CARCERI, VIA LA POLIZIA PENITENZIARIA - l'Espresso
l’Espresso – 25/03/2015
CARCERI, VIA LA POLIZIA PENITENZIARIA
Niente secondini. Videoconferenze. Pene alternative. Palazzo Chigi affida lo studio della riforma a un comitato guidato da Nicola Gratteri con Davigo e Ardita. Con proposte radicali, che però potrebbero scontrarsi con quelle elaborate dai tecnici del ministero guidato da Andrea Orlando
di Lirio Abbate
La polizia penitenziaria verrà spazzata via e al suo posto nascerà una “police” della giustizia, con compiti e ruoli ampi anche sul territorio e non solo nelle carceri. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sarà cancellato, sostituendolo con una struttura più snella e un risparmio di centinaia di milioni di euro. C’è anche l’idea di eliminare i tour giudiziari dei detenuti di mafia e farli partecipare ai loro processi in video conferenza, come è già previsto per quelli sottoposti al carcere duro, con un risparmio di 70 milioni di euro all’anno.
Insomma, una rivoluzione che sta venendo messa a punto da una commissione voluta da Matteo Renzi: una squadra di super-esperti coordinata da Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che ha accettato l’incarico a titolo gratuito. Da luglio assieme a lui si riuniscono magistrati di grande prestigio come Piercamillo Davigo, Sebastiano Ardita e Alberto Macchia. Con l’incarico di riformare aspetti chiave della malandata macchina giudiziaria: la semplificazione delle norme, delle misure di prevenzione, del sistema penitenziario e dei reati ambientali.
Allo stesso tempo però negli uffici di via Arenula del ministero della Giustizia vi sono altri gruppi di lavoro che stanno studiando come rivitalizzare il settore sotto la guida del guardasigilli Andrea Orlando. Una situazione paradossale, con progetti paralleli ma velocità e determinazione diversi. Tanto che alla fine potrebbero rischiare di annullarsi.
Da alcuni mesi premier e ministro sono apparsi poco in sintonia su come mettere mano alla materia, individuata come uno degli snodi per il rilancio del Paese. Una distanza anche di metodo, con Renzi che domanda soluzioni rapide mentre Orlando si muove cercando la mediazione con tutte le categorie. E adesso questa differenza di visione pare tradursi nello sdoppiamento dei comitati di studio.
I tecnici di Palazzo Chigi partono da alcuni spunti molto concreti. Ad esempio da una nuova disciplina della video conferenza che si vuole estendere “obbligatoriamente” ai circa ottomila mafiosi detenuti mentre ora vale solo per i settecento boss sottoposti al 41 bis. Questa modifica, come evidenzia la commissione, gioverebbe molto alla sicurezza perché eviterebbe il pendolarismo dei mafiosi detenuti fra le carceri del Nord in cui sono rinchiusi, e quelle del meridione dove si celebrano i processi e dove più forte è la presenza della criminalità organizzata. Un vantaggio ci sarebbe anche per gli avvocati perché la norma conterrebbe anche la facoltà per i difensori di partecipare ai dibattimenti in video collegamento dai propri studi legali. I benefici sarebbero plurimi. Si risparmierebbero 70 milioni di euro l’anno, la spesa sostenuta per i trasferimenti dei reclusi sotto scorta. E si potrebbe accelerare i processi, eliminando i tempi delle trasferte di imputati e difensori.
Ma sulla video conferenza si lavora pure nelle stanze del ministero, con una procedura più soft. Ovviamente, ci si preoccupa di adeguare le strutture tecnologiche dei penitenziari per consentire i collegamenti. Ma si cerca anche di costruire un confronto con l’avvocatura sulla novità: fonti del dicastero spiegano che sono già stati avviati sondaggi. E, anche per questo, non si vorrebbe rendere obbligatoria la norma.
Dalla Commissione di Palazzo Chigi viene fuori anche un pacchetto di riforme che riguarda le misure di prevenzione e la semplificazione processuale, per consentire ai processi di mafia di giungere in modo efficace alla conclusione senza arenarsi nelle secche di regole procedurali bizantine, che finiscono per favorire i criminali.
Gratteri ha affidato la materia a Piercamillo Davigo, al quale ha chiesto di «individuare e tagliare i rami secchi del processo che, senza produrre effetti deflattivi, determinano benefici e sconti di pena gratuiti a chi delinque». Anche su questo punto via Arenula procede su una strada diversa, riprendendo norme elaborate dalla vecchia commissione guidata quindici anni fa dal giurista Giovanni Fiandaca, che adesso il ministero sta cercando di perfezionare.
Il pool del premier ha già redatto una bozza su uno dei temi più discussi degli ultimi anni, con proposte severe per punire l’autoriciclaggio, raddoppiando anche le pene per l’associazione mafiosa e per il voto di scambio politico-mafioso.
Quello che farà più discutere è il progetto di Gratteri di riforma della polizia penitenziaria per trasformarla in un modello di “polizia della giustizia”. Agli agenti dovrebbero essere attribuiti compiti di primo piano a differenza della situazione attuale che li vede confinati alla funzione di custodia dei detenuti.
L’idea è quella di creare una forza di polizia presente anche sul territorio, arricchendola di nuove competenze: «eseguire gli ordini di arresto per gli imputati con condanne definitive, ricercare latitanti, controllare gli arrestati domiciliari e i soggetti sottoposti alle misure alternative, proteggere i collaboratori di giustizia, i tribunali e i magistrati». I nuclei operativi del servizio di protezione dei “pentiti” potrebbero subire modifiche e gli agenti incaricati di questa missione transiterebbero sotto un’unica polizia, quella della giustizia.
Su questo progetto sta lavorando Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina, che ha alle spalle una lunga esperienza di direttore generale al Dap. Ardita punta a fare della polizia penitenziaria un corpo ad alta qualificazione con le funzioni dei “probation office” e dei Marshall statunitensi. Pure gli assistenti sociali, che oggi operano solo all’interno delle carceri, verrebbero trasferiti nei “probation office”, per seguire il percorso di reinserimento dei condannati anche fuori dalle prigioni.
L’idea complessiva della commissione coordinata da Gratteri è quella di attrezzarsi per riservare il carcere ai criminali più pericolosi, mafiosi in testa, e di allargare il più possibile l’area delle pene alternative «in modo da dare effettività alla pena, che invece tra indulti, e amnistie rischia di diventare una farsa per i criminali ed una vera tragedia per i diseredati».
Le misure diverse dal carcere, che oscillano dalla detenzione domiciliare ai lavori di pubblica utilità, oggi secondo i tecnici di Palazzo Chigi non risultano per niente affidabili e per questo motivo se ne fa uno scarso utilizzo. Nel nostro paese vi sono circa ventimila persone affidate in prova rispetto alle 250 mila dell’Inghilterra e le carceri sono di conseguenza sovraffollate. Per la commissione voluta dal premier Renzi «con pochi accorgimenti tecnologici e impiegando i nuovi agenti, si potrebbero avere in esecuzione pena fuori dal carcere 200 mila persone».
Ancora più radicale, l’ipotesi di abolire il Dap, eliminando le 15 posizioni di dirigente generale esistenti oggi nel Dipartimento che sovrintende a tutto il mondo delle carceri. In una nuova struttura i dirigenti verrebbero reclutati direttamente tra gli attuali commissari della polizia penitenziaria, mentre i direttori andrebbero in un ruolo ad esaurimento. Il progetto impone poi lo stop a incarichi strapagati, sprechi e stipendi milionari per i vertici. L’obiettivo è tagliare i costi e ottenere maggiore efficienza.
Anche in questo caso, esiste pure un piano del ministro Orlando, che mira a una rimodulazione del Dipartimento secondo linee meno drastiche. Un disegno che verrà presentato alla presidenza del Consiglio entro il 15 ottobre. Poi toccherà al governo decidere quale strada seguire.
Nella speranza che la duplicazione degli studi non si trasformi in paralisi, proprio nel settore che ha bisogno di risposte urgenti: le condizioni delle carceri infatti restano nel mirino delle corti europee. E la giustizia sta ancora male.