’esigenza di non indebolire la disciplina militare e la coesione all’interno delle strutture.

Questa visione poteva avere senso e giustificazione fin tanto che c’era la leva obbligatoria. Ma oggi non solo l’Italia è parte integrante dell’Unione Europea, ma le FF.AA. hanno abbandonato la leva obbligatoria e sono a tutti gli effetti dei Corpi professionalizzati, sempre più chiamati - in contesti internazionali -  a svolgere funzioni di pace-keeping, a svolgere attività di formazione ad enti governativi stranieri, nonché vere e proprie attività di polizia! Inoltre che senso ha parlare di tenuta democratica dell’ordinamento quando i valori democratici del nostro Paese li abbiamo in un certo senso incardinati nella sovra-struttura Europa?

E poi nel trattare questi argomenti ci si dimentica spesso che le limitazioni di cui stiamo parlando non riguardano solo il fante, il marinaio o l’aviere, ma riguardano anche e soprattutto due tipologie di lavoratori che sono militari anch’essi ma che svolgono funzioni di polizia: CC e GdF.

E se è vero che le FF.AA. sono chiamate alla estrema difesa della Patria (art. 52) motivo per il quale sinora l’apertura ai diritti sindacali nelle FF.AA. è sempre stata osteggiata, ci si dimentica che le FF.PP. non sono chiamate direttamente a garantire la difesa della Patria! Anzi! Proprio queste amministrazioni deputate alla difesa dell’ordine pubblico, della legalità e della sicurezza dovrebbero informarsi maggiormente all’art. 97 co. 2 della Cost. ovvero dovrebbero garantire il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Per garantire questi principi, però,  è necessario che le istituzioni assurgano a divenire delle vere e proprie case di vetro. E il mondo militare, per sua natura, è poco incline alla trasparenza! Aprire ai diritti di associazione sindacale nel mondo con le stellette è sicuramente un primo passo anche verso questa necessità di trasparenza e stimolo per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni. 

Veniamo, ora a quelli che secondo me sono i due paradossi del sistema. 

PRIMO. 

Uno degli aspetti singolari della questione, al di là dei paletti europei, è che la nostra Costituzione non prevede espressamente nessuna limitazione all’esercizio dei diritti di associazione o sindacali per il personale militare, mentre prevedere espressamente, all’art. 98 che “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Abbiamo fior fiori di militari in carriera iscritti a partiti politici e che svolgono attività politica pura, ma nemmeno una statuina di un soldatino iscritta ad un sindacato!

Eppure:

L'Art. 18. della Costituzione afferma che:

I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Mentre  l'art. 39. stabilisce che "L’associazione sindacale è libera"!

SECONDO PARADOSSO

Su otto disegni di legge attualmente calendarizzati in Palamento il partito di Governo, il PD, è stato capace di farsi sorpassare a sinistra persino da Forza Italia. Credetemi: lungi da me farne una mera questione politica! Non vorrei parafrasare Grillo, ma qui non si capisce più cos’è la destra e cos’è la sinistra! 

L’onorevole Palmizio di Forza Italia ha presentato un progetto di legge (2776) degno di un Achille Occhetto (se non addirittura di un Berlinguer) di altri tempi! Antonio Martino (F.I. ed ex ministro della Difesa) insieme alla collega Giovanna Petrenga ha presentato un progetto di legge (2748) che all’art. 5 farebbe impallidire il Generale Ramponi, suo vecchio compagno di partito! Sentite cosa scrivono i due firmatari: Modalità di elezione - art. 5 co. 8: “Nessuna sanzione disciplinare può rappresentare condizione ostativa per il militare al requisito di eleggibilità nei consigli di rappresentanza a qualsiasi livello, né causa di cessazione anticipata del mandato, se delegato”. Questo comma sembra scritto da Maurizio Landini della Fiom!!

Ma negli otto disegni di legge, lasciatemelo dire, quello veramente deludente è la proposta 1963 Scanu, Villecco Calipari e altri, che è identica al progetto 1157 del 2008, che aveva come prima firmataria la Pinotti e secondo firmatario Scanu, …. i due disegni di legge sono perfettamente sovrapponibili punto per punto, solo che nell’ultimo, quello del 2014, manca tutta la parte inerente al diritto di associazione professionale che stava invece nel testo del 2008! Avrei voluto chiedere all'onorevole Villecco, se ci avesse degnato della sua presenza, visto che era tra i politici che avevano assicurato la propria partecipazione a questo evento: cosa è successo? Eppure Di diritti di associazione nel mondo militare, oltre alla Pinotti né parlò e prese l’impegno in tal senso anche l’allora (2009) segretario del PD Franceschini! Sta addirittura nel programma elettorale del PD di due anni fa! Cosa è successo come mai il diritto di associazione è sparito dai programmi del PD? 

Orizzonte verso cui tendiamo

L’Italia ha inserito la Convenzione di Roma nell’ordinamento interno con la legge 848 del 1955, quindi la Convenzione è diventata legge ordinaria. L’art. 117 della Cost. , inoltre, afferma che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La Corte Costituzionale, inoltre, ha definito le norme convenzionali come norme interposte, ovvero inserite tra la Costituzione e la legge ordinaria. La Cedu  ha affermato che le sentenze della stessa Corte di Strasburgo fanno corpo con le norme della Convenzione; norme che servono senz’altro a fornire un’interpretazione sui casi di specie, ma sono anche chiarimenti nei confronti di tutti gli Stati che, come l’Italia, hanno sottoscritto la Convezione stessa e alla quale devono necessariamente adeguarsi.

Quindi l’estensione dei diritti di associazione sindacali al mondo militare italiano è solo questione di tempo. 

Attenzione però! Vorrei richiamare la vostra attenzione su due aspetti peculiari che ci devono aiutare a riflettere meglio e a capire i pericoli a cui andiamo incontro:

  1. Stamattina sul portale l’AUGC, Associazione professionale della Guardia Civil, abbiamo appreso che i colleghi spagnoli stanno per ricorrere alla CEDU perché il governo ha rigettato la loro richiesta di costituzione del sindacato. Quindi, in Europa, ci sono strutture di polizia militari, a cui è già riconosciuto il diritto di associazione professionale, che stanno chiedendo i diritti sindacali;
  2. nella premessa del suo intervento, Emilio Ammiraglia, ha richiamato Sandro Pertini e i lavori preparativi della 382 del ’78. Non dimentichiamoci che l’allora Presidente Pertini avrebbe voluto una obbedienza militare leale e consapevole, mentre nel decreto attuativo del regolamento della disciplina militare (D.P.R. 545/1986), che doveva essere promulgato entro 6 mesi dalla pubblicazione della 382/78 ed invece arrivò 8 anni più tardi, quando Pertini non era più Presidente della Repubblica,  l’obbedienza, da leale e consapevole, divenne cieca e assoluta.

Cosa voglio dire? Attenzione, perché la nostra politica non potrà esimersi dal riconoscere i diritti sindacali ai militari italiani, ma nelle maglie dei lavori parlamentari può accadere di tutto e potremmo ritrovarci con un contenitore esteticamente bello, ma privo di contenuti.

L’aspetto importante in questo scenario, però, è un altro. Non si può pensare di modificare l’assetto della rappresentanza del personale militare, senza incardinare questa riforma in un alveo più ampio di riforma dell’intero comparto. Rivedere i futuri assetti dei corpi di polizia ad esempio, le dipendenze gerarchico e funzionali dai vari ministeri, i compiti, gli organici, i profili di carriera, i sistemi di retribuzione, e quindi prevedere, da subito, la necessità di adoperarsi per una rappresentatività piena del personale. In quest’ottica, ad esempio, l’art. 68 del libro bianco difesa è un obbrobrio giuridico, un abominio!!!. Recita testualmente: “...Occorre pertanto interrogarsi se la condizione di militare e le relative assolute peculiarità, anche di impiego e di stato giuridico, non possano essere meglio garantite e rese di maggiore utilità per il Paese riconoscendo a tale condizione una differenza tanto marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che, fino ad ora, ha condizionato entrambi i domini.”

Altro aspetto delicato da prevedere sono i limiti alla possibilità degli alti dirigenti delle FF.AA. di poter rivestire ruoli di primo piano nell’industria bellica: altrimenti si innesca un circolo vizioso pericolosissimo, con ripercussioni su cordate interne con hanno un forte potere sia sul personale che sulle stesse amministrazioni! 

Il futuro della R.M. deve necessariamente passare attraverso la realizzazione di strumenti che portano ad una maggiore trasparenza ed efficienza delle strutture militari. Deve necessariamente prevedere la tutela individuale di conciliazione, la tutela collettiva, la contrattazione piena di primo e secondo livello (il finanziere fa un lavoro decisamente diverso del bersagliere), la democraticità nel processo elettivo (i Rappresentanti nazionali vanno eletti da una base molto più ampia, il livello COIR non ha senso). 

Democraticità anche nella direzione e nella gestione degli organismi di rappresentanza. Non è possibile che il presidente di un consiglio di rappresentanza sia l’ufficiale più alto in grado, tra l’altro parliamo di un dipendente che rappresenta la parte numericamente minoritaria del personale! I futuri organi di rappresentanza devono necessariamente avere una loro autonomia statutaria e finanziaria che li porti ad essere finalmente esterni alle amministrazioni interessati e non più parte integrante dell’amministrazione stessa!

I sindacati di polizia o l’associazione nazionale magistrati, parliamo di due settori delicatissimi, non mi sembra che abbiano attentato alla sopravvivenza dello Stato, anzi: i sindacai di polizia sono nati con la riforma del ’81 nel pieno della crisi civile del nostro Paese dettata dal terrorismo! Negli anni 80 si è avuto coraggio. Oggi, con la crisi internazionale, con il terrorismo internazionale alle porte, con un evasione fiscale che vale 8% del pil serve lo stesso coraggio di 40 anni fa. Liberiamo risorse ed energie di questo Paese…. Perché le sfide attuali e future vanno affrontate con strumenti moderni e adeguati allo scopo, altrimenti lottiamo per una battaglia che è già persa in partenza. 

Francesco Zavattolo

Segretario generale FICIESSE

vai al video dell'intervento

https://youtu.be/quWs3mwScRs?list=PLz0r5eCA5jqYArB20nEtYrx6CyNoFB88G

 


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