IL GIRO DI BOA. Di Giuseppe Fortuna
Il caso del Comune di Roma dimostra ancora una volta come il principale problema del nostro paese sia riuscire a far funzionare bene ciò che è pubblico.
Da noi il pubblico non funziona bene per un motivo preciso: la completa inesistenza di contabilità economiche (non finanziarie, che sono una cosa diversa) uniformi, complete, continue e comparabili tra istituzioni diverse e tra livelli omologhi della medesima istituzione.
In Italia, a differenza di quanto avviene nei paesi più evoluti, nonostante le riforme avviate negli anni novanta, ogni istituzione è di fatto libera di misurare quello che vuole, come vuole e se conviene alla dirigenza di vertice.
Il risultato è che le amministrazioni più grandi e complesse, sia centrali che locali, si trasformano in vere e proprie MACCHINE DEI MISTERI le cui chiavi sono gelosamente custodite da BUROCRAZIE INTERNE potenti e inamovibili, almeno finché non intervengono le manette della magistratura e delle forze di polizia.
Infatti, più crescono le sue dimensioni più una pubblica amministrazione senza controlli pubblici, effettivi e trasparenti tende:
- a informarsi a logiche di gestione autoreferenziali;
- a non comunicare all’esterno gli obiettivi che contano davvero per far carriera;
- a improntare i meccanismi di selezione, impiego e retribuzione dei dipendenti a logiche corporative e di obbedienza e accondiscendenza interessata alle burocrazie interne;
- a considerare come MERITO i riconoscimenti meramente formali (e talvolta umoristici) piuttosto che l’effettivo miglioramento della qualità e della quantità dei servizi ai cittadini e alle imprese con riduzione dei costi.
Per spiegare meglio alcuni di questi meccanismi, porto l’esempio dell’Agenzia delle entrate che a mio avviso (e proprio per questo ne parlo) è tra le più efficienti organizzazioni pubbliche italiane.
Ebbene, nonostante sia un’eccellenza, mi risulta che Agentrate continui a mantenere riservati gli obiettivi (che ci sono, sono numerici e sono precisi) assegnati annualmente alle Direzioni provinciali, non renda note le best practice conseguite dai suoi uffici del territorio e tenda a effettuare misurazioni con modalità aleatorie, ermetiche e incontrollabili come i cosidetti “tempi unitari medi” e le “ore ponderate”.
Il risultato è che, al di là dei proclami, quelli che contano davvero non sono gli obiettivi la riduzione del tax gap in ciascun singolo territorio, ma continuano ad essere gli “obiettivi monetari”, cioè il quantum incassato a livello nazionale proveniente dagli accertamenti e dai ruoli e non la compliance.
L’Agenzia dovrebbe, invece, ad esempio, coinvolgendo le associazioni di categoria, cominciare a indicare quali sono in Italia le Direzioni provinciali che hanno effettuato i rimborsi iva, irap e irpef nei tempi più brevi e fissare sui benchmark delle Direzioni eccellenti gli obiettivi di tutte le altre Direzioni provinciali, migliorando in tal modo la competitività del sistema paese.
La mancanza di sistemi di contabilità economica scientifici e di trasparenza adeguata comportano, poi, nelle amministrazioni di grandi dimensioni – e torniamo al caso recente e doloroso del Comune di Roma - la difficoltà, se non l’impossibilità, per il sindaco che ne è responsabile in capo, di comprendere le logiche della macchina amministrativa, di individuare dove si annidano sprechi e malfunzionamenti e di riuscire a migliorare.
Da noi, però, se lo si vuole, il salto di qualità è possibile in tempi brevi e il giro di boa è rappresentato dall’introduzione di una (inizialmente anche molto semplice e intuitiva) contabilità economica accompagnata da azioni di coinvolgimento informato e partecipato dei dipendenti, dei sindacati, delle organizzazioni civiche e delle associazioni di categoria a livello sia nazionale che territoriale.
Stiamo parlando di sistemi informati alle logiche della “gestione per obiettivi”, che è il metodo descritto nella sua prima forma addirittura nel 1954 dallo statunitense Peter Drucker, e alle logiche dei public service agreement, operative da oltre un decennio nei paesi di cultura anglosassone.
Sistemi che, qua e là, sono stati adottati anche in Italia e che funzionano benissimo. A patto che vengano sostenuti con consapevole determinazione dai vertici politici delle istituzioni che li adottano.
GIUSEPPE FORTUNA